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Capitolo XIII – Prometeo
“Est deus in nobis, agitante calescimus illo” (C’è un dio in noi e ci scaldiamo perché lui ci agita) (Ovidio, Fasti)
Il corso degli eventi sempre più accelerati che porteranno alla sperimentazione, prende il via nella tarda estate 1997. Una cronistoria troppo notarile degli avvenimenti avrebbe poco senso e disturberebbe il lettore, desideroso di essere condotto alla verità per un itinerario logico, documentato e senza troppe deviazioni. Dove fosse utile per inquadrare e comprendere gli avvenimenti, richiameremo episodi che accompagnano questo capitolo della vita di Luigi Di Bella e faremo ampio ricorso alle notizie apparse sui mezzi di informazione. Con riferimento a questi, nella stereotipata prosa giornalistica non si conteranno i “cocktail” …a base di melatonina e somatostatina, o di retinoidi e somatostatina e via dicendo (mai, per carità, una formulazione completa!) e non mancheranno a volte autentici fiori di incongruenza.
Per fare un esempio, un articolo del quotidiano nazionale più diffuso (“La gara dei ‘maghi’ anticancro”), include tra i componenti MdB “…somatotropina, protolattina…” (sic)!1.
Se alcuni professionisti attenti e senza fregola per il “pezzo” da pubblicare cercano di comprendere e di riferire correttamente, altri si conformano all’andazzo: riempire un tot di spazio, cercare o riproporre frasi ad effetto e correre incontro al lettore-tipo, che legge sì, ma per poco, pensa di meno e vuole capire tutto e subito. Accanto a grandi verità le banalità di sempre; accanto all’emozione per un uomo e avvenimenti d’eccezione, la corazza interposta tra il fatto e l’anima, il fatto e la coscienza: corazza inizialmente ereditata e usata con esitazione, radicata poi sui terreni più aridi come aderisse al petto dalla nascita.
Compaiono, è vero, timidi affondi contro il potere farmaceutico, baronie e caste mediche (pagati successivamente a caro prezzo da giornalisti e direttori di testata), senza però che venga veramente messa a fuoco l’intima natura della contrapposizione: baronie e caste sono infatti più prodotti che fattori del degrado.
Un quotidiano locale, la Gazzetta di Modena dando notizia di una manifestazione per la libertà di cura programmata a Roma per il 18 settembre, intervista lo scienziato, pur senza trattenersi dal forzare un po’ i titoli; e nell’articolo la terapia diventa mono-componente (la somatostatina…).
Il 18 settembre compare un inserto a pagamento sullo stesso quotidiano2.
“Ringraziamento – Più della cattiveria può l’ignoranza. Eppure giudicano, condannano, vilipendono senza averne competenza. Un grazie dal profondo del cuore al prof. Luigi Di Bella. Carla Sola”.
Due settimane dopo, nella sezione “Ricerca e Medicina”, sempre la Gazzetta pubblica una bellissima “lettera aperta al Prof. Luigi Di Bella”, che dimostra come tanti abbiano compreso3.
“Caro professore, posso chiamarla Prometeo? Quel mitico eroe, ricorda? Rubò agli dei una scintilla del sacro fuoco e la donò agli uomini affinché potessero scaldarsi, rompere l’ombra delle tenebre notturne e partecipare della luce di cui l’Olimpo (meritatamente, o forse, no!) godeva. Cosa capitò a Prometeo per aver osato tanto? Fu incatenato alla roccia ed ogni giorno un’aquila gli strappava il fegato che subito si riformava per essergli strappato il giorno dopo. Lei è altrettanto perseguitato e altrettanto coraggioso. Quelli che hanno tentato di lapidarla fisicamente, colpendola alla testa con un sasso mentre in bicicletta tornava a casa, o moralmente, sommergendo di immeritate calunnie l’opera sua, sincera e solitaria, somigliano agli dei dell’Olimpo soprattutto per l’arbitraria, arrogante, malevolenza dei loro atti. Considerano, forse, la medicina ‘cosa loro’; possono tollerare di curare il male a “modo loro” ma non tollerano che siano altri a curarlo a modo proprio. Negano la creatività, l’appassionata umiltà della ricerca. Negano il consenso, la solidarietà, l’amicizia, ad ogni Prometeo che osa sfidarli perché temono di dover traslocare dall’Olimpo del potere al povero studio di un anziano dottore che si alimenta di frutta e fagioli, che dorme quattro ore per notte pensando alla gente che soffre, ai bambini che soffrono e a come curarli.
La sua è una medicina ‘no profit’, l’esaltata, esaltante passione di conoscere a tal punto ogni essere umano da trovare una strada per ciascuno, la sola strada percorribile con successo. Lei cura l’anima e il corpo senza invaderli; Lei alimenta la speranza di guarigione con la qualità della vita. Perché ogni persona è una persona, ha la sua storia, ha le sue ragioni per esprimere, con il corpo, il disagio dell’anima. Non so se lei la spunterà, Professore. Ma credo sia importante dirle che, in tanti, le siamo vicini. Vicini per il rispetto che Lei dimostra nei confronti degli altri; per l’appassionato, costante valore che Lei attribuisce alla vita umana e alla professione medica.
Dovrebbero rispettarla soltanto per questo; attingere al segreto del puer e del senex che la guidano; circondarla di cure perché Lei ha il dono di curare. Vero è che se Prometeo non fu liberato dalla sua quotidiana tortura, gli uomini però appresero ad usare il fuoco. E quel fuoco arde ancora.
Maria Rita Parsi”
Questa evocazione di Prometeo, dovuta ad una penna illustre, ci sembra quanto mai centrata e profonda, sia per il presupposto di un mondo oscurato nel quale giunge la fiaccola della verità, che per la crudeltà della pena attuata dai nemici della luce; una pena che il loro odio vorrebbe eterna e che, come dimostreranno gli anni successivi, si protrarrà dopo la morte di Prometeo. Senza che si riesca a spegnerne la fiamma: “ […] e quel fuoco arde ancora”.
Lettere dal contenuto analogo si succedono a ritmo crescente. Alcuni giornali le pubblicano, altri no. Inizia anche una tattica mediatica che i suoi strateghi probabilmente ritengono acuta, i buoni osservatori maldestra e che richiama i bambini alla prima esperienza con maschera e pinne, quando sono convinti di essere invisibili nonostante la schiuma sollevata e il sederino a mezz’acqua.
Infatti a critiche apparentemente circostanziate, commissionate al maggior numero di “personalità scientifiche” dal facile palato morale perché avvalorino un unanimismo di opinioni contrarie, si alternano “nuove scoperte”. Già, perché di colpo è tutto un fiorire primaverile, un novello Rinascimento (assente solo Lorenzo il Magnifico) di quelle che Luigi ha definito futuristiche, immaginarie promesse:
- cancro, scoperto il ‘suicidio’ delle cellule;
- la nostra ricerca all’avanguardia contro il cancro;
- l’arma finale contro le neoplasie del seno;
- i killer del cancro.
Eccetera.
Nel giro di qualche anno, autori tanto poveri di scienza quanto ricchi di talento pubblicitario, si sbizzarriranno in capriole lessicali degne di acrobati del circo di Mosca.
Dalle “terapie personalizzate” ai “farmaci biologici”. Dalle “sostanze affama-tumori” ai “proiettili intelligenti” (l’intelligenza farà così la sua comparsa, anche se limitatamente al lessico).
Nelle corsie ci si accontenta invece di proporre ai pazienti l’ultimo grido in fatto di terapie anticancro: forse per eclettismo culturale, ci si ispira alla “scoperta de l’America” di Cesare Pascarella, proponendo l’immancabile farmaco sperimentale che – ci si passi l’ortografia ciociaresca – “viene dall’Ammerica”.
La realtà obiettiva constatabile da tutti (e non una nostra malevola rappresentazione delle cose) è che dal dopoguerra non si può attribuire un solo farmaco antitumorale o una sola scoperta scientifica in campo oncologico alla ricerca nazionale!
Ma allora a che servono i soldi per la ricerca? Dove vanno a finire?
Probabilmente la spocchia di certi luminari senza luce o una reazione istintiva all’imposizione di decenni, portano ad articoli sempre più numerosi a favore dello scienziato, tanto che persino fogli ben irreggimentati sono costretti a dare un colpo al cerchio ed un altro alla botte, se non vogliono alienarsi le simpatie dei lettori: e qualche sognatore arriva a pensare sia arrivato il tramonto del potere baronale e farmaceutico.
Può leggersi in questa chiave il succedersi di inviti da parte di organismi ed organizzazioni solitamente assai prudenti.
Così accade il 7 ottobre, quando Luigi è invitato dai Lions a tenere una conferenza dal titolo “Aspetti medico biologici e sociali del cancro” presso la chiesa sconsacrata di San Carlo di Modena, contigua ai locali dove quasi cinquant’anni prima aveva organizzato lo sfortunato Laboratorio di Fisiologia Generale.
Parla come sempre con estrema precisione e pacatezza, evitando le polemiche contingenti e puntando a dare una visione il più possibile chiara del suo metodo. Accenna anche ad una delle considerazioni che è solito fare:
“La vita è proprio legata alla scomparsa delle cellule tumorali? Queste si possono addomesticare ed isolare, curando il male o dominandolo. Se pensiamo ad esso non con terrore, ma con questa possibilità, potremo imparare a conviverci. Bisogna imparare a convivere col cancro4”
Quest’ultima frase conterà numerosissimi plagi nel corso degli anni futuri.
Inevitabile qualche accenno al protocollarismo imperante ed alla riprovevole prassi di affrontare determinate malattie ignorando i dati della fisiologia. Riferendosi a casi frequenti che gli capitano, parla di problemi relativi alla funzionalità tiroidea, di per sé di facile soluzione, ma resi difficili o impossibili da risolvere dopo interventi terapeutici errati. Non fa mai sconti Luigi, quando è la salute dei malati a fare le spese di prassi incolte o condizionate da cinici ritorni economici e parla di “industria della tiroide”.
E’ presente in sala uno degli industriali del ramo …che, sentendosi brucior di sale sulla coda, insorge, chiede il microfono e si esibisce in una forbita quanto strampalata dissertazione sui “messaggi subliminali” del Prof. Di Bella, lanciando un appello all’uditorio perché non si faccia irretire.
Sarà costretto ad allontanarsi rapidamente, sommerso da fischi e da epiteti che lo apparentano all’antica arte dei giullari di corte.
Uno dei giornalisti presenti titola l’indomani:
“Rivincita del prof. anticancro – Celebrazione pubblica dello studioso che con la sua terapia naturale spiazza la ricerca ufficiale5”
Lo stesso articolo ripete la notizia, già diffusa, che il ministro della sanità ha richiesto un centinaio di cartelle cliniche da sottoporre alle commissioni sanitarie, notoriamente ostili al Metodo, ma non manca di annotare:
“ […] per quale oscuro motivo il ministro si è permesso di ignorare fra l’altro i diecimila fax che i pazienti del professor anticancro gli hanno inviato? E che dire degli altri 1.500 oncologi che in convegno a Cagliari supportano le pretese della Bindi? Dove sta la buona fede?”
Qualche giorno dopo, nonostante l’estremo fastidio e la più grande contrarietà, Luigi accetta un’intervista televisiva. Mentre i telefoni suonano incessantemente, lo scienziato risponde pazientemente alle domande rivoltegli e precisa alcuni concetti ai quali tanti luminari, più sdegnosi di “Ombretta sdegnosa del Missipipì”6, si mostrano decisamente tetragoni. Tra questi spicca uno dei princìpi concettuali cardine del metodo:
“ […] con la somministrazione dei farmaci (del Metodo) si interviene non sulla cellula malata, ma sul processo che ha portato alla formazione delle cellule malate. Esattamente il contrario rispetto alle pratiche attuali7”
Un po’ come spingere a turare la falla nello scafo di una barca, anziché pretendere di togliere acqua con un bicchiere. Troppo arduo da comprendere?
Intanto l’associazione di Trento si è attivata per organizzare un nuovo seminario, con l’intento di formare medici in grado di applicare il Metodo. Come già osservato prima, si tratta di una pia illusione, per non dire di un grave errore concettuale: non si può insegnare a dirigere un’orchestra a chi non sa nemmeno solfeggiare. Il seminario viene fissato per il 18 ed il 19 ottobre presso il Park Hotel di Fanano, la località nel cui cimitero Deda riposa ormai da nove anni.
Le montagne che vedono luccicare le acque del Panaro e del Leo sono vermiglie d’autunno e Luigi, mentre percorre lo stradone del Fondovalle, guarda deliziato il panorama. Davanti all’albergo crocchi di persone, medici sconosciuti, altri visti in precedenti occasioni; e poi volti rassicuranti, come quelli di Giancarlo Minuscoli con Lina, Norsa e la moglie Maria Pia, Michele Falcone. Pippo con Adolfo e Maria Letizia entrano nella camera riservatagli, tutta rivestita in perlinato, e lo colgono mentre consulta alcuni appunti che ha portato con sé.
Un’istantanea si accende luminosa nella nebbia sfocata dei ricordi: il sorriso (“ecco i miei cari che dissolvono il freddo di tanti volti sconosciuti…”), la battuta dettata dal pudore per celare l’emozione, il cameriere che gli porta l’adorata tazza di caffè ed al quale chiede con gentilezza di portarne altre per i figli e la nuora (“ […] sarebbe possibile avere qualche caffè anche per loro? […] ”); dall’ampia finestra, lo smeraldo ed il rubino della vallata, il cobalto del cielo, ornato più che rigato dal fumo lieve che si leva da comignoli sul tetto d’ardesia di qualche casolare rincantucciato tra i boschi.
La chiarezza dell’esposizione è assoluta e Luigi dipana gli intrichi delle tematiche fondamentali della sua concezione rendendo facile comprendere argomenti difficili. Pippo e Minuscoli ascoltano rapiti, convinti che tutti debbano sentirsi privilegiati di poter assistere ad un autentico evento nella storia della medicina. Ed effettivamente, in parte, il miracolo avviene: quel sabato 18 ottobre e la domenica successiva perfino medici agnostici, quando non scettici, sono conquistati, cominciano a comprendere – se non la cattedrale gotica di quella monumentale concezione scientifica – la potenza, l’ampiezza ed il nitore del mondo che emerge dalle parole di quel piccolo gigante con i capelli bianchi e la schiena curva.
Un episodio dimostra che chi fosse andato ad ascoltarlo con un minimo di disponibilità mentale sarebbe stato in grado di capire, quantomeno, di trovarsi di fronte ad un concentrato di rigorosa scientificità. Un cardiologo ospedaliero modenese, il Dr. Stefano Tondi, si reca al seminario insieme ad altri colleghi. Alla fine rimane come “fulminato” da ciò che ha sentito e non esita a confidare ad un giornalista:
“ […] ci vorrebbe un bagno di umiltà della medicina e della scienza ufficiale, che spesso si rivelano impotenti nei confronti di certe patologie8”
Qualche giorno dopo, senza curarsi della presenza di alcuni pazienti allibiti, un oncologo del locale Policlinico lo investirà con inusitata violenza verbale per l’opinione espressa. L’episodio diviene presto di dominio pubblico, suscitando in molti una domanda ormai ricorrente: ma perché tanta rabbia?
La conferenza disturba ulteriormente gli ambienti ostili, timorosi che le idee di Luigi facciano ulteriori proseliti nel mondo medico: timore non infondato, come appurato dai giornalisti presenti a Fanano, che hanno potuto raccogliere molti commenti dei partecipanti.
Luigi risponde ad alcune domande che gli vengono rivolte e non è possibile trascurare alcune affermazioni fatte nell’occasione. Alla domanda sulle contestazioni che gli vengono mosse da ambienti medici ufficiali, risponde:
“ […] se un paziente, curato con il mio metodo, ritorna nelle stazioni oncologiche per un controllo, si dice sistematicamente che è migliorato ‘spontaneamente’(!). Non solo, quando i pazienti si avviano alla guarigione, dicono che la diagnosi era sbagliata, anche se non era stata fatta da me. I mezzi per smentire il mio lavoro sono tanti…9”
Sarà questo uno degli …asini di battaglia degli oppositori, in difficoltà peraltro a spiegare quel capriccio del caso che concentra remissioni, guarigioni spontanee ed errori diagnostici proprio tra i pazienti curati dal fisiologo.
Di lì ad un anno, quando sarà criticato per l’affermazione (mai fatta) di guarire la totalità dei tumori, si farà disinformazione sapendo di farla. Risponde infatti alla domanda sul margine di speranza di guarigione che è in grado di offrire ai suoi pazienti:
“Dipende dal tumore. Alcuni tipi posso dire di poterli curare nel cento per cento dei casi. Per altri tipi no. Per esempio il tumore al polmone è quello che presenta più complicazioni. Ma dipende anche dal momento in cui si prende in cura il paziente. In sostanza, dipende dal tempo intercorso dalla comparsa del male al momento in cui comincia la cura, e da come la cura viene portata avanti10”
Nella stessa intervista, ha modo anche di togliersi qualche sassolino dalla scarpa:
“ […] Garattini proviene dalla farmacologia. Vi risulta che sappia ascoltare un cuore o che abbia mai fatto una diagnosi? Riconosco che è un grande imprenditore, ma non lo invidio certo…11”
La domenica mattina successiva al seminario, Luigi è sulla sua Fiat Uno diretto a Fanano. Pochi chilometri prima del paese montano perde il controllo della macchina e capotta più volte, fermandosi contro un mucchio di sabbia. Esce incolume dall’incidente e viene soccorso da un automobilista. Ma non si è trattato né di disattenzione né di imperizia, dato che é un ottimo guidatore.
Da qualche tempo, e precisamente dall’aprile 1996, quando qualcuno lo ha colpito al capo, segue con preoccupazione ed angoscia un calo progressivo della vista, che si è finora manifestato prevalentemente sotto forma di netta riduzione del campo visivo. Certe sere gli si riempie l’animo di indicibile amarezza quando è costretto a fermarsi nella lettura di testi scientifici o nello scorrere documentazione clinica inviatagli dai pazienti. Non mette a parte nessuno della cosa. Cerca di aiutare la vista con opportune misure farmacologiche e ricorre a lenti d’ingrandimento quando i caratteri di stampa sono troppo piccoli. Ne soffre anche la grafia, solitamente chiarissima e regolare: da un paio d’anni le prescrizioni da lui vergate denunciano righe distanziate e non parallele, a volte fortemente divergenti, spazi anomali tra le parole, lettere ora più grandi ora più piccole.
Nel frattempo il corso degli eventi accelera sempre di più e l’impressione netta è che gli Invisibili comincino a richiamare all’ordine i loro delegati, rivelatisi incapaci di prevedere e provvedere. La vera storia, soprattutto quella recente, è la storia mai scritta. Non si tratta di maniacale fissazione “complottistica”, ma di realtà evidente per chiunque non sia disposto a credere che gli asini volino in stormi come le rondini.
Gli attori di secondo piano recitano obbedienti la parte assegnata, mentre ai “divi” si concede ogni tanto di improvvisare un paio di battute, più che altro per dar loro l’illusione d’una mollica di autonomia, salvo prenderli a calci se esagerano.
Oggi sono rimasti – metaforicamente – galloni dorati, sciabole al fianco, piumaggi imponenti, decorazioni, medaglie e nastrini variopinti, perché il cittadino non deve nutrire il minimo dubbio sul fatto che il potere sia rappresentato e gestito da individui, e non da manichini. Solo così gli Invisibili potranno concordare e programmare, paese per paese, settore per settore, il corso degli eventi, e quasi sempre vi riusciranno.
Non costituiscono un problema nemmeno voci isolate sui veri registi, sui dottor Hinkfuss della scena12. basterà ostentare sorrisi di commiserazione, far apparire come assurde pretestuosità i ragionamenti più logici, richiamare il pubblico alla “realtà” – con pacata, paziente, compatente aria di saggi – fiduciosi che i più scambieranno la realtà con la sua apparenza; approntare e diffondere versioni precostruite, dividere ideologicamente la pubblica opinione.
Il guaio è quando troppi cominciano a sospettare l’esistenza di potenti senza volto, di surreali manichini evocanti certi quadri di De Chirico, di congressisti di setta: gli Hinkfuss della situazione, appunto. In questo caso occorre intervenire con decisione. Se possibile con orditi sottili; in caso contrario con misure traumatiche, destinate comunque a sparire presto dalle cronache giornalistiche e dalla labile memoria collettiva.
In questo ultimo scorcio d’anno, il mezzo televisivo si accosta all’istrice del tema Di Bella. Anzitutto perché non farlo avrebbe sollevato interrogativi nei cittadini; quindi per innalzare gli indici d’ascolto; infine (e principalmente) perché i feudatari del potere sono stati travolti dalla rapidità degli eventi e non hanno avuto modo né tempo di pianificare la loro controffensiva, né di richiamare alla disciplina i responsabili del mondo dell’informazione. Lo faranno di lì a pochi mesi, costringendo disobbedienti e incoscienti a sfilare col capo chino e cosparso di cenere, fissati dai rai fulminei di feudatari in conclave.
Ci interessano non tanto le numerose apparizioni televisive di per sé, quanto i concetti che lo scienziato può avere espresso nel corso di queste, oltre all’impressione ricavata dal pubblico. La sera del 6 novembre si svolge un incontro del Prof. Di Bella con i concittadini e, tramite il mezzo televisivo, con tutti gli italiani. E’ stata una rivista locale, “Modena Amica13” ad organizzare l’incontro presso la Sala Leonelli della locale Camera di commercio. E’ presente anche una troupe del programma Moby Dick diretta dal giornalista Michele Santoro, che trasmette in diretta. La capienza della sala prescelta si rivela non sufficiente ad ospitare gli oltre seicento intervenuti, per cui si rende indispensabile attrezzarne un’altra dotata di un collegamento televisivo per fare seguire l’incontro agli esclusi.
Molte risposte di Luigi richiamano sue precedenti affermazioni ed esposizioni su particolarità del Metodo. Anche in questa sede ribadisce che la sua terapia non è un elisir che possa risolvere ogni situazione, ma che i buoni risultati sono sistematici, possono giungere alla guarigione e sono di gran lunga migliori di quelli ottenibili con altre metodologie. Possono bastare alcuni incisi che ricaviamo da quanto pubblicato nella rivista citata:
“ […] il salto che ho fatto dalla fisiologia alla clinica non è stato in realtà un salto…Io sono un allievo del Prof. Tullio della gloriosa scuola di Albertoni, fisiologo, e quindi allievo di Murri, la vera, autentica gloria italiana. Ho sempre voluto considerare la fisiologia al servizio della clinica, non come fisiologia pura e generale, ma come mezzo di spiegazione razionale dei fenomeni vitali”
Quando gli si domanda se abbia fatto proseliti tra medici ed oncologi, chiarisce in modo eloquente il suo pensiero, riferendosi ai seminari tenuti:
” […] Questi medici hanno una preparazione adeguata? Io ho insegnato oltre 40 anni. Per svolgere la fisiologia del cervelletto impiegavo un anno. Invece alla scuola di specializzazione in neurologia avevo dieci ore di lezione in tutto per spiegare agli specializzandi tutta la fisiologia del sistema nervoso centrale. Siamo a questi assurdi in Italia. Fare lezione è una bella cosa, ma cosa insegno? Io do dell’acido retinoico, della vitamina A, ma la fisiologia dell’acido retinoico occupa interi volumi. Come faccio in poche ore di lezione?”
Si prova una grande tristezza leggendo la risposta di Luigi alla domanda di Riccardo Iacona, inviato di Moby Dick (che molti presenti vedranno commosso fino alle lacrime alla fine della serata). La domanda è come abbia fatto ad elaborare una terapia contro il cancro senza la collaborazione universitaria, di un istituto di ricerca, di una clinica:
“In una maniera molto semplice: rinunciando a tutto quello che non è necessario per vivere. Così le spese le ho ridotte al minimo e tutto quello che ho risparmiato l’ho dedicato alla ricerca. Per tanti motivi i congressi, io forse l’unico, li ho sempre seguiti a spese mie, anche se il riassunto del congresso risultava essere stato fatto dall’istituto di Fisiologia di Modena, che non aveva speso un soldo”
Nel corso della serata compaiono anche argomenti di contingente attualità, come quello dell’ultimo pollice verso della CUF (Commissione Unica del Farmaco) in merito alla liberalizzazione della somatostatina ed emerge pure che dal 24 luglio, data della delibera, non si conosce la motivazione scientifica del diniego, né risultano i nomi dei firmatari e che nemmeno sarebbe disponibile il verbale, nonostante siano passati oltre tre mesi dalla pronuncia.
Vedremo che la sparizione di verbali e documenti ufficiali tenderà a diventare una costante nella vicenda che ci occupa…!
Si parla anche della disponibilità espressa delle associazioni dei pazienti a sottoporre cartelle cliniche ad una commissione ad hoc, costituita però da nominativi super partes e non già pronunciatisi negativamente sul Metodo. La tensione sale d’improvviso quando viene proiettata un’intervista fatta al Dr. M. Federico, presente in sala (lo stesso che aveva contestato al Dr. Tondi il commento sul seminario di Fanano), nel corso della quale l’oncologo, presidente dell’associazione Angela Serra per la ricerca sul cancro e che – come scrive “Modena Amica” – “molte voci accrediterebbero come primario del futuro centro oncologico” – definisce il Prof. Luigi Di Bella “un fenomeno da baraccone”.
La platea insorge, si scatena in fischi ed insulti contro l’oncologo, alcuni spettatori si alzano e gli amici fermano Adolfo che gli si sta avvicinando torvo a pugni chiusi. Federico impallidisce, farfuglia scuse e parla di travisamento delle sue parole, che – dice – intendevano criticare il clamore mediatico levatosi sulla vicenda.
E’ presente anche Antonietta, una bella signora che la tarda mattina del sabato di due anni prima si era presentata al cancello di via Marianini. Ad Adolfo, che presidiava l’ingresso, aveva confidato con assoluta pacatezza che aveva una recidiva metastatica di un carcinoma al seno. Era passata attraverso la chirurgia e la chemioterapia con esiti fallimentari. “Se possibile vorrei vivere un altro poco”, aveva concluso con gli occhi appena velati di lacrime, “io quella roba non la faccio più”. Si era curata con grande difficoltà, a causa delle modeste condizioni economiche, ma i risultati positivi non erano mancati, così com’era stato per un’amica che aveva convinto a seguire la sua stessa terapia. Riferì successivamente che l’oncologo del “fenomeno da baraccone”, inizialmente si era inorgoglito dei risultati ottenuti da lei e dall’amica, raccomandando loro di continuare a casa la terapia domiciliare che aveva prescritto – e che mai era stata seguita – salvo, una volta informato che le due signore praticavano in realtà il Metodo Di Bella, andare in escandescenze e gridare in faccia ad Antonietta, in presenza di testimoni: “tanto, tu devi morire”.
Lo spiacevole episodio ne richiama alla memoria altri, precedenti o successivi, attribuibili a personaggi noti o ad anonimi: come gli esposti presentati dallo stesso oncologo (e successivamente archiviati per palese insussistenza) in merito alla morte di pazienti rivoltisi allo scienziato in extrema ratio e dopo pesanti cicli chemioterapici; o come una telefonata giunta al preside di un istituto scolastico modenese alla vigilia di un’assemblea programmata per discutere sulla cura Di Bella, nella quale qualcuno – del quale il preside non renderà pubblico il nome – annuncia che il Prof. Di Bella è …indagato per truffa14.
E non sarebbe mancata qualche ulteriore falsa notizia finalizzata a creare sospetti e incrinare l’adamantino disinteresse del fisiologo: una giornalista televisiva modenese, con aria maliziosa e sguardo indagatore, chiederà ad Adolfo notizie su una fantomatica …società finanziaria creata in Lussemburgo! Si unirà poi lei stessa alla scomposta risata, seguita da un “magari!”, che avrà come risposta.
In un mondo come quello contemporaneo si creano angeli e diavoli a tavolino, scambiandone quasi di regola i ruoli. Poi il caso, disattenzioni, poco acume e mancanza del senso del limite nei colpevoli fanno emergere a volte la verità, inducendo nel pubblico un forte scetticismo e convincendolo che molti angeli portano ali posticce.
Luigi Di Bella ha ricevuto la nomination ad angelo dalla gente, non dall’alto dell’ufficialità, e proprio per questo è pericoloso. Se non è più possibile collocarlo tra gli inquilini delle bolge, allora si può tentare di rinfocolare l’incredulità collettiva per le aureole veraci e far girare voci che confermino i sospetti in letargo. La tattica è ormai collaudata, essendo stata impiegata infinite volte.
Basta assumere l’aria di chi confida un grande segreto, guardandosi di qua e di là a sincerarsi d’esser soli, dare l’impressione di considerare l’interlocutore l’unico degno di conoscere certe verità (lo si fa sentire lusingato e privilegiato) e versare l’ampolla del veleno nell’orecchio.
Le calunnie, come gli imbecilli, hanno genitori assai prolifici. Una volta vuotate un poco di ampolle tra giornalisti, uomini politici, imprenditori, autorità, penseranno i beneficiati delle rivelazioni, guardandosi intorno con circospezione e scimmiottando i rivelatori, a diffondere a loro volta il “segreto”.
Inevitabile, per chi non si é fatto sedurre dalla …”civiltà” musicale afro-americana, ma rimane pervicacemente ancorato alla musica lirica, cameristica e sinfonica occidentale (cioé alla musica), ricordare la celebre e magistrale cavatina di Don Basilio nel primo atto del Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini:
La calunnia è un venticello
Un’auretta assai gentile
Che insensibile, sottile,
Leggermente, dolcemente,
Incomincia, incomincia a sussurrar.
Piano, piano, terra terra,
Sottovoce, sibilando,
Va scorrendo, va scorrendo
Va ronzando, va ronzando
Nell’orecchie della gente
S’introduce, s’introduce destramente
E le teste ed i cervelli
Fa stordire e fa gonfiar.
Dalla bocca fuori uscendo
lo schiamazzo va crescendo,
Prende forza a poco a poco,
Vola già di loco in loco,
Sembra il tuono, la tempesta
Che nel sen della foresta
Va fischiando, brontolando,
E ti fa d’orror gelar.
Alla fin trabocca e scoppia, si propaga, si raddoppia,
E produce un’esplosione
Come un colpo di cannone,
Come un colpo di cannone,
Un tremuoto, un temporale,
Un tumulto generale
Che fa l’aria rimbombar.
E il meschino calunniato,
Avvilito, calpestato,
Sotto il pubblico flagello,
Per gran sorte va a crepar15
Ci rammarica aver dovuto finora dedicare tanto spazio ai movimenti di burattini, distogliendo l’attenzione del lettore dalle cose che più contano: come vive lo scienziato il momento, quali siano i suoi pensieri e, dall’altro fronte, quali strategie si elaborano per fermare la minaccia che egli rappresenta. Cercheremo di rimediare riducendo all’indispensabile la cronaca del periodo, ben consapevoli che il lettore interessato ad una cronologia minuziosa degli eventi od a una trattazione ancora più approfondita ed obiettiva della sperimentazione può riferirsi ad altre fonti conoscitive16.
Le amarezze sono tante in questo mese di novembre. Se nel corso di una intervista negli studi di una emittente privata17 aveva avuto la gioia e la soddisfazione di sentire in diretta la telefonata del Prof. Storti, che aveva usato espressioni di stima e di amicizia nei suoi confronti18, il tre novembre manca Rosanna Carrozzini, presidente dell’associazione di Trento. Viene meno con lei una delle poche persone limpide e perspicaci che gli si erano accostate.
Il clima caotico porterà all’avvicinamento di altri, mossi da finalità diverse: qualche volta lodevoli, molto più frequentemente inconfessabili. Ma anche nel migliore dei casi si tratta di persone inadeguate. Giornalmente i postini recapitano un numero esorbitante di lettere e di grosse buste contenenti documentazione clinica. Occorrerebbe un nugolo di collaboratori solo per esaminare con la dovuta attenzione i casi esposti, molti dei quali relativi a reduci dal fallimento delle terapie abituali ed in condizioni difficilmente recuperabili. Come possibile si cerca di mettere un po’ d’ordine in quel pandemonio di carte e lastre e di privilegiare il più possibile i pazienti che hanno qualche probabilità di recupero rispetto ad altri. Un compito terribile, informato ad una logica ineccepibile, ma che fa recalcitrare di fronte all’impulso dell’animo di dare aiuto a tutti.
Luigi è sconvolto dal violento cambiamento di abitudini. Deve essere sempre presente, pronto a dare mille risposte a richieste di ogni genere, proposte, suggerimenti, consigli, raccomandazioni. Assai spesso giungono cartelle cliniche portate da incaricati della locale prefettura: un sistema ideato per ottenere una visita dello scienziato da parte di notabili di ogni settore dell’attività sociale, alcuni dei quali pronti poi a schierarsi contro il suo …empirismo.
In questo periodo fa capolino anche un’iniziativa che lo vede assai contrariato: quella di creare una società scientifica che – gli viene detto – lo ponga al riparo da esposizioni personali, e supporti la ricerca. Tra i promotori c’è chi ha intenzioni assolutamente oneste; chi, latitante da anni, sente la fregola della notorietà; chi non si rende conto della propria ignoranza e insignificanza; chi infine, annusa ritorni pragmatici. La luna spaccia per propria la luce del sole. Nessuno sembra rendersi conto CONTRO CHI e CONTRO CHE COSA stia lottando, assolutamente solitario e incompreso, il Prometeo dai capelli bianchi.
Un tempo Luigi avrebbe respinto rudemente una proposta come questa, ma ora si sente smarrito, strattonato e tirato com’è da tutte le parti, con mille voci che lo assordano, e coinvolto com’è in una disputa non esclusivamente scientifica. Privato della sua amara ma intima solitudine, comincia a sfiorarlo qualche timore di commettere errori seguendo la logica ed il suo istinto interiore: che erano invece l’unica affidabile bussola di percorso. Ma, per obiettività, è giusto riconoscere che é difficile per chiunque orientarsi in questo intricatissimo e malefico alveare, divenuto all’improvviso ronzante e minaccioso all’irrompere della luce e dell’aria della verità. Difficile come in tutte le situazioni nelle quali viene disturbata una “normalizzazione” calcificatasi da decenni nella coesione di falso e iniquo.
A volte l’eccesso di qualità, come l’umiltà, può incidere su decisioni che sarebbero infallibili se soccorresse …un pizzico di qualità in meno! A posteriori siamo tutti immensamente saggi: rimproveriamo errori a politici, correggiamo mosse a strateghi, troviamo soluzioni che tanti grandi della storia avevano cercato invano, tanto che i più ingenui, ingannati dalla nostra sicumera, potrebbero pensare: “caspita, se a decidere ci fosse stato lui!”. Un po’ come i più appassionati tifosi del calcio, gonfi di infallibilità e sempre pronti a sgolarsi contro giocatori e allenatori colpevoli di errori a loro giudizio inescusabili.
Quale avrebbe potuto essere la decisione giusta? Una possiamo individuarla senza tema di errore: buttare fuori tutti da casa sua, e chiudere la porta al reggimento di trepidi sostenitori, estatici ammiratori, indefessi consiglieri e perfino “le sarò eternamente grato”, che senza eccezioni non valevano nemmeno una sua unghia e cercavano, chi più chi meno, il loro pro. Per altre decisioni, avanzeremo più in la qualche ipotesi, mettendo però sin d’ora le mani avanti: come avremo modo di argomentare, qualsiasi strategia esigeva quale preventiva “condicio sine qua non”, smantellare i centri di potere e di influenza del potere in tutto il mondo…
La sua innata modestia, accentuata esageratamente dalle spinte di un’indole schiva ed aliena dalla diplomazia sociale, lo tiene in tensione: c’è un’intera nazione, anzi, il mondo intero che guarda verso di lui; vi sono frotte di giornalisti perpetuamente in agguato, mentre si susseguono interrogazioni parlamentari, dichiarazioni, anatemi e, da poco, provvedimenti giudiziari a favore di pazienti in cura che hanno fatto clamore e …scalpore tra altolocati benpensanti.
Senza giri di parole: qual’era la sua opinione, quale la condotta che avrebbe tenuto? Ne aveva fatto cenno in qualche intervista dicendo in sostanza:
“Io mi occupo di ricerca scientifica e di scienza applicata. Qualsiasi iniziativa e qualsiasi azione debbono scorrere in questo alveo. Non mi interessano giornali, televisione e men che meno i politici. A me interessano esclusivamente le acquisizioni scientifiche ed i loro apporti sotto il profilo terapeutico e umanitario. Se ci si degna di prenderne atto, bene; in caso contrario, vadano a quel paese e se la vedano con la loro coscienza e il tempo a venire. Io il mio dovere e tutto quello che potevo fare l’ho fatto”
Questa sua posizione viene contrastata da numerose persone che premono, facendogli presente come non possa governare da solo una situazione così multiforme ed eterogenea. Ognuno degli interlocutori “sa come si fa” – pur non avendo capito nulla di quello che sta veramente succedendo – e cerca di scalzare gli altri araldi di piani d’azione. Ben presto sarà tutto un incrociarsi di sguardi di ostilità tra aspiranti portavoce o di ammiccamenti per alleanze eterogenee, beninteso col proposito di tradirle e, appena eliminata la concorrenza, mettersi in proprio. Nessuno sembra aver capito che, quantomeno nel breve termine, è impensabile prevalere su chi contrasta la visione scientifica di Luigi Di Bella. Ne rimarranno delusi sia i pochi idealisti, che quanti pretendono di vestire abiti di taglia troppo più grande della loro. Quanto ai tanti mascalzoncelli che davanti a lui mimano l’estasi di santa Teresa, le loro previsioni affaristiche rimarranno in gran parte deluse.
L’iniziativa alla quale abbiamo accennato prima – quella di fondare una società scientifica – prende forma in quanto non contrastata decisamente dallo scienziato, a causa della disposizione d’animo di cui abbiamo riferito. Tra i promotori c’è un ex interno di Fisiologia, laureato in farmacia, qualche medico onesto, qualcun’altro no e una farmacista. Nessuno, insomma, nemmeno lontanamente in grado di capire e men che meno portare avanti la ricerca o rappresentare la sua opera. Giancarlo Minuscoli, che questo comprende meglio di altri, è assai poco convinto delle ragioni e dell’opportunità di fondare una società scientifica, ma si rimette disciplinatamente alle decisioni di Luigi, al quale viene assicurato che, comunque, sarà lui il presidente della neonata SISTE (Società Italiana per lo Studio delle Terapie Biologiche). Nel momento di firmare l’atto costitutivo, Luigi scopre con disappunto che non ne sarà il presidente effettivo, ma solo onorario: per non esporlo, gli si dice. Tace, ma ne rimane urtato: di fatto, si trova ad avere prestato il suo nome a persone delle quali ha un’opinione assai tiepida, e destinata a breve a raffreddarsi ulteriormente, senza poter sindacare l’operato della società.
I provvedimenti giudiziari ai quali fatto cenno riguardano decisioni di alcuni pretori che condannano le aziende sanitarie circoscrizionali a fornire gratuitamente ai pazienti i farmaci della terapia, primo fra tutti la costosa somatostatina. Particolare eco suscitano i decreti del Dott. Carlo Madaro, pretore di Maglie, in provincia di Lecce, contro il quale si infittiscono gli strali di chi vede nel suo operato un ulteriore ostacolo alla “normalizzazione”.
Questo tribolato 1997 si conclude in un clima di tensione e di incertezza estreme. Pippo e Adolfo guardano smarriti verso il futuro. Da una parte hanno condiviso fin da piccoli le amare esperienze del padre e vissuto le censure feroci di venticinque anni prima; dall’altra si sentono rinfrancati dall’appoggio morale della quasi totalità della pubblica opinione, in realtà più variabile di una manica a vento. Non passa giorno che non emergano testimonianze sui benefici della terapia, ma i vertici della medicina continuano ad essere ferocemente contrari e le istituzioni sanitarie manifestano una chiusura totale.
Anche la loro vita risulta sconvolta da quanto sta accadendo: entrambi vengono avvicinati da disperati in cerca di una visita, una indicazione, un suggerimento. Pippo in particolare è subissato da telefonate continue e da malati che lo raggiungono nello studio o lo accostano per strada. Notano anche qualche “tic” strano nel corso di comunicazioni telefoniche, o, sollevando la cornetta, credono di percepire per un istante, prima che si innesti il segnale, rumori e voci di ambienti, come per un contatto tra apparecchi – come si diceva un tempo – ”duplex”.
Coinvolti in prima persona, oltre che preoccupati per le non più sostenibili fatiche del padre, si guardano intorno sperando nel consiglio e nell’aiuto di persone sinceramente devote e prive di secondi fini. Incorrono così in un grave errore: paralizzati dal timore di recar danno al padre per la loro inesperienza, rischiano di lasciare spazio a persone poco perspicaci, quando non prive di scrupoli.
In questo clima di concitazione gli unici a trarne vantaggio sono medici che prescrivono dopo aver fatto incetta di fotocopie di prescrizioni dello scienziato e farmacisti che, senza conoscere il loro mestiere, senza alcuna esperienza in tema di galenici, né possedere le attrezzature necessarie, vendono soluzione di retinoidi e melatonina coniugata dall’incerta composizione: di qualità infima, opinabile efficacia e, nei casi limite, causa di disturbi.
Luigi, come già riferito precedentemente, ha in genere un’opinione negativa su quanti dicono di prescrivere la sua terapia e raccomanda alle associazioni in ogni occasione di astenersi dal fare nomi. Più volte quando Adolfo, nel tempo libero da impegni di lavoro, cerca di dare indicazioni alle centinaia di persone che attendono per ore davanti al cancello di via Marianini, lo riprende se fornisce nominativi di medici:
“…quando vengono qui sono tutti confessati di fresco, devoti, devotissimi! Ma tu sai cosa fanno quando sono nei loro studi? Sai quello che dicono? Sai se chiedono delle fortune per una visita? Se fai dei nomi ti prendi la responsabilità del loro operato: e tieni conto che in massima parte sono ignoranti e non capiscono niente”
Quando richiesto personalmente dai suoi pazienti di un nominativo che possa seguirli da vicino, rifiuterà il più delle volte di pronunciarsi. Le eccezioni sono costituite unicamente da Giuseppe e da Giancarlo Minuscoli.
Ne ha ben donde, d’altra parte. Gli esempi di mediocrità dei sedicenti “allievi” sono quasi infiniti.
Un allampanato personaggio che ha assistito ad alcune visite e che egli raccomanda non sia fatto più entrare, data la sua “abissale ignoranza” – così si pronuncia – balza agli onori delle cronache locali quando viene sorpreso mentre prescrive ad attoniti pazienti seduto ad un tavolo del bar vicino. Dopo qualche tempo non si periterà di presentarsi, nella sua regione di origine, come il “braccio destro del professore”, il quale, informato della millantata credenziale, mormorerà: “cento volte meglio essere mutilato!”.
Un secondo, di corpulenta goffaggine, si presenta ogni tanto con una cassetta di arance e qualche caso da far esaminare. Una volta porta con sé un paziente che a suo dire non risponde alla terapia. Luigi esamina la documentazione clinica, visita il malato accuratamente ed alla fine redige una lunga prescrizione, compendiata da precise norme dietetiche. Dopo che il malato va via, investe malamente il donatore di agrumi:
“ma lei è davvero medico?”
“professore …certo…”
farfuglia più confuso che contrito il destinatario della domanda.
“E’ medico e non si è accorto che quel povero disgraziato ha un fegato da elefante? Ma come fa a rispondere alla terapia uno con un fegato compagno?”
Negli anni successivi a questo episodio l’agrumofilo, che per l’attività di fotografo aveva l’attitudine che gli difettava in campo medico, ostenterà interi album di istantanee scattate in ogni circostanza, uso com’è seguire lo scienziato con la pertinacia dell’ispettore Javert19.
Quanto ad una dottoressa della capitale, ma di nascita estera, che ronza spesso intorno al laboratorio nella vana speranza di essere nuovamente ricevuta, il padre raccomanda ad Adolfo: “non farla entrare per nessun motivo. Sa niente e capisce ancor meno”. Questa troverà peraltro il modo di rassicurare i clienti dubbiosi presentandosi quale “fiduciaria” del Prof. Di Bella, vantando inesistenti lauree – oltre quella, inspiegabilmente conseguita, in medicina – e giungendo anche, di fronte a malcapitati pazienti (qualcuno, buon osservatore, riferirà il particolare…) a simulare confidenziali colloqui con lo scienziato da un telefono con la spina staccata.
Di un medico romano assai compreso di sé e che aveva acquisito una certa notorietà, dirà: “è di una ignoranza inferiore solo alla sua presunzione”.
E per finire con un’altra provenienza capitolina (un elenco completo di casi analoghi occuperebbe un capitolo intero), c’è chi pernotta con il proprio camper in un posteggio a pochi passi dallo studio, con marito al seguito, e – scherziamo, ma poco ci mancherebbe – gatto di casa in cuccetta e gabbia del canarino appesa al finestrino. Saranno questi i sedicenti “allievi” e fiduciari…
Ma cosa é diventata la medicina…? Risposta semplice e lapidaria: quello che è diventato il Paese.
Non si tratta di giudizi malevoli o poco soppesati. Centinaia e centinaia di lettere giunte da pazienti, inviategli insieme ad esami clinici ed alla prescrizione di medici che dicono di seguire la terapia, recano giudizi circostanziati e motivati della sua quasi indiscriminata disistima, formalizzata sul retro della busta o in biglietti allegati. Ben presto lo dirà anche nel corso di diverse interviste20.
Come dicono e diranno quanti avranno la fortuna di essere seguiti personalmente dal Prof. Luigi Di Bella: “lui è un altro mondo”.
Per soddisfare tutte le rivendicazioni d’essere il suo braccio destro, lo scienziato avrebbe dovuto avere l’aspetto di una multipla dea Kali.
Dall’altra parte, quella dei nemici di sempre, non si respira aria migliore. La situazione è complicata dall’accennato e insopprimibile favore della pubblica opinione. Secondo fonte attendibile:
“tutti i sondaggi erano concordi nel rilevare che una percentuale variabile tra l’ottantacinque ed il novantacinque per cento degli italiani, se si fosse ammalata di tumore, avrebbe voluto curarsi col metodo Di Bella. E anche nella cosiddetta medicina ufficiale il numero dei diffidenti non superava i due terzi21“
Con una situazione simile ed il rischio di un “contagio” sempre più consistente tra la classe medica, c’è poco da stare allegri. Certo, i baluardi nel mondo dell’informazione sono saldamente presidiati, ma realisticamente non si può chiedere una censura sistematica od una costante mistificazione se non si riesce ad abbattere la popolarità di un personaggio. E quest’uomo è veramente micidiale, sovversivamente integerrimo, pericoloso per tutto l’establishment.
Persone semplici come persone colte, uomini, donne, giovani, anziani, lo sentono parlare come mai avevano sentito parlare nessun medico o scienziato, colgono istintivamente un messaggio che non si può contraffare, e fiutano un odore inconfondibile: quello della verità, la più grande nemica di tutte le tirannie, palesi od occulte esse siano. Si ripete insomma la stessa angosciosa situazione di una cinquantina di anni prima, quando nella più spietata impotenza ad opporre critiche sostenibili, l’unica via era apparsa farfugliare calunnie assurde, individualmente, e in assenza di testimoni: ma ora che si é messo a querelare, che se fa…?
Attingendo al corposo Almanacco del parassita, saranno reclutate invano frotte di sociologi scribacchini ed esperti delle tecniche di comunicazione per spiegare il motivo di questa fiducia sorgiva e ferma. E non manca chi non vuol comprendere come stiano le cose e si lascia sedurre dalla tentazione di atti d’imperio, che non solo non servono, ma si ritorcono contro chi tenta di porli in essere. Scontata poi la rabbiosa e ingiuriosa reazione di chi, senza avere “mai tastato il polso di un malato”22 non si rende nemmeno conto che certi sbracati insulti fanno capire tante cose…
L’ombra di Poggiolini e di De Lorenzo è assai lunga.
Si fa strada allora l’idea di chiedere un tot di cartelle: un anno prima – a dire la verità – erano state offerte alla ministra della sanità in un incontro che pareva promettente; ma successivamente era stato interrotto ogni contatto.
Saranno le stesse associazioni a provvedere. Ci fosse un genuino desiderio di verificare se la terapia funziona, questa sarebbe l’occasione giusta: una volta noti nominativo e residenza di un malato, si può rintracciare con grande facilità la completa documentazione ospedaliera, controllare la diagnosi, l’esito delle eventuali terapie di rito, gli esami di controllo dopo il MdB e stabilire, senza arrampicarsi sugli specchi e senza la più remota possibilità di errore, se la terapia è efficace. Ma – aggiungiamo – di casi disponibili, e quanti se ne vogliono, disporrebbero da decenni gli spregiatori di mestiere, senza bisogno di cartelle (che hanno di già). Questo si sarebbe potuto e, soprattutto, dovuto fare venticinque anni e duecentocinquantamilioni di morti prima23. Vedremo che non lo si farà nemmeno in questa occasione: assumendosene la responsabilità di fronte alla storia e a Dio.
La richiesta delle cartelle è lecito considerarla come atto preliminare di un piano strategico, al momento ancora piuttosto confuso. Occorrerà attendere che reparti di ricognizione e addetti ai…Servizi consegnino i loro rapporti. Grazie a indiscrezioni filtrate direttamente da stomacati addetti delle forze dell’ordine, si scoprirà successivamente che il telefono é da tempo sotto controllo, mentre vengono notati da tutti – e a volte riconosciuti – strani personaggi che si aggirano costantemente nei dintorni. Diventato più nitido il quadro generale, componenti di sinedri che non debbono render conto di nulla a nessuno ed a nessuno obbedire, detteranno le linee d’azione generali, delegando ai loro tremanti e trepidanti feudatari l’esecuzione minuta. La posta é elevatissima, e va ben oltre e ben sopra la pur importantissima e tutelatissima speculazione farmaceutica. Qui si gioca la credibilità di un intero sistema di potere; di un intero mondo che da decenni regge i fili tra nembi di un incenso all’aroma di “libertà”, “progresso sociale” e “democrazia” ossessivamente evocati in blasfeme orazioni giornaliere.
Dopo il precipitoso e tachicardico rientro da Londra di un noto farmacologo in curiosa coincidenza con l’ultima e pleonastica pronuncia negativa sul Metodo dell’Assemblea Generale del Consiglio Superiore della Sanità, il 19 dicembre 1997, lo sbandamento nel fronte contrario appare senza fine. Per giunta il diavolo pare averci messo la coda, dato che qualche giorno prima si è diffusa una notizia che rende ancor meno credibile la versione ufficiale di “cure convalidate ed efficaci”, contrapposte al Metodo Di Bella: la morte di Giovannino Agnelli in seguito ad un leiomiosarcoma.
Il rampollo della nota famiglia, dopo la diagnosi formulata nel precedente mese di aprile, è ricorso inutilmente alle cure del Memorial Sloan Kettering Center di New York, peraltro uguali a quelle che si praticano in tutto il mondo: chirurgia e chemioterapia. I giornali più ligi all’ortodossia parlano di una forma di tumore “rarissima e gravissima”, della quale sarebbero rubricati solo 56 casi in tutto il mondo. Peccato che Luigi Di Bella ne abbia trattato a iosa e con successo: la solita bizzarria della sorte. Un membro della famiglia convoca chi potrebbe avvicinare lo scienziato. Un incontro a dire il vero imbarazzante, dato che il convocante presta all’ospite un’attenzione alterna, tra una telefonata e l’altra, con un’aria fra il distratto e l’annoiato, quasi avesse di fronte un rappresentante di lacci da scarpe. Quando l’invitato, indignato anzi che no, si alza congedandosi, la sorte del povero giovane é segnata.
Vicini di casa riferiranno turbati delle urla di dolore del povero giovane, udibili a volte fin dalla strada.
In questo periodo tutte le famiglie “vip” sono attentamente presidiate nel caso che il male insidi qualche loro componente: “esperti” sono pronti ad accorrere con una valigetta di ampolle (rimandiamo il lettore alla cavatina di don Basilio prima evocata).
Di lì a qualche anno lo sfortunato giovane, la cui fine commuove tutta l’Italia, sarà raggiunto nella tomba dal padre Umberto e dallo zio Giovanni: tre casi, tre tumori diversi, tre morti, in una famiglia che poteva curarsi con quanto ritenuto il meglio nel campo delle terapie oncologiche!
Per la fortuna di chi passa annualmente sotto l’arco di trionfo del cinquanta per cento e passa di guarigioni, il diavolo, a parte la coda, non ci ha messo altre parti del proprio corpo (è stato anche lui richiamato all’ordine?): le tre tragedie non si verificheranno contemporaneamente.
A questo punto sembra quasi che qualcuno abbia scosso la testa di fronte alla stupidità ed inutilità di azioni grottescamente impositive e abbia mandato a dire: “fate così e così…! Ma bisogna insegnarvi proprio tutto!”.
Occorre abbattere a qualsiasi costo il consenso plebiscitario che riscuote il fisiologo nel paese. Ed il mezzo pare si sia trovato. A tempo debito si potrà aggiungere anche un adeguato companatico, come vedremo. Non c’è altro mezzo d’altronde: a rivoltare questo rompiscatole a testa in giù non esce un soldo o un qualcosa di compromettente, e i tentativi di intercettare la protesta di qualche paziente deluso risultano totalmente infruttuosi. Anche con i figli non è andata meglio e qualche giornalista un po’ troppo zelante e dalla fantasia spigliata sarà costretto a rimangiarsi affermazioni inventate di sana pianta per evitare il corso di una querela.
Una scena descrive meglio di tante parole il disagio dello scienziato in quell’agitato mese di dicembre. Nel tardo pomeriggio del 18 dicembre una troupe televisiva giunge in via Marianini. Davanti al laboratorio si fermano alcuni camion della Rai, uno dei quali dotato di una sorta di gru che eleva al di sopra di tutti gli edifici circostanti le antenne speciali per trasmettere in diretta: nel buio della sera sembra di vedere un orrido mostro, da set di film sull’invasione aliena della terra. C’è un freddo intenso, ma il portone d’ingresso deve stare spalancato per consentire a tecnici e personale ausiliario di collocare all’interno telecamere e riflettori ed accessori, mentre grovigli di pesanti cavi neri si addentrano come mostruose serpi fin dentro lo studio. E’ tutto uno spostare mobili, suppellettili, oggetti, tra lo sguardo smarrito, angosciato, desolato di Luigi, già sfinito da una giornata di visite, telefonate, incombenze di ogni tipo. Nei suoi occhi una tristezza indicibile ed insieme una tacita richiesta, tra l’irritato ed il supplichevole: “almeno adesso che sono vecchio lasciatemi in pace”.
Adolfo è costernato, incontrando lo sguardo del padre. Si incollerisce e dice a chi (ancora si ritiene, erroneamente, per finalità lecite) ha intermediato con i responsabili della rete televisiva, che non tollererà più si ripeta una cosa simile. Abbagliato da quelle luci innaturali che gli arrossano gli occhi, costretto a tenere un auricolare per la sordità parziale provocatagli dall’attentato di due anni prima, infreddolito dall’aria gelida che spira dalle porte forzatamente aperte, non vede l’ora che tutto finisca per buttarsi finalmente a riposare e stare in silenzio nella sua poltrona.
Solo il riguardo, la deferenza, l’evidente ammirazione del personale televisivo mitigano come possibile quella impressione sgradevole di invasione brutale. Una vera violenza.
No, si è superato davvero ogni limite, e poco importa che milioni di telespettatori seguano la trasmissione (Moby Dick) e che i cinque luminari incaricati di difendere le posizioni della medicina oncologica escano decisamente malconci dal confronto con lo scienziato.
La risposta alla trasmissione dei telespettatori è una doccia fredda per gli avversari del fisiologo. Ne recano parziale testimonianza una serie di fax giunti ad una emittente della capitale, allora assai seguita, dei quali ne citiamo qualcuno:
- “Al Babbo Natale più bianco, dolce, bello, umano mai apparso in tv l’invito a continuare così per portarci doni ancora più belli. Un bacio Pasquale”;
- “Massima disponibilità per il Prof. Luigi Di Bella, luminare della scienza, che con la sua umiltà ha messo ieri sera, 18/12/97, in ginocchio la sanità pubblica. C.P.”;
- “Giovedì 18 dicembre 1997, dalle 20,30 alle 23,30 – tre ore – uno contro tutti, esimio Prof. Di Bella ancora una volta (e non c’erano dubbi) lei ha vinto e se la trasmissione durava altre tre ore, i suoi avversari avrebbero abbandonato, per manifesta inferiorità sia umana che culturale. Lei è un grande. Un abbraccio da una persona qualunque che le vuole un bene dell’anima. S.C. – Roma”;
- “Grazie per aver rinnovato in noi la speranza di vivere!!! Grazie per aver dimostrato alla nazione intera quanto ha fatto per guarire moltissime persone. Grazie per averci aperto gli occhi!!! L.R.”;
- “Le lotte sono due: il cancro e la medicina ufficiale. Grazie Prof. Di Bella”;
- “Siete l’orgoglio degli Italiani ‘veri’. Grazie per tutto quanto state facendo. Tanti auguri Professore, sei un grande e ti voglio tanto bene. R.C.”;
- “Al di fuori della mia famiglia, è la prima volta che una persona mi fa sentire tanto importante, da sacrificare la sua vita per me. Auguri Professor Di Bella. Pietro”;
- “Non sono un bigotto, ma un uomo che crede in Gesù Salvatore. In questa faccenda la Bibbia ci viene a parlare. ‘Reietto dagli uomini, uomo dei dolori, che ben conosce il patire’. Mentre ieri sera a Moby Dick i 5 (cinque) oncologi sembravano veramente gli scribi ed i farisei. ‘Avete occhi e non vedete, avete orecchie e non udite. Forza profeta Di Bella, in te c’è tutta la nostra speranza. Carlo”;
- “Per il nostro Professore Luigi, GRAZIE per la lezione di vita. Lei non morirà mai, coraggio continuiamo a combattere. Il mio sogno oggi è poterla incontrare e piangere con lei”.
Un campione delle emozioni e delle riflessioni che con il suo tipico fare antiretorico, asciutto, semplice, Luigi ha suscitato.
- “La dirittura morale dello scienziato, la competenza straordinaria, la freddezza, il disinteresse per qualsiasi forma di guadagno bucano letteralmente lo schermo, destando simpatia tra i cittadini e l’ulteriore loro sfiducia verso le istituzioni sanitarie[24]”.
A questo punto, gli osservatori della parte avversa comprendono definitivamente che la battaglia per condizionare la pubblica opinione è persa, se non trovano argomenti convincenti da gettare nella contesa. A Luigi – beninteso – non interessa nulla di contese o di battaglie. Quello che gli sta a cuore è, anzitutto, che lo lascino in pace; in secondo luogo, che si faccia strada un minimo di onestà intellettuale e di senso di responsabilità. Ma non si fa alcuna illusione.
In un’intervista del 22/12 dichiara che:
“ […] hanno tentato di fermarmi in tutti i modi e continuano a farlo. Contro di me c’è un’atmosfera infuocata, inquinata da fattori non scientifici. Stanno costruendo invenzioni per bloccarmi…25“
Appare anche qualche titolo che centra il problema…
Sarà un Natale triste per tutta la famiglia. Luigi si sente troppo stanco per muoversi dal laboratorio, dove lo raggiungono i figli, le nuore ed i nipoti per gli auguri e un saluto.
Pochi giorni dopo, anacronistico e in stridente contrasto con il clima natalizio, compare un documento elaborato da un recidivo presidente della Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici, che sembra ispirato da una passionale fedeltà al fronte contrario:
“…il presupposto illuministico della conoscenza….viene messo sempre più in dubbio da un irrazionale neo-romanticismo, antiscientifico e antitecnologico, nonostante i successi conseguiti dalla medicina…”
Così inizia l’alato proclama, per concludersi con la ribadita minaccia di sanzioni disciplinari a medici che prescrivano il metodo ed una curiosa affermazione che, da una parte, tenta di dare una spiegazione (?) delle ormai continue testimonianze di efficacia, dall’altra avvertire i fanatici della chemio e radioterapia che si portano anch’essi una fetta di responsabilità:
“E’ altresì noto che il successo di una cura, magari limitato nel tempo, dipende spesso dall’entusiasmo del terapeuta e dalla fiduciosa speranza del paziente, specie se quest’ultimo è stato catalogato tra gli incurabili dalla medicina ufficiale, o ancor peggio, è stato sottoposto a un devastante quanto inutile accanimento chemio e radioterapico[26]”
Incredibile! Se ne sono accorti pure loro?
L’immagine evocata di un Luigi Di Bella che sussurra “a me gli occhi” ai pazienti, con lo sguardo appannato di mistico ipnotizzatore, ci sembra davvero troppo idiota, e troppo indigeribile anche per chi avesse uno stomaco di struzzo. Se certuni si rendessero conto di quale immagine di se stessi offrono con le proprie parole, dovrebbero autoquerelarsi.
Immancabile la minaccia, non importa se palesemente illegale, e l’isteria impositiva, che deve essere un chiodo fisso, una componente genetica trasmigrata dai regimi del blocco sovietico alle farisaiche “democrazie” odierne; dalla feccia politica alla medicina coatta: come si suol dire, stessa pasta.
Nel panorama da “un colpo al cerchio ed uno alla botte”, lo stesso giorno compaiono notizie che imbarazzano i candidati proibizionisti, oltre la solita, scontata penalizzazione dei malati che hanno la pretesa di scegliere come curarsi.
L’ultimo dell’anno si conclude per Adolfo in sintonia con il clima di quel periodo. L’abete sembra quasi sforzarsi di essere festoso con le luci multicolori ed i suoi ornamenti argentati e riesce a dare solo un alito della serenità e della poesia di un tempo. Lui e Maria Letizia stanno cercando un poco di requie davanti al camino acceso quando, verso le undici di sera, suonano alla porta: sono due fratelli, un ragazzo ed una ragazza, che vengono a chiedere aiuto per il padre, malato terminale di cancro. Una disperazione composta ma evidente nei loro sguardi, testimonianza ulteriore del dolore fisico e morale che la medicina corrente è incapace di evitare. I padroni di casa cercano di intrattenerli e rincuorarli e indicano loro i recapiti di medici che si augurano prescrivano fedelmente il metodo. Quando i due fratelli escono col viso chino dal cancelletto, i “botti” che salutano l’anno appaiono paradossali, fuori luogo, simboli della solitudine e dell’indifferenza del mondo alle tragedie individuali.
Quanto al vecchio leone, é troppo stanco per farsi dominare dallo scoramento della solitudine, e le sue orecchie, pur ovattate dalla sordità, hanno sete di silenzio assoluto. Dalla poltrona, Science aperta sulle gambe, si guarda intorno, e considera come si sia…ristretto il suo già minuscolo regno: un garage riconvertito in stanza, dal soffitto abbassato con piastrelle di polistirolo; la vecchia stufa economica che gli fa compagnia con i suoi “ziiiii” e ricorda le fusa della sua Lucci, la siamese che riposa sotto la terra gelata del giardino; il tavolo ingombro di carte e di corrispondenza inevasa e dal quale gli sorride una fotografia di Ciccina. Il silenzio é interrotto ogni tanto da schiamazzi ora vicini ora lontani, e da tardivi lanci di petardi con i quali si intende festeggiare il 1998. Un alito di conforto gli giunge soltanto dal pensare ai suoi “piccoli” – oggi cresciuti e divenuti a loro volta papà – che tanti anni prima (sembra ieri!) andavano a dormire nella loro cameretta dopo avergli dato il bacio della buonanotte.
***
L’inizio del nuovo anno coglie Luigi estremamente contrariato. Certo, è il lottatore di sempre, ma il panorama attuale, pur continuazione di situazioni già vissute, ha connotazioni nuove ed estranee alla logica scientifica: l’unica che gli interessi. Non parla volentieri del presente e quando viene interpellato risponde spesso in modo evasivo: è troppo saturo di pensieri amari per gradire che vengano rievocati da altri. Gli sono di conforto e incoraggiamento le espressioni di stima e di affetto di tante lettere, e la vicinanza dei figli lo fa sentire amato e realizzato come padre; ma sanno gli altri, capiscono gli altri la sua condizione, i suoi stati d’animo?
Il fariseismo degli ambienti accademici lo ha tormentato e nauseato per decenni, allo stesso modo della supponenza ed arroganza delle caste mediche. I ragli più sonori vengono dai somari più grossi.
Ha sofferto, taciuto, combattuto, donato senza chiedere mai nulla ed ora che nello scampolo di vita che gli rimane non può nemmeno prender fiato, nemmeno sperare in un minimo di quiete, qualcosa dentro di lui si ribella. Sia quello che sia!
Tra i cosiddetti amici, ben pochi sembrano tener conto dei suoi anni e rispettare il diritto – almeno questo – di vivere come vuole. Il Prof. Di Bella? E’ una roccia, ripetono! In altre parole, non occorre preoccuparsi minimamente della sua resistenza fisica e psicologica e anzi conviene spremerlo sino in fondo come un’arancia: fin che c’è.
In realtà la sua salute non è delle migliori.
Ha sempre avuto la pressione tendenzialmente bassa, ma adesso è costretto saltuariamente a ricorrere ad ipotensivi, mentre cominciano a manifestarsi turbe cardiocircolatorie non frequenti né particolarmente acute, ma nondimeno preoccupanti. L’udito offeso lo mette a volte in situazioni di disagio: ben poca cosa, comunque, rispetto al dramma di un calo graduale e inesorabile della vista, che letteralmente lo terrorizza.
Chiasso, troppo chiasso intorno, sembra dire. Tutti parlano, tutti ostentano certezze, propongono, organizzano: presentandosi a suo nome e pensando di trasformarlo nella pedina di una scacchiera sulla quale non cercano vittorie sportive, ma vantaggi personali. Le sue reazioni sono alterne ed a volte apparentemente contraddittorie. Gli manca la sua casa, nella quale rifugiarsi al termine di una giornata di lavoro, gli manca il silenzio laborioso di prima, gli mancano i brevi giri in bicicletta da anonimo cittadino per fare un po’ di spesa: lattine di fagioli, latte condensato, sale, caffè e zucchero. Le sue abitudini di vita sono ormai note, ma solo la gente vi coglie quel che c’è da cogliere: il candore, la semplicità di modi e l’amore per la frugalità. Le descrizioni che ne fanno certi giornalisti finiscono per diventare stereotipi, sui quali imbecilli a cottimo sfrenano la loro insipida ironia.
La violenza che viene fatta a consolidate e rassegnate abitudini di vita è, in sintesi, una delle spiegazioni di suoi comportamenti successivi, unitamente a tratti caratteriali propri di un’indole poliedrica e di un’acuta sensibilità. Senza dimenticare – cosa fondamentale – la chiarezza con la quale considera il contesto contemporaneo della società, della scienza, della sanità: chiarezza di visione che nessuno possiede quanto lui e che i superficiali giudicano pessimismo caratteriale. E’ vero che, studiando la storia, certe svolte rivoluzionarie sembrano miracoli, ma oggi il miracolo che emergano consapevolezza scientifica, eticità accademica e medica, coscienza politica, sembra davvero troppo miracolistico.
In poche parole: procede con la rassegnazione di chi, condannato ingiustamente alla ghigliottina, ha la consapevolezza che solo un prodigio potrebbe cambiare le cose, anche se é convinto che le sue idee si affermeranno in futuro. Lo vogliono sommergere di divieti e indignazioni comandate? Lo vogliono ingannare? Facciano pure. Ha un tale disprezzo per chi adotta questi comportamenti, da volerlo dimostrare paradossalmente proprio con il rifiuto di difendersi. Altre volte ha detto di chi prostituisce l’etica medica e scientifica: “mi fanno pena, li compatisco”.
Con l’inizio del 1998 la strategia per stornare il pericolo Di Bella – come prima accennavamo – sembra essere stata abbozzata e tutto fa presupporre che si sia provveduto ad illustrarla e spiegarla a chi dovrà sovrintendere alla sua attuazione. Vedremo come incidenti di percorso ci abbiano fornito documenti firmati a conferma di questo intimo e tormentato lavorio.
I punti deboli di un avversario esistono sempre e possono essere individuati, se si ha pazienza e si sa cercare.
Contrastare lo scienziato sul piano della dialettica scientifica si è rivelato improbo e perseverare sarebbe un vero harakiri: i confronti avvenuti sulla tribuna televisiva hanno fatto fare ben magre figure agli interlocutori ed aumentato ancora il favore ormai plebiscitario del quale gode. Non parliamo poi di attaccarlo sul piano personale: si rischierebbe di favorirlo, a rivelare quanto emerge dalla sua vita.
Quando Luigi è stato avvertito confidenzialmente che i suoi telefoni erano stati posti sotto controllo, ha risposto placidamente: “non mi interessa. Io non ho nulla da nascondere”.
Essendo:
“…forse l’unico medico italiano che visita gratuitamente da tutta la vita e che ha sempre condotto un’esistenza che più modesta non si potrebbe, la distruzione del personaggio è un po’ più complessa27”
Non rimangono che due vie: da una parte, fingere di voler davvero cercare la verità, dando ad intendere che si farà una verifica rigorosa e senza preconcetti della terapia; dall’altra, cercare di dividere in qualche modo l’opinione pubblica. Quest’ultimo stratagemma è pensato da chi più di ogni altro non capisce e non è interessato a capire le virtù del popolo italiano, ma ne conosce bene i difetti, sfruttando i quali è riuscito a vivacchiare per lustri, governo dopo governo, incarico dopo incarico: i politici.
Subito dopo l’ingegno, è la faziosità a caratterizzarci, tanto che se dovessimo apporre uno stemma sul bianco della nostra bandiera, occorrerebbe ideare un emblema raffigurante due visi rincagnati che si guardano con odio. Non è dato sapere a quale stacanovista della stupidità sia venuta l’idea, ma il suburbio del mondo dell’informazione comincia a tamburellare l’idea della chemio, che sarebbe di sinistra, e della somatostatina, che sarebbe di destra. Una visione dei fatti che può attecchire su pochi: su coloro che riducono il giudizio sugli avvenimenti politici e sociali ad un “porco qui, porco là” e attendono, prima di indignarsi o entusiasmarsi, approvare o disapprovare, gioire o rattristarsi, ridere o piangere, il parere oracolare della voce del partito, dato che quella della mente non c’è.
Invece accade il miracolo, ed anche questo espediente, che sembrerebbe di sicura presa, si rivela un’arma spuntata: fa cilecca quell’agonismo politico di sapore calcistico che solitamente in Italia divide tutti e tutto, e tutto e tutti colloca in paradiso o all’inferno, senza purgatori. Luigi affascina le persone più evolute, che avvertono la sua superiorità intellettuale e culturale, come le più semplici, che non si sentono umiliate e tacitate da paroloni e terminologie in lingua inglese, ma comprendono ciò che dice; attira con il suo senso morale ed i suoi elevati ideali le persone colte, e chi ha i calli alle mani con la modestia ed un’umanità che invade l’anima.
L’unica, allora, è richiamare al senso di disciplina gli imbrattacarte e far capire loro le linee guida alle quali conformarsi. Ma siccome pochi sanno – perché pochi debbono sapere – come si vuole predeterminare il giudizio ed esistono giornalisti che tengono alla loro dignità professionale e personale, qualcuno sottolinea l’assurdità di certi inviti:
“Solo nei Paesi poveri e arretrati un disgraziato corpo bombardato da veleni può assurgere a simbolo della medicina di sinistra e un innocuo medicamento, che è in libera vendita per quattro soldi nelle farmacie di tutto il mondo civile, può trasformarsi nella misteriosa e costosissima pastiglia anticancro della destra28”
La parte più difficile del piano rimane la verifica. Come si fa, se fino a qualche settimana prima commissioni ministeriali hanno sentenziato l’assenza di scientificità del Metodo, ad affermare ora, di colpo, che esistono le condizioni per avviare una sperimentazione?
E, trovando un escamotage per occultare la palese contraddizione, non si corre il rischio di fare una figuraccia nell’immediato e, in futuro, di togliere credibilità ad un verdetto sfavorevole?
Le cartelle cliniche delle quali è stata pretesa la consegna costituiscono un ulteriore “tormentone”. Infatti, se si dice che depongono a favore di un certa efficacia della terapia, si perde la faccia per gli anatemi e gli insulti di ieri, ma, peggio ancora, si sbarra la strada alla predeterminata sentenza di risultati fallimentari, ed all’interpretazione finale di “costernati” sperimentatori e politicanti in emulazione del re Lear di Laurence Olivier!
Delenda Carthago! non bisogna dimenticarsi la linea-guida ricevuta. Che fare allora?
Per cui, dopo avere esaminato le cartelle (?) in un batter d’occhio, si dichiara: non dimostrano che la terapia funziona, ma nemmeno che non funziona. E allora? Allora gli “esperti”, obiettivi e indipendenti, sanciscono che non dicono niente.
Il fatto che malati diagnosticati da loro e da loro giudicati senza speranza siano vivi e vegeti, non ha valore se non si è seguita la …Good Medical Practice. A rieccoci!
Anche volendo accordare che in qualche cartella vi siano “buchi” nella documentazione di una “tappa” del percorso clinico (non, naturalmente, diagnosi iniziale e refertazione recente), questa sarebbe immediatamente reperibile presso gli ospedali che hanno fatto la diagnosi e/o, in un primo tempo, curato i pazienti. Richiamiamo il lettore all’approfondimento di questo punto cruciale della disputa. Se non si ha la collaborazione di strutture ospedaliere, la documentazione è legata alle copie che un paziente diligente ha od ha chiesto di avere e che è disponibile a consegnare al medico che applica la terapia.
Se è vero che le riviste scientifiche chiedono – o si riservano di chiedere – un set definito di esami che certifichino la diagnosi iniziale e lo stato clinico dopo la somministrazione di cure, una commissione investita del compito di appurare l’efficacia di una nuova proposta (che poi nuova non è) dalla quale potrebbe derivare la salvezza di milioni di esseri umani, non può lavarsene le mani e mascherare preconcetti inescusabili nascondendosi dietro l’assenza – prontamente compendiabile – di una singola formalità documentale.
Questa, beninteso, potrebbe essere necessaria: ma in tal caso costituisce dovere etico e categorico chiedere e agevolare il completamento di immagini od analisi intermedie.
Il verdetto di “non conclusività” delle cartelle costituisce una inescusabile ipocrisia e dimostra che decenni prima sarebbe stato possibile e doveroso dichiarare che esisteva un nuovo orientamento scientifico e terapeutico in grado di salvare milioni di vite umane o, dove non possibile, di prolungare e migliorarne la sopravvivenza.
Di più. Come precedentemente accennato, il verdetto può consistere solo ed esclusivamente nella dimostrazione scientifica e documentata dell’efficacia o dell’inefficacia: ma, ripetiamo, dimostrazione scientifica e documentata. Rifugiarsi in ipotesi ascientifiche, quali “guarigioni spontanee” (?) o “casistiche aneddotiche” (!), costituisce una via di fuga dalla medicina e dall’onestà intellettuale.
Alle spicce: di fronte a centinaia di vivi che dovevano esser morti, rappresenta una mostruosità (oltre che ipotesi di reato) fare spallucce e dire che “sarà” dipeso da questo e quest’altro. E’ su chi si arroga la qualifica di medico che incombe il dovere ineludibile di dimostrare scientificamente:
- che non esiste alcun nesso causale fra cura e remissione;
- quale sia il fattore cui attribuire remissioni o sopravvivenze.
Ma torniamo agli eventi ed alle cartelle. L’esame di quelle inviate, in qualsiasi modo condotto o non condotto, apre una porta che era stata imprudentemente chiusa: quella della dichiarata disponibilità ad una verifica.
Ci sono mugugni, non sappiamo se recitati o sinceri, e non mancano parossistiche e sprezzanti critiche, come quella di un farmacologo29 che parla di “delirio lucido cronico”(?), riferendosi alle idee del Prof. Luigi Di Bella e attribuisce (vedi sopra…) miglioramenti e guarigioni documentate a “fenomeni di autosuggestione” ed a meccanismi “psiconeuroimmunoendocrinologi” (sic, classico esempio di dignità persa, buttata nel W.C., n.d.r).
Gli risponderanno per le rime un urologo ed un ematologo30, i quali, dopo avere riscontrato 214 lavori scientifici pubblicati su prestigiose riviste che mettono in relazione la somatostatina con la terapia di numerosi tipi di tumore, parlano di “rancore futilmente motivato” e “sospetta invidia accademica verso chi, dopo anni di silenzio e duro lavoro, giunge agli onori delle cronache senza ombre di padronaggi politici o di baronaggi più o meno universitari”.
Un intervento che deve avere ulteriormente allarmato già allarmatissimi ambienti.
Comunque il ministro della sanità dichiara che c’è disponibilità e che in ogni caso, “si trattasse di salvare una vita, una sola vita”, il gioco varrebbe la candela. La picchiata di popolarità delle istituzioni sanitarie e dell’intera compagine governativa deve pur essere arrestata.
Nell’inseguire questa legittima finalità, si usa però un vocabolo fino a quel momento rifiutato con indignazione da Luigi: quello di “sperimentazione”, non di studio clinico.
Il ministro scrive una lettera a Luigi invitandolo alla riunione della Commissione oncologica e dicendo:
“sono convinta che questa possa essere un’occasione per far giustizia di inutili polemiche, ma soprattutto per avviare quel confronto scientifico e di merito che sta a cuore a me come credo a lei”
Luigi, che per il giorno stabilito deve parlare alla Commissione Affari sociali di Montecitorio, risponde ricordando l’impegno preso e aggiungendo:
“Le sarei comunque molto grato se mi comunicasse l’ordine del giorno dei lavori della Commissione, il nome dei componenti, le modalità d’azione e il ruolo del sottoscritto“
Nell’elenco vi sono nominativi che, senza scendere in particolari, si trovano in sicuro conflitto ideologico d’interessi. Lo scienziato li cita, ricordando pubbliche dichiarazioni ostili, quando non offensive: Prof. Leonardo Santi, Prof. Aldo Pagni (sic), Dott. Luciano Onder (giornalista RAI), Prof. Francesco Cognetti.
Il ministro, rispondendo, assicura che garantirà, con l’autorità del proprio ruolo, che tutto si svolga limpidamente e senza pregiudizi.
Il 14 gennaio lo scienziato è a Roma, dove incontra i componenti della commissione oncologica ed il ministro. L’invito è stato rivolto, formalmente, perché spieghi il proprio orientamento; in pratica per farlo aderire a quella che sembra l’unica via percorribile per uscire dall’impasse. Questa nostra affermazione – che precisiamo essere categorica e senza tema di smentite – risulta confermata da ripetute dichiarazioni di protagonisti della vicenda, i quali hanno dichiarato che dovettero “piegarsi” alla pressione dell’opinione pubblica, “aizzata” da forze dell’opposizione (sic).
A noi come a qualsiasi persona alla quale non impipa nulla dell’infinito squallore della politica, interessano solo il bene comune e la verità scientifica.
Ci sfugge invece il motivo per il quale notabili governativi e di istituzioni sanitarie non ritenevano di dover prendere in considerazione alcuna delle innumerevoli testimonianze di guarigioni e remissioni riportate da articoli di stampa o servizi tv. Innumerevoli – precisiamo – e non tre o quattro.
Erano per caso falsi inventati da avversari politici o direttamente da quel piccolo professore che aveva il dente avvelenato nei confronti delle baronie universitarie?
Sì? E allora, signori miei, quale migliore occasione per tagliare la testa al toro e dichiarare coram populo senza tema di smentita – carta canta – che tutti quei simulatori o non erano malati di cancro, o non avevano avuto alcun beneficio, o avevano fatto le cure convenzionali invece del Mdb? E, mentre c’erano, procedere penalmente nei confronti di simulatori prezzolati e dei loro mandanti?
Scusate la domanda che ci sovviene: come mai nessuno pensò di invadere le piazze (a dar retta alle statistiche dovevano essere centinaia di migliaia) con i guariti dell’oncologia tradizionale?
Abbiamo anticipato nelle pagine precedenti che ci interessa ripercorrere la cronologia di questo periodo cruciale della vita di Luigi Di Bella unicamente per comprendere o cercare di comprendere le ragioni di comportamenti suoi e altrui. Quindi: come si spiega abbia accettato di andare a parlare di sperimentazione? Perché ha acconsentito, suffragando implicitamente l’impostazione sempre avversata e – di fatto – lasciando l’iniziativa a chi lo aveva sempre ostacolato e ignorato?
Anche se il quesito risale a tempi non remoti rispetto a questo libro e nonostante l’autore abbia vissuto il periodo a contatto giornaliero con lo scienziato, la risposta non è scontata. Un rifiuto dello scienziato avrebbe potuto portare ad “atti d’imperio” camuffati da sacri doveri verso i malati? Si sarebbe detto che il rifiuto nascondeva il timore che si scoprisse una reale inefficacia del metodo? Temeva rappresaglie nei confronti dei suoi figli?
E’ facile ma inaccettabile sentenziare; difficile considerare più fattori e ragioni, dato che raramente è un solo pensiero a determinare le grandi decisioni.
Anzitutto, finora di sperimentazione avevano parlato solo i giornalisti, per alcuni dei quali abbiamo avuto modo di constatare quali gioielli di insulsaggine avessero cesellato.
La nostra radicata convinzione è che, in ogni caso, non sussistessero il più piccolo spazio o la minima speranza per l’affermazione della verità: troppo alta la posta in gioco, troppo acuto il timore che reazioni a catena coinvolgessero strategici aspetti socio-economici, troppo forte il timore che potessero sgretolarsi storiche versioni di comodo insistentemente propagandate e quasi imposte.
Ipotesi a parte, amiamo poco le ricostruzioni affette da troppa sicumera, perché riflettono più il modo di pensare di chi le fa che dei protagonisti di vicende storiche. Ci rifaremo quindi a fatti acclarati ed a quanto detto dallo stesso Prof. Di Bella, senza esimerci dall’esprimere – per quel che vale – la nostra opinione in merito. Confidiamo che questo tentativo di fare giustizia delle iniquità e di portare una piccola scintilla di verità attraverso prove documentate, avrà maggior successo di una pur vera verità …preconfezionata.
Una dichiarazione esplicita è riportata in un libro citato31. “Io ho accettato di presentarmi alla Commissione oncologica perché c’era il ministro della Sanità”.
E’ un punto importante. Il comportamento è tipico della personalità coerente di Luigi e di una mentalità di rispetto per lo Stato e le sue istituzioni risalente a quando lo Stato c’era davvero, e davvero faceva o cercava di fare gli interessi del popolo. Per tutta la vita è stato ligio ai suoi doveri e pervaso da un sentimento di rispetto assoluto nei confronti delle Autorità. Non gli interessa l’inclinazione ideologica della personalità politica, ma unicamente che la persona rivesta il ruolo di ministro della Sanità. Punto e basta.
Sempre che l’autorità precostituita non entri in conflitto con il bene dei malati e e la verità scientifica.
A parte il rispetto dello Stato, c’è anche l’impegno personale del ministro, che gli ha ripetuto insistentemente “si fidi di me Professore” ed assicurato che sarà garante della serietà e obiettività dell’indagine, nonchè arbitro imparziale tra gli oncologi tradizionalisti e la sua terapia, intervenendo in caso di malevolenze o irritualità.
Fin qui abbiamo considerato motivazioni certe. C’è anche una seconda ragione, dichiarata in più occasioni: l’aspirazione di far cessare la crudele angoscia di migliaia di malati che non riescono a pagarsi la somatostatina, nella speranza che sarà loro assicurato – almeno questo – un prezzo di mercato e non dolosamente gonfiato.
Inoltre, detto in modo spiccio: non ne può più. Troppo traumatico lo sconvolgimento della sua esistenza e troppo volgare – diremmo – la violenza fatta alle sue frugali abitudini e ad una vita votata all’intimità interiore, per scendere alla sua età, e come toro, nella plaza de toros.
Quante volte ha ripetuto ai figli, ai quali una vita di gran lunga meno dura ha negato la sua chiarezza di vedute: “tanto, faranno quello che gli pare”! In sostanza, dice a se stesso:
“non posso fare nulla. Posso solo fidarmi delle rassicurazioni, anche se non mi fido. Sarà quello quello che sarà. Io la mia parte l’ho fatta e non posso obbligarli a vedere quello che non vogliono vedere”.
I quotidiani riportano con risalto la cronaca dell’incontro e parlano di un’intesa tra il ministro e lo scienziato siglata da un caffè offerto dalla prima al secondo, che chiamerà l’interlocutrice “signorina”.
Questo panorama arroventato e caotico, nel quale l’intero establishment trema, richiama un passo del XII° capitolo del capolavoro manzoniano, dove, sullo sfondo del popolo milanese affamato in rivolta, si descrive il timor panico dal quale è invaso il cancelliere Ferrer: quello del celebre “adelante Pedro, con juicio”.
Le analogie sono più d’una: una folla inferocita che là rischia di morir di fame, qua di cancro; la paura che suscita un intero popolo in rivolta; l’ipocrisia di una parte e l’ingenuità dell’altra; l’essere, i potenti coinvolti in prima persona, non sovrani, ma cancellieri. Tra tanti impulsivi servitorelli che senza esitazione schiaccerebbero la folla dei malati sotto le ruote della carrozza, qualcuno comprende che occorre procedere, appunto, “con jucio”.
Tornato da Roma, a Pippo e ad Adolfo, che sono perplessi e preoccupati, dice che ha avuto un’impressione non negativa della riunione svoltasi. Per essere più precisi, riferisce: “mah, forse c’è la volontà di fare le cose seriamente”. Lo ha detto a mo’ di scongiuro? Per tranquillizzare i suoi figli? Da sempre insofferente verso le chiacchiere ed amante dei fatti concreti, vuole considerare la precipitazione con la quale si vuole dare inizio alla prova quale indice di retta volontà. Ma, a parte le assicurazioni del ministro, sono anche alcune manifestazioni di interesse alle sue idee a fargli pensare, seppure per breve tempo, che il suo pessimismo possa essere stato eccessivo.
“Ho esordito dicendo che la mia proposta non equivaleva alla vendita di acqua di Lourdes. E qualcuno che aveva fatto un’insinuazione del genere ha capito che mi rivolgevo a lui. Poi sono passato ad illustrare le basi scientifiche del mio metodo. Non so, francamente, fino a che punto io sia riuscito a farmi capire, ma ho cercato di dire le cose più comprensibili nel modo più comprensibile.
Mi pare di aver visto diventare seri e interessati alla successiva esposizione molti visi dai quali traspariva all’inizio una certa irrisione. Ho visto anche alcune persone aggrottare la fronte verso la fine, per la difficoltà di afferrare alcuni principi che stavo esponendo.
Non credo che tra persone serie e dotate di cultura notevole si usi trascendere e quindi nemmeno in quell’udienza si è mai trasceso. Dirò di più. Ho incontrato oncologi che da un punto di vista della dottrina sono esattamente il mio opposto. Ma abbiamo parlato a lungo anche di cose che non erano esclusivamente pertinenti alla parte scientifica del discorso. Se si è in buona fede e si è educati, la possibilità di intendersi c’è sempre32”
Molti dei presenti comprendono almeno una cosa: di trovarsi di fronte ad un uomo con una preparazione scientifica impressionante. Qualcuno, responsabile di uno dei Centri oncologici italiani che si distinguerà positivamente da altri colleghi, esprime a quattr’occhi il proprio sconforto per i risultati avvilenti che constata giorno per giorno, confessandogli:
“Professore, sarò sfortunato, ma dei miei pazienti non se ne salva uno”
Il Prof. Veronesi, il quale ha dichiarato che “i farmaci usati da Di Bella sono interessanti, poiché hanno ampiamente dimostrato una attività antiproliferativa33”, gli parla con estrema affabilità rivolgendogli infinite domande, in particolare sull’impiego dei retinoidi. Anche Gianni Cuoghi, che è presente, riferisce del mutare dell’atteggiamento dell’uditorio che, inizialmente contrariato (evoca la frase romanesca “che s’ha da fà per campà”), diventa sempre meno sarcastico, sempre più meravigliato, episodicamente interessato e forse, in qualche caso, preoccupato. Sicuramente – e sottolineiamo l’avverbio – almeno due componenti della commissione oncologica hanno capito che quel piccolo siciliano ha impresso la svolta che si attendeva da decenni nella lotta al cancro. Probabilmente altri due avrebbero voluto organizzare una verifica seria. Vedremo che queste non sono gratuite illazioni.
Ma il fatto decisivo – e negativo – che emerge dalla riunione, è che si rigetta la proposta fatta da Veronesi di procedere con uno studio con gruppo di controllo, cioè di trattare due gruppi di pazienti, affetti dalla stessa patologia e nelle stesse condizioni, uno con il Metodo Di Bella, l’altro con le metodologie tradizionali.
Senza questa procedura, e senza privilegiare il parametro della sopravvivenza (come si fa in qualsiasi studio serio), partendo con l’intenzione deliberata di affossare una terapia è facile raggiungere lo scopo, evitando al contempo che emergano clamorosamente i limiti delle terapie comunemente adottate.
E’ un punto fondamentale e determinante (anche se non il solo) per comprendere come sia stato possibile dichiarare inefficace una terapia che rappresenta l’avvenire concreto, e non sloganistico, nella lotta contro il cancro.
Basta infatti arruolare pazienti in condizioni cliniche scadute ed ormai non più responsivi a nulla, per poter concludere che una terapia non è attiva, dato che a nessun essere umano é ancora riuscito di ridare la vita ai moribondi.
Anche ammettendo per assurdo che l’inammissibile scelta fosse dettata esclusivamente da incompetenza, questa si sarebbe trovata in stridente contrasto con lo stesso verbale redatto il 14 gennaio e disponibile in copia autentica.
A pagina 2 si legge infatti:
“Il prof. Di Bella […] esprime serie perplessità nei confronti della chemioterapia, ritenendola alla base di numerosi insuccessi terapeutici […] a suo parere la non responsività al proprio protocollo dipende dai trattamenti terapeutici precedentemente messi in atto e dalle condizioni generali dei pazienti spesso mal curati, ribadendo ancora una volta l’effetto deleterio della chemioterapia34”
Una enunciazione così chiara e categorica toglie, sotto il profilo scientifico e giuridico, qualsiasi attendibilità ad una prova esperita prevalentemente su pazienti pretrattati.
L’incredibile è che tale (ovvia) riserva fosse già suffragata dall’istituzione sanitaria più ostile al Metodo, la C.U.F., che in una pubblicazione di tre mesi prima, relativa all’impiego della somatostatina, aveva dichiarato, riferendosi a studi relativi all’impiego della sostanza:
“ […] Inoltre gli studi fin qui pubblicati sono stati condotti pressoché esclusivamente in pazienti con malattia avanzata e pretrattata con altri farmaci, condizioni quasi sempre associate a selezioni e mutazioni che possono alterare il profilo recettoriale della cellula neoplastica35!”
Se si vuole combattere contro la verità, bisogna avere almeno buona memoria.
Soltanto ad una superficiale e trepida stampa nazionale poteva sfuggire una contraddizione così clamorosa: prima si dice – in sostanza – che i pazienti pretrattati sono quasi sempre meno recettivi alla somatostatina; salvo poi arruolare malati in larga maggioranza semi-agonizzanti e/o reduci da chemioterapia (oltre che da radioterapia o da chemio e radioterapia)!
A parte tiepidi e fugaci ripensamenti, Luigi ha ben chiaro chi si trovi davanti. E non intendiamo fare riferimento ai membri della commissione oncologica, né ad altre commissioni e men che meno al titolare del dicastero.
La vera controparte, il vero soggettista-regista, il “Grande Fratello” orwelliano, è assente quel quattordici gennaio, anche se immanente, e Luigi sa come occorrano ben altro che le eventuali convinzioni o gli eventuali ed isolati buoni propositi di qualcheduno per prevalere. Un’intera divisione di mercenari tremanti di paura, preceduta da blindati, marcia volgendosi inquieta di qua e di là e intonando gloriosi “hurra!” contro un ottantaseienne solo, armato unicamente di verità, già mezzo accecato e insordito da un precedente raid di guastatori.
Si rinverdiscono sempre i fasti dei Maramaldo.
A questo punto si cerca di imprimere agli eventi un corso vertiginoso: Luigi é appena tornato da Roma che trova una lettera d’invito per il giorno seguente. Ma é già stipato di appuntamenti che non intende rimandare, per cui risponde di non poter accettare l’invito:
Lo stesso giorno (15 gennaio) il Consiglio Comunale di Modena, seppure dopo una votazione sofferta, approva un ordine del giorno che onora la città e fa giustizia di stolte ideologizzazioni della vicenda. Nel condannare “il grave ritardo” con il quale il Ministero della sanità ha deciso di condurre una verifica sperimentale, il testo del provvedimento respinge:
“ […] con sdegno l’incredibile accusa di ‘ciarlataneria’ rivolta da alcuni medici di fama a un uomo come il professor Di Bella, unanimemente conosciuto per aver disinteressatamente dedicato tutta la vita allo studio ed alla ricerca medica”
Si parla anche della necessità che la città gli dedichi:
“ […] un riconoscimento per l’instancabile opera di ricerca, studio e volontariato che ha svolto e svolge in campo sanitario a favore dei malati”
E’ uno schiaffo in piena regola al locale Ordine dei medici ed a ringhiosi personaggi del Policlinico cittadino, pure accodati alle connotazioni politiche della giunta. Il sindaco Barbolini, che alcuni anni dopo siederà in Parlamento, sa bene quale sia la realtà dei fatti, anche perché uno stretto collaboratore, affetto da osteosarcoma, è guarito grazie al Metodo Di Bella, allo stesso modo di due sindacaliste Cgil, da lui conosciute, che daranno vita di lì a qualche mese all’Associazione di volontariato A.I.A.N. Modena.
Il 16 Gennaio un altro sgradito evento. L’On. Turroni (Gruppo Verdi), presenta un’interrogazione parlamentare sui misteriosi meccanismi di determinazione del prezzo della somatostatina:
Tutta l’Italia segue questi avvenimenti, oggetto di dibattiti ed interviste trasmessi nei giorni che precedono e seguono l’incontro di Roma.
Toni accesi ed anche ingiuriosi si fanno meno frequenti, ma continuano. La macchina anti-Di Bella ha bisogno di più minute messe a punto? Qualcuno ci tiene ad ostentare la propria personale devozione a costo di mostrarsi indisciplinato?
Luigi dice affranto ad un giornalista: “non mi sarei mai aspettato tanta cattiveria”.
Il servo di un padrone dispotico tende ad essere ancor più dispotico del suo padrone, forse per sadismo congenito. Lo stiamo constatando mentre ripubblichiamo, on line, questa biografia.
Alcuni personaggi sembrano poi non rendersi nemmeno conto che le loro dichiarazioni svelano – a chi sa comprendere – reali intenzioni, dipendenze, manovre e costumi dell’ambiente al quale appartengono.
Così succede paradossalmente al direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, Giuseppe Benagiano, quando dichiara:
“Sulla vicenda abbiamo sbagliato tutti: Ministero della Sanità, Commissione Unica del Farmaco, mass media, medici e magistrati. L’unico a non commettere errori è stato proprio Di Bella, che ha perseguito con la scaltrezza di un attore la sua personale rivincita sul mondo accademico36”
Quanto riportato dimostra una totale incomprensione della personalità dello scienziato, e parlando di “attore”, e parlando di “rivincita”; ma anche l’indicibile stizza di certuni per essersi fatti …sorprendere e non aver soffocato il neonato nella culla. Quanto mai saggio il detto “ciascun dal proprio cuor l’altrui misura”.
Per fortuna il senso dell’umorismo non è in tutti sopito:
1. Corriere della Sera, 21/9/97. La somatotropina (GH) è l’ormone peptidico inibito da somatostatina ed analoghi; la “protolattina” (!) …semplicemente non esiste; è un doppio strafalcione, in quanto la sostanza è la prolattina, alla cui inibizione è diretto l’uso, nel MdB, di bromocriptina e/o cabergolina.
2. La Gazzetta di Modena.
3. Ib., 3/10/97, pag. 18.
4. Gazzetta di Modena, 9/10/97.
5. Da “Il Giornale”, 8/10/97, Gabriele Villa.
6. Si tratta dei versi di un’aria dell’opera “La pietra del paragone” di Gioacchino Rossini, divenuta celebre quando Fogazzaro la citò nel suo romanzo “Piccolo mondo antico”.
7. Il Tempo, 15/10/97.
8. Il Resto del Carlino, 20/10/97, pag. 14.
9. Il Tempo, 24/10/97, pag. 7.
10. Ib.
11. Gazzetta di Modena, 20/10/97, pag. 14.
12. Personaggio di “Questa sera si recita a soggetto” di Luigi Pirandello. Hinkfuss è il regista che intende mettere in scena uno spettacolo.
13. Modena Amica, nel numero di novembre 1997, pubblicò un numero speciale, curato da Vincenzo Brancatisano e Massimiliano Ranellucci, con un ampio resoconto della manifestazione.
14. Il 9 dicembre 1997 una persona che si definisce molto autorevole telefona in presidenza e avverte: “Forse questa presidenza non lo sa, ma il professor Di Bella è indagato per truffa e la scuola si renderebbe complice qualora consentisse l’autogestione per discutere della sua terapia”. Vincenzo Brancatisano: “Di Bella – l’uomo, la cura la speranza”, Positive Press Ed., 1998.
15. Il felice libretto del Barbiere di Siviglia fu tratto da Cesare Sterbini dall’omonima commedia di Beaumarchais.
16. Sulla sperimentazione ministeriale del 1998 il giornalista Vincenzo Brancatisano ha scritto un libro di oltre settecento pagine; “Un po’ di verità sulla terapia Di Bella”. Il testo demolisce impietosamente, punto per punto, quanto dichiarato alla pubblica opinione.
17. Teleradiocittà, Modena.
18. La telefonata giunse in diretta ad una emittente locale, tuttora attiva (Teleradiocittà), e fu registrata.
19. L’ispettore Javert é un personaggio de “I Miserabili” di Victor Hugo, persecutore di Jean Valjean.
20. Vedi, tra altri, “Il Giornale”, 15.01.1998, prima pagina: “…accusa i colleghi che spillano soldi ai pazienti usando il suo nome”.
21. Bruno Vespa, op. cit., pag. 11.
22. Espressione usata dallo stesso scienziato nei confronti di un noto farmacologo.
23. Cifra dedotta da un calcolo fin troppo prudente dei morti di cancro nel mondo dal 1973 al 1998, basandosi sui decessi (ufficiali) in Italia rapportati alla popolazione media mondiale del periodo esaminato diminuiti di oltre il 30%. Le cifra fornite dall’OMS sono meno della metà di quelle reali.
24. Vincenzo Brancatisano, op. cit.
25. Repubblica del 22.12.1997.
26. Comunicato stampa di Aldo Pagni, “il caso Di Bella e la libertà di Cura” del 29.12.1997.
27. B. Vespa, op. cit. pag. 137.
28. Articolo sul Corriere della Sera, a firma Francesco Merlo, del 7 gennaio 1998.
29. Prof. Gianluigi Gessa, Università di Cagliari, in una lettera ad un giornale dal titolo “vi spiego cos’è la somatostatina”.
30. Dr. Giuseppe Castello e il Dr. Giovanni Caocci, lettera “non sparate sul professore”.
31. Bruno Vespa: “Luigi Di Bella: si può guarire?” – Ed. Mondadori, 1998, pag. 108.
32. B. Vespa, op. cit., pag. 109-110.
33. Tratto dal verbale della riunione (nda).
34. Ministero della Sanità – Dipartimento della prevenzione – Commissione oncologica Nazionale: Verbale n. 1, Roma, 14 gennaio 1998.
35. Ministero della Sanità – Dipartimento per la valutazione dei medicinali e la farmacovigilanza – Bollettino d’informazione sui farmaci, anno IV, ottobre 1997, n. 1, pag. 10.
36. la Repubblica 28 marzo 1998, articolo a firma Mario Reggio.