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Capitolo XI – Il vento prima della tempesta
Weh dir, daβ du ein Enkel bist! (che disgrazia essere un postero!)
(Wolfgang Goethe, Faust).
La scomparsa di Deda e la solo saltuaria disponibilità di collaborazione limitano per forza di cose il lavoro sperimentale. All’inizio di settembre comunica a Parigi in un congresso che verte sulla ghiandola pineale, la melatonina e le sue applicazioni cliniche1. Anche qui torna a rimarcare i pilastri della sua concezione terapeutica, ribadendo che:
“ […] la melatonina è necessaria, ma non sufficiente da sola a curare il cancro; essa deve essere accompagnata dalla somministrazione di tocoferolo, retinoidi, inibitori del GH e della prolattina”
Di lì a poco presenta il secondo lavoro al Congresso Nazionale delle Società SIBS-SIF-SINU, che si tiene a Roma2.
In novembre alcuni ex allievi decidono di riunirsi e festeggiare il suo ottantesimo compleanno, caduto il 17 luglio. Il loro ricordo e la vicinanza che gli dimostrano lo emozionerà profondamente. Si ritrovano, in un noto ristorante di Modena, Luigi, Adolfo con Maria Letizia, Alda Sovieni, Paola Carani, Daniele Lolli e la moglie Giulia Guidotti, i coniugi Molinari. Alcuni non li vede da decenni, anche se in qualche caso non solo la loro formazione professionale, ma anche le loro vicende personali siano state condizionate dall’averlo conosciuto. E’ così per Lolli (ex assistente dell’amico Pompeo Spoto) e la moglie Giulia, che si sono conosciuti e fidanzati incontrandosi nel laboratorio di via Marianini; e lo stesso è capitato per i Molinari.
Alla fine della cena gli allievi, che gli hanno regalato un piatto d’argento inciso con una massima latina, vedono con sorpresa il loro vecchio professore estrarre da un capace sacchetto custodie di velluto blu, contenenti piccole cornucopie in argento corredate da massime in italiano, latino, greco, inglese, tedesco, francese, tutte sul tema della vecchiaia. Luigi si toglie gli occhiali, legge i cartoncini, traducendone ove il caso il testo, e con un sorriso porge le cornucopie ad ognuno degli intervenuti, commentando le massime.
Rimangono tutti conquistati dal pensiero che ha avuto, segno dell’affetto che, a distanza di tanti anni, serba per i vecchi allievi. Parla poi loro delle ricerche in corso, della monografia alla quale sta lavorando, degli esiti terapeutici ottenuti, e dell’amarezza che lo invade al pensiero del progresso scientifico e del bene che potrebbero derivarne se non fosse costretto a lavorare senza l’aiuto di collaboratori e senza le necessarie risorse economiche. Il giorno successivo alcuni degli allievi verranno a trovarlo in laboratorio, e i coniugi Molinari, entrambi farmacisti a Chiari di Brescia, rattristati e indignati a sapere il loro maestro senza aiuto, gli comunicano di avere deciso che il fine settimana, quando possibile, verranno ad aiutarlo nel riordino della casistica clinica.
Questo episodio, che tanto calore ha portato al cuore di Luigi e che rimarrà per sempre nei suoi ricordi, viene presto incupito da una nube minacciosa. La salute di Ciccina degrada inesorabilmente. Già in luglio Adolfo, recatosi a Messina per trascorrere qualche settimana di ferie, ha dovuto constatare con amarezza le condizioni scadute della madre. Pippo, che la raggiunge nel periodo delle festività natalizie, riscontra un ulteriore peggioramento. Il nuovo anno fa rilevare qualche transitorio miglioramento, dovuto ai suggerimenti di Luigi, ma una notte di febbraio si rende indispensabile un ricovero d’urgenza a causa di edema polmonare da insufficienza cardiaca. Ciccina riesce a superare anche questa prova ed a riprendersi: nel momento in cui fa ritorno a casa di Citta risponde sorridendo ad un’amica venuta a trovarla: “sono andata a farmi una passeggiata…”.
Luigi partecipa relativamente tranquillo al Congresso nazionale della Società di Citologia, al quale interviene con una propria comunicazione3.
Qualche giorno dopo sopravviene una febbre invincibile. Il dodici marzo la famiglia Di Bella è riunita a Messina. La febbre è elevatissima e Luigi propende per un’alterazione delle funzioni cerebrali che la regolano. La mattina dopo, tredici marzo, alle otto e tredici il respiro cessa. In una mattina tiepida il sole illumina un viso ormai decontratto, liberato dal dolore e da una lunga e sofferta lotta.
All’alba del 14, Luigi percorre lentamente il porto fino a raggiungere la passeggiata a mare. E’ tutto un ricordo. Le palme fremono alla brezza del mattino, l’alta colonna bianca, all’estrema falce del porto, sorregge la Madonnina, che spicca sul mare ancora cilestrino. Giunge alle panchine sulle quali più di sessant’anni prima sostava sconsolato. Qualche nave traghetto esce dal porto ed i primi raggi di sole fanno brillare i vetri degli oblò, imporporando i marinai assonnati. Arriva a San Giuliano, la chiesa dove è stata portata Ciccina la sera precedente. Davanti al portone ancora chiuso vede Pippo in attesa. Entrambi smarriti, silenziosi. Insieme a piedi vanno verso Giostra. Quasi tutto è cambiato dai tempi lontani delle baracche; molto meno da periodi più recenti, quando Adolfo e Pippo erano bambini. Man mano che si inoltrano nel quartiere Luigi fa vagare lo sguardo sulle colline verdeggiate da pini, sulle vecchie povere case. Giungono davanti a casa Costa ed al villino Runci, entrambi chiusi, solitari, deserti, desolati.
Presso il muro di confine la gelsominara incolta un tempo curata da Giovanni Costa e dalla quale Ciccina coglieva i bianchi petali che profumavano le lettere al suo Gino. Al di là del cancelletto arrugginito del villino il maestoso cedro del Libano, i resti dei roseti così amati da Adolfo Runci. Dietro le persiane stinte un silenzio come di voci raggelate, soffocate dal crudele e inesorabile succedersi delle generazioni, di note senza suono emesse da un pianoforte dalla tastiera ingiallita e con le caviglie che nessuna chiave di accordatore serra da mezzo secolo. Lampi di passato si sovrappongono alle finestre serrate di casa Costa e voci le cui onde si sono perdute in chissà quale parte del mondo sembrano risuonare dall’interno polveroso.
Luigi inizia a parlare con il figlio, ora lentamente, ora più rapido, a volte trasognato, altre apparentemente calmo. Rievoca episodi tristi e momenti spensierati. Gli occhi azzurri di Ciccina sembrano brillare fra le stecche di qualche persiana: quegli occhi che lo avevano incantato, quel sorriso ora spento che mille volte lo aveva accolto avvilito dalla miseria, angustiato dall’incomprensione della famiglia, umiliato per i poveri stracci di cui vestiva. I biglietti nascosti nel carniere di legno per lei, i pomeriggi e le serate domenicali passate al pianoforte, quel lontano settembre nel quale aveva coronato il suo sogno d’amore …Pippo ascolta, interviene aggiungendo ogni tanto i propri ricordi d’infanzia, chiede. Padre e figlio trovano un’ombra di conforto nel raccontare e nell’ascoltare. Quando si è vissuto insieme un pezzo di vita, cessa quella sensazione di irrealtà che fa sembrare immaginario, quasi sogno, il tempo lontano; rievocandolo ci si convince che davvero c’è stato e quindi che c’è ancora.
Poi si dirigono verso la vecchia Farmacia del Popolo, con le sue vetrine di noce, i vasi di maiolica e porcellana, ed a far visita a Tonuccio, già al lavoro nell’adiacente laboratorio di analisi. Presto è ora di far ritorno alla chiesa di San Giuliano, dove vanno a sedersi accanto al feretro insieme ad Adolfo e Maria Letizia. Luigi accarezza i capelli di Ciccina, compone il viso, pone le mani su quelle unite dell’amata. Tornano nette le emozioni di sessantadue anni prima, quando ancora diciottenne le aveva dichiarato con una lunga lettera il suo amore:
“ […] Lei vestiva sempre o quasi un abito viola; era snella, bellissima, castissima… i suoi occhi non erano quelli comuni, avevano qualcosa di perfettamente distinto […] mi pareva guardare un angelo …l’Amore, il vero Amore, quello dell’anima […] me la figurai come …un sole lucente, che mi avvolgesse con le sue spire per portarmi in alto, in alto …mi pareva Iddio l’avesse creata per redimermi, per guidarmi”
Quando qualche ora più tardi la chiesa si riempie ed inizia la cerimonia religiosa, l’addio è già stato celebrato.
Il corteo sfila lungo la strada panoramica che porta verso punta Faro, costeggiando il blu dello Stretto. Lì, nel cimitero di Granatari, adagiato su una bassa collina prossima alle spume di Cariddi, i chiusi occhi azzurri di Ciccina sogneranno nell’eterno riposo.
Tornato a Modena, con la sobria tenerezza che gli è propria consolerà sé stesso consolando i figli. Nella vecchia casa di via Don Minzoni ritroverà ogni sera i ricordi del passato.
Ricerca e attività clinica lo impegnano particolarmente in questo periodo, unica fonte di consolazione e di lenizione del dolore. In laboratorio sta svolgendo esperimenti su una sostanza della quale sono ignote le precise funzioni: il Neuropeptide Y, un polipeptide diffuso nel sistema nervoso centrale ed in quello periferico. Le maggiori difficoltà sono rappresentate dal costo iperbolico: oltre 500 milioni di lire. Quando Minuscoli, parlando con lui, apprende quali importanti azioni potrebbe svolgere particolarmente sulle emopatie, si attiva per reperire quantità della sostanza forzatamente modeste, ma comunque sufficienti ad avviare un iter sperimentale. Il lavoro viene presentato e discusso nell’agosto di quell’anno al Congresso Internazionale di Fisiologia che si tiene a Glasgow, dove si reca insieme a Minuscoli e Lina4.
La sostanza, in opportuni dosaggi e somministrata per periodi limitati, potrebbe risultare utile o determinante in particolari fasi tipiche dell’evoluzione neoplastica, specie quando si rivela difficile riportare il numero delle piastrine a valori sufficienti. Come accaduto non di rado, l’assenza di collaborazione e di adeguati finanziamenti renderà impossibili ulteriori approfondimenti farmacologici necessari all’applicazione clinica del Neuropeptide Y.
In autunno Adolfo lo informa che intende ricordare la madre con una composizione musicale, un requiem, per il quale ha scritto i versi del testo, traslati in un buon latino dal suo migliore amico, Walter Boni, un acquarellista che insegna lettere in una scuola superiore della città. Ha già musicato il libretto ed ora sta lavorando alla partitura orchestrale, prevista per soprano, coro a quattro voci, organo e orchestra da camera. Luigi all’inizio é impensierito dal fatto che il figlio si cimenti in un’opera così impegnativa, ma quando all’inizio di gennaio si vede recapitare le centottanta pagine della partitura ed il libretto, gli raccomanda di fare stampare subito il testo e scrive la prefazione visibile nella riproduzione sottostante.
Espressioni come sempre non solo uscite dal cuore, ma anche profondamente meditate.
E’ evidente che in questa sede non avrebbe senso soffermarsi sull’aspetto musicale dell’opera, pur apprezzata da musicisti e pubblico. Quello che contava e conta é coglierne l’esempio di amore e unione familiare in un mondo inquinato da egoismo, torpore emotivo e superficialità. Lo comprendono molti dei presenti, primo fra tutti lo scienziato, che ricorderà sempre con commozione l’evento.
L’omaggio a Ciccina ha visto il concorso di tutta la famiglia: Luigi ha scritto la prefazione, Adolfo versi e musica, Luigi junior – il figlio maggiore di Pippo, diplomato in pianoforte, composizione e direzione d’orchestra – ha concertato e poi diretto l’opera dello zio. Tutto in famiglia, a simboleggiare l’unione tra i suoi componenti, i comuni affetti, ricordi, dolori, rimpianti. Una famiglia – ci sia concesso dirlo – un po’ particolare.
È lo stesso scienziato che ne informa gli amici ed i pazienti con i quali si sono instaurati rapporti confidenziali, donando a tutti il libretto.
Qualche settimana prima dell’esecuzione, fissata per il 28 maggio, un fatto evidenzia come solo chi vuole ignorarla sia all’oscuro della terapia messa a punto dal fisiologo. Una mattina questi riceve la visita di addetti dell’ambasciata americana, che gli portano la documentazione clinica di un personaggio assai noto ed amato in tutto il mondo: si tratta di Jacqueline Lee Bouvier, vedova Kennedy. Pochi mesi prima le è stato diagnosticato un linfoma n.H., ma è già in fin di vita. Come sempre gli ostacoli per ottenere la salvezza sono due: lo stadio avanzatissimo del male e le cure subite. Luigi stila una prescrizione, ma fa presente che non dispone di ulteriori dati desumibili da un esame obiettivo e che in ogni caso é troppo tardi. Il 16 maggio, secondo giorno successivo alla data della prescrizione, la stampa dà la notizia della morte dell’illustre paziente. Il fatto dimostra che “lì dove si puote” le informazioni giuste arrivano: seppure in ritardo.
Il 28 maggio 1994, giorno fissato per l’esecuzione del “Requiem ad Matris memoriam”, la chiesa della Madonna Pellegrina è stipata. Sono state superate difficoltà impreviste per problemi di acustica nel corso delle due prove generali precedenti: quando l’autore, lamentando carenza di corposità, aveva chiesto ai violoncelli di suonare più forte, gli strumentisti avevano risposto che non vi riuscivano: il suono sembrava “fuggire” tutto verso l’alto della struttura a tronco di piramide della chiesa. Fortunatamente il giorno dell’esecuzione la presenza fisica di quasi cinquecento persone coibenterà perfettamente l’edificio, rendendo bene intellegibili il suono degli strumenti e le voci dei quaranta coristi.
Sono presenti tutti gli amici di famiglia, compreso Giancarlo Minuscoli con Lina, Luigi e Liliana M. e tanti altri, tra i quali Walter Boni – l’autore della versificazione latina del testo – Carlo Brusiani, e Giovanni Conti, cumpari surici (compare sorcio), al quale Ciccina aveva fatto da mamma5. Le finestre dell’antistante casa di via Don Minzoni sono illuminate: Luigi stesso, esaudendo il desiderio di Adolfo, è andato ad accenderle, sollevando anche la serranda della camera da letto dietro alla quale Ciccina il pomeriggio pregava o accudiva a qualche lavoro di rammendo. A lei è dedicata la musica, a lei la presenza di tutti.
Prima dell’inizio, la direttrice del coro, Donatella Pieri6, dà lettura di una nota illustrativa scritta dall’autore. L’opera non ha praticamente nulla della struttura del requiem canonico, ad eccezione del primo dei dodici pezzi che lo compongono.
E’ la celebrazione della figura della madre. Ogni madre, recita la nota, é madre di tutti. Viene ripercorsa la sua vita, dai sogni d’adolescente, nell’incanto della campagna siciliana, alla gioia della maternità; dallo stringersi al seno i suoi piccoli mentre fiocca la neve, al triste giorno nel quale questi si avviano per le strade della vita (“Inanes nidi”: nidi vuoti). Il sacrificio di sé stessa per amore dei figli viene simboleggiato poi in quattro quadri, che metaforicamente collegano le stagioni della natura a quelle dell’esistenza: la madre sale un colle portando la croce sulle spalle con crescente fatica, fino a quando, giunto l’inverno, il gelido vento della vecchiaia e della malattia ferma il suo cammino e il suo cuore, e al tuono della morte la croce si erge immobile sullo sfondo del cielo cupo; ma al comparire di un chiarore crescente il suo spirito si libra verso il cielo sopra il canto di tutta la natura, le mani luminose e benedicenti protese verso i figli, in un’apoteosi di luce e di beatitudine.
Per tutti i tre quarti d’ora dell’esecuzione Luigi rimane in piedi. Come dirà in seguito “per rispetto del luogo, per rispetto di mia moglie, per rispetto di mio figlio”.
Al termine il pubblico presente si alza in piedi e applaude con calore. Il vecchio Carlo, che ogni mattina viene a Marianini a pulire e lavorare, ha gli occhi umidi e dice allo scienziato: “ma sa professore che mi sono commosso?”. La direzione di Luigi jr., bene in sintonia con la direttrice del coro, è stata provvidenziale, considerate le difficoltà di esecuzione, le poche prove e l’essere i coristi in maggioranza dilettanti. Nel momento in cui lo zio autore ed il nipote direttore si stringono la mano, la commozione reciproca e quella dei presenti raggiungono l’apice. All’uscita Luigi incontra Walter Boni, l’amico di sempre di Adolfo, che gli chiede quali siano le sue impressioni.
E’ come trasognato, silenzioso, visibilmente in preda ad una intensa emozione che fatica a dominare: “forse solo ora capisco questo mio figliolo”, risponde.
La cosa più importante per lui, che durezza e ingenerosità della vita hanno reso istintivamente scettico nei confronti degli affetti dichiaratigli, è che ora vede
l’altro miracolo realizzato dal suo insegnamento ed esempio di padre: l’amore dei suoi figli per i genitori ed il legame indissolubile tra tutti i componenti della famiglia. Ora sa che non è solo e che la vicinanza di Pippo e di Adolfo è suggerita dall’amore e non da una formale consuetudine sociale. Questa consapevolezza gli invade l’anima, rappresentando un valore aggiunto, un indotto che sarà subito colto da tutti gli intimi con cuore per sentire e mente per capire.
Uno degli errori e una delle ingiustizie storiche più ricorrenti é quella di trascurare le figure che hanno accompagnato la vita dei grandi, e che spesso hanno consentito le opere di scienza, d’arte, o di pensiero ammirate dai posteri. Francesca Costa ha vissuto sempre in un cantuccio, in disparte, senza mai volere comparire. Con la sua umiltà, bontà, comprensione e – diciamolo pure – pazienza, ha creato quella “bolla” famigliare che ha compensato il marito di tante delusioni e incomprensioni sofferte.
Pochi giorni dopo la sua scomparsa, parlando di lei Luigi dirà: “aveva sempre un sorriso sul volto e sopportava senza mai lamentarsi un musone come me”. Non soltanto il sorriso, ma anche la saggezza, e la capacità di cogliere nel prossimo malizie e secondi fini, avevano spesso protetto o messo in guardia il marito. Virtù e doti che coesistevano con una bontà e carità inesauribili e il perdonare sempre, che la fecero amare da chiunque l’avesse conosciuta. Non é ritratto edulcorato o condizionato dall’amore filiale – ci siamo imposti fin dalle prime pagine un rigido dovere di obiettività ad ogni costo – ma pura verità.
Capì immediatamente la grandezza dell’uomo che aveva sposato, e mai si lamentò dei sacrifici che comportava l’esigenza di accompagnare, e mai contrastare o amareggiare, la sua attività di scienziato, medico, docente. Con tutto quello che l’uomo faceva e subiva, doveva almeno trovare pace e conforto tra le mura domestiche.
Sullo sfondo dei nostri ricordi d’infanzia, di gioventù, di uomini maturi, compare sempre, dolce e lieve come acquerello proiettato sulla nebbia tremula del tempo, il sorriso pacificatore della sua bontà e del suo amore, non disgiunti da un raro senso dell’umorismo: ma se coglieva infallibilmente gli aspetti buffi di persone o situazioni, si esprimeva sempre con bonomia e comprensione. La giornata iniziava senza il padrone di casa, che all’alba già pedalava in direzione dell’Istituto o del suo laboratorio e, a parte l’intervallo spesso breve del pranzo, terminava col suo rientro a tarda sera.
Se tante sono le immagini dello scienziato intrise di poesia che si alternano nella memoria, ne emerge una dei due coniugi più consolatoria e vivida di qualsiasi altra: quella dei dorati pomeriggi domenicali passati a suonare a quattro mani le opere predilette; tanto forte e netta da convincerci quasi che, entrando oggi di soppiatto nella vecchia casa silenziosa, li si potrebbe sorprendere intenti in un eterno concerto domestico.
Intanto in laboratorio le visite cominciano a diventare un problema, ed assai serio. Adolfo ed i suoi amici regolano …il traffico il sabato mattina, giorno di particolare affluenza, ma spesso quando arrivano trovano già parecchie persone giunte all’alba e sedute nella saletta d’attesa. Inutile tentare di creare un minimo di regole e di rinviare ad altro giorno i …portoghesi dell’appuntamento: d’altra parte “portoghesi” lo sono tutti, visto che lo scienziato insiste nel rifiutare qualsiasi onorario, ma in senso lato il termine può attagliarsi a quanti non fanno nemmeno una telefonata per preavvertire della loro venuta, senza riguardo per l’affaticamento oltre misura dello scienziato. “Se vengono qui è perché hanno bisogno”: sempre la stessa la risposta alle proteste di Adolfo. Così, mentre al primo piano Giancarlo Bergamini e Carlo Dallari aiutano a ordinare e catalogare libri, riviste e documentazioni cliniche ed i Molinari lavorano a computer per rubricare i casi trattati, è tutto un succedersi di scampanellate. A volte si rimane senza argomentazioni da opporre quando, alla domanda se era stato concordato un appuntamento, ci si vede porgere un biglietto con tre parole ricorrenti: “venga quando vuole”. Cosa dire? A volte le visite si protraggono dalle sei del mattino alle quattro del pomeriggio ed è difficile non provare un senso di ribellione vedendo Luigi che si accascia sulla poltrona della sua stanzetta, privo di forze, incapace quasi di parlare, o con mal di testa feroci che nemmeno i bicchieri di caffè tra una visita e l’altra possono arginare. Ma come non intenerirsi quando, magari dopo otto o dieci ore di concentrazione, ragionamento, indagini attente, ci si sente dire: “guarda cosa mi hanno regalato!” e vedersi additare un pezzo di parmigiano, una busta di caffè, una confezione di biscotti o di vini che non beve, visto che è astemio! Già, gli hanno …regalato.
Per fortuna nel corso della settimana ci sono mattine e giornate più leggere, che gli consentono di dedicarsi al lavoro sperimentale, con l’aiuto di Gualano che, quando può, viene da Bologna. Il frutto di questa attività di ricerca è formalizzato in due lavori che spedisce alla segreteria del Congresso congiunto SIBS-SIF-SINU, previsto ad Ischia.
Parte con Minuscoli il 24 settembre e comunica i due lavori7.
Tornando, si accorge di avere dimenticato in albergo tutte le chiavi, sia di casa che di via Marianini. E’ ormai sera tarda, e Minuscoli insiste tanto perché accetti la sua ospitalità, che Luigi deve acconsentire. Giunti alla villetta di Vallalta, Giancarlo e Lina non vogliono sentire ragioni: dormirà nella loro camera da letto. Al mattino Lina, che conosce bene l’abitudine dello scienziato di fare una passeggiata alle prime luci del giorno, rimane a bocca aperta quando entra nella camera per rigovernarla e vede il letto intatto. Appena rientra, i due coniugi chiedono all’ospite se per caso non si sia trovato a suo agio o non sia riuscito a dormire. Nulla di questo: “il talamo di due sposi è una cosa sacra. Non mi sarei mai permesso di profanare il vostro letto con la mia persona”. Ha dormito un po’ su una poltroncina, un po’ steso sullo scendiletto. Anche questo era Luigi Di Bella.
In ottobre giunge da Parigi una lettera di una studiosa, la D.ssa B. Guardiola, che lo invita a partecipare ad un incontro di ricercatori in Florida:
“Caro collega, gli ultimi sviluppi della farmacologia della Melatonina hanno promosso questa molecola ad uno stato che è divenuto molto più importante di un semplice ormone sintetizzato dalla pineale. Attraverso le sue interazioni con diversi sistemi (centrale, cardiovascolare, metabolico, immunitario ecc.) la MLT è un autentico composto multidisciplinare. A causa di ciò è essenziale che scienziati, qualunque sia il loro campo di interessi, scambino le loro idee e le loro conoscenze”
Si tratta in sostanza di creare un organismo consultivo e di scambio di idee, il “Melatonin Club”, che riunisca scienziati di livello internazionale al fine di favorire attività di ricerca sulla molecola.
L’idea era felice, anche perché una successiva corrispondenza confermava che avevano aderito personalità indiscusse della ricerca mondiale, tra i quali D. Gupta, L. Vollrat, D.C. Klein, R.J. Wurtman, J. Arendt.
Luigi parte il 12 novembre diretto a Miami Beach per partecipare alla riunione, patrocinata dalla Society for Neuroscience. Purtroppo l’iniziativa riscuote un mediocre successo, in quanto, complice un furioso monsone, alcuni importanti scienziati non hanno potuto essere presenti. Ma è lecito sospettare che la mancata riproposizione di un secondo incontro sia stata suggerita e da rivalità tra alcuni ricercatori, e dalla montante ostilità dell’industria farmaceutica nei confronti di una molecola della quale si sapeva poco, ma di cui si temevano i possibili ed efficaci impieghi in patologie fino allora assai redditizie…
Nel nuovo anno si verifica quello che era inevitabile prima o poi accadesse. Gli studi sulla melatonina sono ormai numerosi, in gran parte ispirati ai lavori di Luigi Di Bella, quando non plagiati spudoratamente. Non tutto può essere previsto né regolato dall’Argo dai cento occhi che sorveglia e per più versi controlla il mondo. La molecola aiuta e regola il sonno, cosa osservata dallo scienziato quasi trent’anni prima, e descritta nelle prime comunicazioni scientifiche.
Dietro il fumo d’arrosto del business si assiepano i sedicenti “padri” della sostanza, più numerosi delle impostore che asserivano di essere Anastasia Romanoff, i quali, mescolando sacro e profano, vero e falso, empirico e scientifico, la presentano quale presidio miracoloso, in grado di assicurare – oltre all’annullamento del jet lag8 – un prolungamento significativo del vigore fisico e intellettivo. L’opinione ha sicuro fondamento, ma così, senza circostanziare e definire con rigore scientifico il razionale, le posologie utili, e l’entità dell’efficacia d’azione, si rischia di incrinarne la plausibilità.
Negli Stati Uniti la melatonina inizia a furoreggiare ed alcuni personaggi di piccolo cabotaggio si presentano alla pubblica opinione come originali e seri ricercatori. Sennonché aneliti di notorietà e brame di altra natura fanno fare a volte i conti senza l’oste, come si suol dire.
Il nome di Luigi Di Bella, che era stato tenuto meticolosamente nascosto agli organi di informazione, pur essendo ben noto a tanti oncologi ed ematologi, emerge da qualche indagine meno superficiale di altre ed il suo nome si fa strada come quello del vero pioniere delle ricerche sperimentali e dell’impiego clinico della melatonina. Non sono soltanto primari ospedalieri a conoscerlo da oltre vent’anni, come abbiamo documentato nei capitoli precedenti: migliaia di pazienti hanno fatto ricorso ai propri medici di base per farsi trascrivere le ricette del fisiologo e non pochi di questi, sbalorditi dall’efficacia della terapia, li hanno accompagnati alle visite di controllo od hanno voluto conoscere Luigi.
Uno di loro, Mauro Todisco, era andato a trovarlo nell’agosto del 1993. Come scriverà nel suo libro – il primo dedicato allo scienziato – gli capita di leggere una prescrizione fatta ad una sua assistita ed esclama: “Secondo me questa cura è geniale. C’è qualcosa che non riesco a comprendere appieno, ma penso che ciò sia dovuto soltanto ai limiti delle mie conoscenze”9. Val la pena riportare stralci delle pagine del libro che descrivono il primo incontro.
“Quel mio primo colloquio col Professore durò più di un’ora. Ricordo di avere provato un profondo senso di inadeguatezza. Non che il Professore facesse qualcosa per determinarlo: tutt’altro, credo di non avere mai conosciuto qualcuno dotato di una modestia così profonda. Ero io che mentre ricevevo risposte alle mie domande, avvertivo non solo il divario enorme fra le sue e le mie conoscenze, ma anche la sensazione, netta, di trovarmi di fronte ad una intelligenza superiore. Penso che nel proprio lavoro ammettere la superiorità intellettuale di altri sia tra le cose più difficili. Non si spiegherebbero, altrimenti, la solitudine e l’isolamento che, nella storia, hanno dovuto sperimentare tante menti fuori dell’ordinario. Tante voci bellissime, con un solo, comune, difetto: quello di cantare al di fuori e al di sopra del coro. Accompagnava le sue spiegazioni passandosi di tanto in tanto una mano nei capelli, Il Professore. Un gesto, questo, di cui oggi conosco bene il significato. Coincide, infatti, con i suoi momenti di maggiore concentrazione, e in me determina sempre l’acuirsi del livello di attenzione, come per fissare in maniera indelebile i concetti che seguiranno”
Todisco torna a Modena numerose altre volte, prende nota del curriculum scientifico dello scienziato, si fa spiegare nelle linee principali il razionale della sua terapia, annota notizie biografiche, ottiene fotografie. Contatta poi alcuni pazienti curati venti e più anni prima, dopo che Luigi ottiene il loro benestare. Nasce così, preceduto da una splendida prefazione del Prof. Luigi Di Bella, un libro snello, scritto con scioltezza e di facile lettura e che in una novantina di pagine riesce a catturare l’interesse del lettore. Il libro si diffonde ed ottiene un buon successo editoriale.
Sarebbe stato augurabile che tanti medici che di lì a poco lo avrebbero avvicinato, avessero condiviso il profondo senso di inadeguatezza sopra riportato, e avessero continuato a curare, a modo loro, influenze e mal di pancia senza pretendere di interessarsi di tumori.
Il 28 febbraio 1995 Luigi tiene una conferenza a Fanano sulla melatonina. La sala del monastero delle Cappuccine è affollata di pazienti che ascoltano lo scienziato ed assistono alla presentazione del libro di Todisco. Dalla registrazione della comunicazione verrà successivamente ricavata e pubblicata una sintesi di quattro pagine, come sempre di esemplare chiarezza. Dopo un excursus storico che prende le mosse da Erofilo d’Alessandria, Erasistrato e Galeno di Pergamo per arrivare alle teorie sulla funzione della pineale di Cartesio, si giunge agli studiosi dell’inizio del novecento ed alle ricerche più recenti. La parte più interessante è la sintesi finale, nella quale il fisiologo elenca dati scientifici, destinati a rimanere ignorati per chiara ignoranza anche molto tempo dopo, ma che obbligherebbero qualsiasi rappresentante della medicina sperimentale o clinica a cambiare completamente le proprie vedute.
Dopo avere precisato che la melatonina non può essere considerata un ormone, venendo prodotta in numerosi distretti dell’organismo, e passate in rassegna le sue numerose funzioni fisiologiche, affronta il tema dell’impiego della sostanza nella terapia del cancro. Ripercorre, a questo proposito, le tappe della propria ricerca, sottolinea come risultati rilevanti possano attendersi solo dall’associazione di vari princìpi attivi, ed elenca le modalità d’azione della sostanza:
- Capacità, per le sue caratteristiche di solubilità e polarità, di attraversare tutte le membrane biologiche, particolarmente quella del nucleo, dove rapidamente si concentra;
- Regolare gli scambi emo-tissutali, con tutte le conseguenze sul trofismo dei tessuti e sulle metastasi;
- Assicurare un’ottima crasi sanguigna;
- Inibire l’espressione e la trascrizione dei fattori di crescita e dei relativi recettori.
La conclusione è la rivendicazione di basilari funzioni della Melatonina, che ne giustificano l’impiego pratico in numerose affezioni ematologiche, oncologiche e del sistema nervoso centrale. Assai eloquente la chiusa dello scritto:
“ […] Eppure ci si balocca nel consigliare la MLT nei disturbi da ‘jet lag’, nelle dissonnie, nella Seasonal Depressive Syndrome ecc., mentre si fa il vuoto intorno al suo ben più importante impiego nelle eteroplasie, nelle emopatie, ecc; non diversamente da come i cartesianofili difesero strenuamente per 150 anni gli spiriti vitali, filtrati e distribuiti saggiamente dalla pineale attraverso i tubicini dei nervi. Come sempre i più reboanti clamori vengono dalle scatole vuote”
Una sferzata finale agli azzeccagarbugli di tutti i tempi ed all’epidemia di superficialità, prosopopea ed ignoranza che imperversa nel nostro tempo.
Nel marzo di quell’anno viene costituita a Bergamo la prima associazione di pazienti. Minuscoli si interessa dell’iniziativa, alla quale si associano diversi pazienti. Purtroppo qualcuno dei promotori non si rivelerà all’altezza della situazione e ben presto l’associazione appassirà, sostituita da altre più attive e trasparenti nella gestione.
Il 2 luglio Luigi tiene un’altra conferenza a Bologna, dal titolo Azione integrata Melatonina-Retinoidi nella terapia dei tumori, organizzata dal Melatonin Group, un’organizzazione creata da Todisco con l’intento di riunire studiosi interessati all’argomento, sulla scia del fallito Melatonin Club della D.ssa Guardiola. Partecipa anche qualche giovane oncologo locale, più aperto di altri e con un’infarinatura scientifica abbastanza lodevole: ma non appena azzarderà qualche obiezione finirà macinato finemente …da argomentazioni alle quali non è in grado di replicare.
Sarebbe stato interessante che certi critici ad oltranza avessero assistito alla comunicazione che Luigi fa a Birmingham un mese dopo l’evento appena descritto. Si tratta del quarto Congresso di Fisiologia comparata e di Biochimica, che si tiene dal sei all’undici agosto 1995. Lo scienziato presenta un lavoro di capitale importanza, corredato da una copiosa documentazione fotografica10.
Nel testo viene dimostrato – con il supporto informativo delle tecniche sperimentali impiegate – come la membrana dei megacariociti presenti protrusioni che sotto l’azione di melatonina e adenosina si dissolvono, favorendo l’uscita di folle di piastrine prodotte nel citoplasma del megacariocita stesso. L’iniezione locale di Melatonina e Adenosina, come successivamente quella di Serotonina, era stata effettuata attraverso fibre micro capillari di vetro, tramite il microiniettore Eppendorf del laboratorio di via Marianini. Il fenomeno viene studiato approfonditamente ed interpretato.
Oltre dieci anni dopo l’allievo prediletto di D. Gupta, il Prof. Peter G. Fedor Freybergh, rimarrà attonito ed ammirato di fronte all’illustrazione del lavoro che gli farà L. Gualano nel corso di una visita fatta al laboratorio di via Marianini.
Come avvertito prima, la melatonina diventa popolare e sbarca in Italia con un libro che viene distribuito in Italia a partire dall’ottobre del 199511. Sulla copertina spicca un sottotitolo, “Melatonina: abbiamo in noi l’ormone che ci impedirà di invecchiare?”, clamoroso e suadente quanto basta per farne un best seller. Come abbiamo più volte tenuto a precisare, la sostanza non può essere considerata un ormone, essendo provata la sua increzione in diversi distretti dell’organismo, e quel “ci impedirà di invecchiare…” è piuttosto ardito. Sia come sia, settimanali e, in seguito, emittenti tv iniziano a recensire e presentare il libro. Sfogliandolo sfilano espressioni e concetti forse non errati, ma sicuramente esagerati, dalla pretesa capacità della melatonina di “…allungare la vostra vita, portandola dai 75 anni…ai centoventi…”, al potere di “rinverdire la vostra vita sessuale, che abbiate trenta, sessanta o novant’anni…” e “…rivitalizzare il vostro sistema immunitario in modo che possiate vivere bene e senza malattie per un secolo e più”.
Assolutizzare e ingigantire proprietà che pure sono presenti è il modo più rapido per fornire elementi di critica alle opinioni contrarie. Il capitolo che in realtà sconcerta è quello dedicato a “Melatonina: un’efficace protezione e una cura potente contro il cancro”. Nel capitolo citato il nome di Luigi Di Bella, di colui che Russel Reiter aveva pubblicamente definito “il padre della melatonina”, semplicemente manca; come manca in una pur nutrita serie di citazioni bibliografiche. E manca inescusabilmente, dato che uno degli autori ha assistito a comunicazioni dello scienziato, conosce Reiter e riceve i volumi della Pineal gland and cancer. Ben diversa la posizione di P. Lissoni che già undici anni prima ha correttamente indicato in un suo lavoro il nome di Luigi Di Bella, come si è soliti fare con i caposcuola12. Forse qualcuno pensa che un uomo schivo e modesto come Luigi Di Bella abbia rinunciato a rivendicare paternità delle proprie scoperte; o che gli ottantatre anni raggiunti lo abbiano indotto ad una vita lenta e pantofolaia. In realtà saranno i giornalisti, non ancora irreggimentati e addottorati sul “sovversivo” della medicina …a scoprire, frugando negli archivi e chiedendo, quale sia la verità.
Cominciano a comparire i primi articoli su Luigi Di Bella, qualcuno si ricorda del 1973 e della conferenza di Bologna, mentre i più diligenti scoprono che lo scienziato parlava di melatonina nel tempo in cui pretesi scopritori pensavano magari si trattasse di una varietà di mela dalle proprietà tonificanti…
Per giunta fioccano nelle redazioni lettere di pazienti che sono stati guariti da malattie terribili anche venticinque anni prima, e che offrono in visione la propria cartella clinica. Queste testimonianze scoperchiano un benefico vaso di Pandora che generazioni di cottimisti della farmacologia e della medicina hanno cercato in ogni modo di tenere sigillato e nascosto negli scantinati. Qualche giornalista riesce anche a raggiungere Luigi che in un’intervista dirà fra l’altro: “Sono considerato una pecora nera e pochi mi seguono, anche se adesso, dopo vent’anni che curo pazienti e divulgo le mie teorie in convegni di tutto il mondo, qualcuno comincia a prendermi in considerazione”; poco oltre riferisce della ormai insostenibile folla di pazienti che chiedono di essere visitati: “ […] gli ammalati mi cercano senza sosta, spesso devo staccare il telefono”13.
Una folla che – è bene notarlo – è il frutto del famoso passaparola, che per progressione logaritmica ha raggiunto livelli inimmaginabili. E siccome non è spiegabile – lo abbiamo sottolineato altre volte – un meccanismo simile in assenza di risultati, possiamo dare dell’impostore a chiunque sostenga che Luigi Di Bella debba ad azioni altrui la notorietà. Insistiamo ed insisteremo su questo punto per smentire sia una falsità diffusa ad arte, che una rivendicazione altrettanto infondata avanzata da taluni a proprio beneficio: la falsità è che il “caso Di Bella” sia stato creato dall’irresponsabilità (!) del mondo dell’informazione; l’infondata rivendicazione, quella che la notorietà ed il seguito goduto dallo scienziato siano merito di certi improvvisati registi, in realtà saltati su un carro già in avanzato movimento. Nulla di più falso ed ipocrita. Senza migliaia di pazienti in ogni parte d’Italia, ammirati, indignati, e con tanto di cartella clinica sotto il braccio, nessun giornale e nessuna eminenza – tutt’altro che eminente, e più nera che grigia – avrebbero potuto qualcosa. Luigi Di Bella non solo non ha mai dovuto nulla a nessuno: casomai è stato sempre e sistematicamente creditore nei confronti di chiunque e, nella totalità dei casi, l’affiancamento altrui gli ha procurato molti più danni che benefici. La notorietà, come vedremo, rinverdirà ed ufficializzerà, da un canto, le ostilità di sempre; dall’altra farà galoppare verso di lui torme di nullità, parassiti, saltimbanchi e speculatori, che isseranno abusivamente il suo vessillo per il proprio tornaconto: sciame di sudicie mosche in picchiata su miele immacolato.
Senza stampa e istrioni per lo mezzo, Luigi ha curato, sta curando e curerà personaggi famosi in tutto il mondo, sia italiani che stranieri. Non è certo Jacqueline K. l’unico caso, anche se di molti non è lecito farne i nomi, trattandosi di persone viventi nel momento in cui scriviamo queste pagine. Ma possiamo fare un’eccezione. All’inizio del 1995 lo scienziato viene contattato da una signora italiana che vive negli Stati Uniti, precisamente a Darien, Connecticut. Ha sposato un musicista jazz notissimo, Gerry Mullighan, colpito da un epatocarcinoma sovrappostosi ad uno stato cirrotico. Luigi accoglie i coniugi, senza sapere chi sia il paziente, che non ha mai sentito nominare. La situazione è molto grave sia sotto il profilo oncologico che funzionale, aggravato quest’ultimo – o meglio, determinato – da un bere smodato che sconfina nell’alcolismo. L’indicazione tassativa che dà, prima ancora di vergare la prescrizione, è di non azzardarsi nemmeno a sfiorare la bottiglia di Whisky e di seguire precise indicazioni dietetiche.
Tra medico e paziente si instaura subito una empatia istintiva, nonostante Luigi dica senza giri di parole che il genere di musica suonata ed arrangiata dal sassofonista americano non gli garba proprio. Mullighan, ispido e ribelle d’indole, refrattario ad ogni regola e ad ogni consiglio, nutre una fiducia ed una stima sconfinata nei suoi confronti, e non solo segue diligentemente la terapia antineoplastica ed il regime alimentare consigliato, ma rinuncia alla bottiglia.risultati sono impressionanti ed insperati, testimoniati dalle indagini cliniche di rito che segnalano una netta regressione del tumore. In una lettera del 18 novembre Franca Mullighan scrive allo scienziato:
“Caro Professore, le sono infinitamente grata per il suo aiuto, la sua pazienza ed il conforto che lei ci dà […] con tanta riconoscenza anche da parte di Gerry,nostri più cari saluti”
Ma il musicista, forse ingannato da un recuperato benessere e vigore, ha già ricominciato di nascosto a tracannare whisky. A questo punto la situazione, anche per il sopravvenire di una complicazione imprevista, precipita e Mullighan muore nel gennaio dell’anno successivo.
Non è stata certo una stampa “imprudente” o qualche abusivo portavoce a condurre dallo scienziato il jazzista, allo stesso modo di tanti altri noti artisti e personaggi importanti.
In questo contesto – che vede la terapia fare sempre più proseliti in ogni parte d’Italia ed all’estero, tra comuni cittadini come tra vip di ogni ramo, e moltiplicarsi non solo sulla stampa locale ma anche su qualche testata nazionale le testimonianze sulla sua efficacia – l’interesse che sta suscitando la melatonina viene visto quale ariete contro la porta blindata che da decenni difende privilegi e biglietti fruscianti. Quanti vivevano tranquilli, dopo lo sventato pericolo di ventidue anni prima, cominciano a diventare irrequieti. Se migliaia di prescrizioni erano finite tra le mani di ematologi, oncologi, farmacologi, componenti di commissioni sanitarie ministeriali, senza provocare esplicite reazioni, adesso la politica dell’ignorare comincia a presentare falle vistose. Ancora non si è creato un allarme generalizzato e non si sono mobilitati megafoni di comodo. Il mondo dell’informazione è sempre stato fedele ed ossequiente, ma ora il potere nutre un timore: che suoi esponenti, pur solitamente disponibili ad imbellettare, abbruttire o silenziare cronache o eventi di carattere politico, di fronte alla morte ed alla sofferenza di centinaia di migliaia di cittadini abbiano remore di ordine morale; o temano, meno nobilmente, la bestia difficile dell’opinione pubblica, che non può essere sempre soffocata, ma come branco di bufali mugghianti può travolgere tutto e tutti all’emergere di infamie gelosamente segretate.
Non vi sono per il momento dei veri e propri summit, perché pochi fiutano il pericolo: il potere non solo vizia, ma può rendere miopi, inducendo uno sconsiderato senso di onnipotenza e invulnerabilità.
D’altra parte può ricorrere l’equivoco nel quale cadde un granatiere di Federico il Grande, il quale disse una volta al suo re, mingherlino per natura: “Maestà, io sono più grande di lei”, corretto subito dal sovrano sorridente con un “tu sei più grosso, non più grande di me”.
Baroni e burocrati sono mille volte più “grossi” di Luigi; ma lui è “più grande”, anzi, grande, data l’improponibilità di un comparativo tra un genio assoluto e cicche d’uomo. Si procede quindi a quota periscopica, con azioni di intimidazione che si confida bastino e non costringano ad atti più espliciti e potenzialmente più rischiosi: in fondo, l’incendiario di tanti anni prima ha quasi ottantaquattro anni, che c’è da temere? Basta guadagnare tempo e aspettare. Quasi sicuramente é a quest’ultima considerazione fatta che all’anziano scienziato venne risparmiata la vita.
Fedeli al principio più volte enunciato di lasciare che siano i fatti a parlare e non le opinioni, ci sembra qui opportuno illustrare alcuni eventi rigorosamente documentati, uniti da un filo conduttore che ci pare emerga con chiarezza. Chiunque legga con attenzione quanto andiamo ad esporre di seguito, non avrà bisogno di commenti od esplicazioni per arrivare alle conclusioni.
Già nel febbraio ’95 uno zelante responsabile U.S.S.L. – quella di Bergamo – ha spedito una lettera, su impulso di un “medico coordinatore”, allo scienziato e, per conoscenza, al Ministero della Sanità ed all’Ordine dei medici di Modena.
La pietra dello scandalo è una prescrizione del 12.11.1994, fatta ad una paziente:
“Caro collega, viene segnalato al nostro Servizio il caso di una paziente affetta da neoplasia ovarica con metastasi, per la quale risulta prescritta la terapia di cui all’allegato. Al di là del giudizio soggettivo sull’utilità di alcuni dei princìpi attivi prescritti, non risulta allo scrivente dimostrata l’efficacia di alcune associazioni (ad es. Parlodel+Melatonina+Endoxan); per altri farmaci, poi (è il caso della Logastatina …sic!14), la diagnosi in questione non è tra le indicazioni per cui l’uso del farmaco è autorizzato dal Ministero della Sanità. Pertanto sono interessato a conoscere eventuali sperimentazioni ministeriali di fase IV cui Ella stia aderendo”
Questo bizantino ed affannato scrupolo riguarda una paziente definita in un allegato:
“ […] in assistenza domiciliare programmata, in precarie condizioni fisiche, ormai terminale per ca. ovarico con carcinosi peritoneale, di grado così avanzato da richiedere frequenti paracentesi per ascite, avendo ormai i ginecologi degli OO.RR. deciso di sospendere ogni terapia se non quella del dolore, e delle cure palliative”
Esaminiamo con attenzione l’epico testo, estraendo fedelmente i termini della disamina clinica della paziente:
- assistenza domiciliare;
- terminale;
- carcinosi peritoneale;
- ascite;
- sospesa ogni terapia;
- terapia del dolore;
- cure palliative;
- …
Ma un pruriginoso scrupolo torce e ritorce gli intestini dell’ispiratore della lettera all’Ordine e al Ministero, oltre che al “caro collega”. Ispiratore al quale sembra sfuggire anche la denominazione esatta della criticata specialità (scrive Logastatina anziché Longastatina), ma non – nella sua acuzie – che il farmaco é off label…, per cui chiede con genuina ingenuità …se sia in corso una sperimentazione di fase IV (III – si badi bene – non basta: IV!). Naturalmente non si può pensare ignori che la Longastatina é solo una delle specialità (su concessione Novartis) del principio attivo Octreotide, e che, di conseguenza, ha usato una espressione, anch’essa off label…, volendo significare in realtà “sperimentazione dell’Octreotide”. Di fase IV, poffarbacco, s’intende. Tutto si può dire, ma bisogna riconoscere che il trepido e angosciato esegeta non era un cretino qualsiasi.
Il casus belli era sorto quando la paziente si era permessa di chiedere che le fossero forniti i farmaci utilizzati nel Metodo Di Bella. Citiamo questo caso perché molto eloquente ai fini di un giudizio del lettore.
Nel frattempo sono nate altre due associazioni di pazienti. La prima, la A.N.F.C.C. (Associazione Nazionale Famiglie Contro il Cancro), viene costituita a Trento per iniziativa di persone guarite dallo scienziato o da loro stretti congiunti, seguìta qualche mese dopo dalla A.I.A.N. Roma (Associazione Italiana Ammalati Neoplastici), anch’essa facente capo a malati guariti. Nel gennaio ’96 si organizza una piccola riunione a Modena, in casa di Adolfo, alla quale prendono parte lo scienziato, Giancarlo Minuscoli e gli esponenti delle tre associazioni sorte. Le idee su come muoversi sono ancora abbastanza nebulose, quantomeno nei rappresentanti delle associazioni. Luigi ascolta a lungo senza intervenire. Lo fa poi con parole semplici ed essenziali: le associazioni devono svolgere sostanzialmente un ruolo umanitario ed assistenziale, l’unico che non addetti ai lavori possono rivestire. Proposte che si erano rincorse durante la discussione, come formare medici attraverso corsi e seminari e disciplinare la loro attività, sono giudicate inattuabili ed improprie dallo scienziato (“é una cosa che non ha senso…”), che approva solo il progetto dell’associazione di Trento di dar vita ad una rivista finalizzata a fungere da voce dei pazienti.
Meno di un mese dopo giunge all’Ordine dei medici di Modena, all’attenzione del presidente pro tempore, una lettera da Roma, datata 8 febbraio 1996: a scriverla è il Prof. Giuseppe Leone, primario del reparto di ematologia di un noto ospedale della capitale.
Riportiamo gli stralci più significativi:
“…alcuni pazienti emopatici da me seguiti, verosimilmente illusi e plagiati …sento il dovere di richiamare la sua attenzione sul comportamento di un medico, il prof. Di Bella, che immagino iscritto all’ordine dei medici di Modena15”
Il caso che ha suscitato …l’indignazione dello scrivente è quello di un ragazzo di 19 anni, affetto da leucemia linfatica acuta e sottoposto ai cicli chemioterapici di rito, che, a suo dire, avrebbero portato ad una remissione completa. Per ragioni che lo scrivente non spiega e che sfuggono, se i risultati sono stati davvero positivi, la famiglia contatta Luigi.
Continua l’ematologo:
“I genitori del paziente alla ricerca di terapie meno impegnative per il loro caro16 hanno contattato il suddetto prof. Di Bella; questi, senza conoscere, a detta dei genitori, lo stato della malattia, le terapie e gli esami eseguiti, ha interrotto il trattamento antiblastico, e prescritto terapie a base di melatonina, ACTH, vitamina C (sic!) assicurando completa guarigione… Come Ella ben sa, le probabilità di recidiva in un paziente con leucemia l.a. in remissione, che non venga sottoposto a trattamento di mantenimento…sono estremamente alte. Il prof. Di Bella sta mettendo a rischio la vita di un paziente, che con le terapie ufficiali ha un’altissima probabilità di guarigione, sottoponendolo a terapie di nessun valore scientifico. Si dirà che egli agisce con l’assenso del paziente e dei suoi familiari, ma indubbiamente questi, come mi hanno detto, fidano sul fatto di essere in cura da un medico, regolarmente iscritto all’ordine e da questo mai diffidato17 …L’ordine dei medici …ha il dovere di intervenire sui suoi iscritti quando questi mettano ripetutamente a repentaglio la vita dei pazienti con terapie miracolistiche e senza base scientifica…”
Quello che colpisce, a parte l’astio dispensato a piene mani, è un insieme di incongruità, inesattezze ed affermazioni paradossali:
- Perché, se i risultati erano così soddisfacenti, malato e genitori hanno cambiato strada?
- Cosa significa “terapie meno impegnative”?
- Come si fa a parlare di “terapie a base di…” dimenticando principi attivi fondamentali come retinoidi e somatostatina?
- È indice di mentalità scientifica, e quindi esatta, tralasciare metà dei componenti di una prescrizione?
- Come possono ignorarsi centinaia di lavori – allora già recepiti dalla letteratura scientifica internazionale – sui farmaci prescritti?
La cosa che ci sembra più eloquente, e che ci induce a soffermarci su questo scritto, è quel “mai diffidato” e l’inciso “ha il dovere di intervenire”. Qualche malevolo potrebbe leggervi un invito ed una intimidazione allo stesso Ordine…
Difficile non rilevare la singolare coincidenza tra questo episodio ed una pronuncia della Commissione Oncologica Nazionale, che il 6 febbraio – due giorni prima dell’alata comunicazione sopra riferita – aveva sancito (!) che la “cosiddetta cura Di Bella” era priva di qualsiasi scientificità. In questa dichiarazione, che ci si aspetterebbe fosse intonata alla più rigorosa terminologia scientifica, si parla di un “miscuglio” di farmaci, tra i quali la “Longastatina”. Cosa che lascia increduli, visto che viene citata la specialità farmaceutica (pur con ortografia corretta, a differenza di quanto aveva fatto la Usl di Bergamo), e non il principio attivo (octreotide), facendo sorgere il dubbio che gli scriventi non conoscessero la differenza tra le due accezioni. A prescindere dal fatto che il giudizio veniva espresso senza conoscere l’intima essenza del metodo, ma, evidentemente, avendo sott’occhio una delle centinaia di prescrizioni che dai vari ospedali affluivano al ministero: diciamo “evidentemente”, in quanto il principio già largamente usato dal Prof. Di Bella era la somatostatina, della quale l’octreotide è un analogo.
Luigi, che già in passato aveva ricevuto notifiche di missive critiche (ma non fino a questo livello), reagisce indignato, e si rivolge ad un legale, intenzionato a querelare l’autore della lettera. Il legale gli consiglia, in prima istanza, di valutare la possibilità di risolvere la questione con l’ordine dei medici. La vicenda si conclude presto, dopo un’indignata ed energica replica dello scienziato durante l’incontro con il presidente, persona peraltro ragionevole e molto diversa da colleghi che lo sostituiranno a breve, ed una lettera dei genitori del ragazzo che contraddice in toto le affermazioni dell’ematologo.
Ma è un segno, un segno chiaro che l’ostracismo palesatosi nel 1973 non solo perdura, ma si è fatto più feroce. Ancora di più: è l’inizio di una strategia che nel giro di qualche anno si preciserà e coordinerà, mobilitando come mai prima il mondo al quale Luigi, e tutti gli uomini che hanno a cuore il bene dell’umanità ed il suo progresso civile e culturale, hanno cercato di opporsi.
In febbraio appare su un settimanale un servizio sul tema della melatonina, comprensivo anche di una breve intervista. Luigi ribadisce cose già dette altre volte, precisando che la melatonina è indispensabile ma non sufficiente a curare i tumori. L’inizio dell’articolo riporta un’affermazione importante, quella di Paolo Lissoni, riferita allo scienziato:
“Certamente è lui il pioniere italiano della ricerca in questo campo”
Dichiarazione di tenore assai lontano dall’omertà sul suo nome di altri, e dello sgradevole silenzio nel citato libro “la fonte della giovinezza”. Ma le righe destinate a interessare maggiormente la pubblica opinione sono quelle dedicate ad una testimonianza, quella di Eugenio R., il giovane che nel 1979, ancora ventenne, era stato curato per un linfoma da Luigi.
Il 28 febbraio una rubrica della televisione di stato (Rai Tre – Mi manda Lubrano) viene dedicata alla melatonina. Il tema è, appunto, la melatonina, o per meglio dire il “fenomeno” della melatonina, visto che vi ricorrono venti milioni di americani. Il F.D.A. (Food and Drug Administration)18 ne ha autorizzato la commercializzazione anche nei drugstore, trattandosi di sostanza sicuramente priva di qualsiasi controindicazione. Ma lo spunto per la trasmissione è costituito da un evento, di per sé non particolarmente significativo, ma che non può non attirare l’attenzione per il singolare rigore dimostrato da organismi del ministero della sanità. All’inizio del 1995 Todisco era andato a trovare Luigi accompagnato da rappresentanti di una ditta vicina alla sua residenza, la Biom. Questi chiedono allo scienziato notizie sulla Melatonina coniugata e sulle tecniche farmaceutiche utili ad assemblare melatonina, adenosina e glicina e Luigi, pur contrariato e scettico sulla possibilità che la ditta riesca a produrre la sostanza secondo i suoi desiderata, fornisce le informazioni richieste. Dopo qualche tempo la Biom confessa di non riuscire ad ottenere un preparato idrosolubile; poi, senza ulteriori contatti con lo scienziato, denomina Synchro il prodotto, ed in giugno notifica l’etichetta al ministero della sanità. La legislazione vigente prevede che la commercializzazione possa iniziare subito e che, dopo novanta giorni dalla notifica, valga la regola del “silenzio-assenso”, ma nonostante questo la ditta attende la fine di settembre per l’immissione in commercio. Il 3 novembre giunge invece una lettera del ministero, nella quale si chiede venga comunicato il “razionale” del prodotto, cioè una relazione su dati sperimentali e farmacologici. Gli esponenti Biom sgranano tanto d’occhi, ma nonostante questo si adeguano alla richiesta, ed il 23 gennaio 1996 spediscono un copioso fascicolo al ministero della sanità. Questo risponde dopo poco, affermando che la melatonina non può essere considerato un integratore alimentare e che quindi il Synchro va ritirato! Una inspiegabile severità, se si pensa al rigore del F.D.A. ed ai venti milioni di americani che consumano da mesi e mesi melatonina con piena soddisfazione. Ma tant’è.
Nella trasmissione intervengono il Dr. Bertolamasi, della Biom, Walter Pierpaoli e il Prof. Silvio Garattini. I toni sono accesi, perché Pierpaoli denomina “Santa Inquisizione” la C.U.F. (Commissione Unica del Farmaco, oggi AIFA) e “Torquemada” Garattini, che ne è membro con poteri decisionali preminenti. Garattini parla di sperimentazione di farmaci, di assenza di adeguati rilievi scientifici, di possibili rischi per la salute e definisce la melatonina non un integratore alimentare, ma un farmaco: singolare affermazione, che con dubbia coerenza due anni dopo sarà completamente – anche se erroneamente – ribaltato. Pierpaoli rileva che si tratta di argomentazioni inaccettabili, rivelando che esistono “decine di chili” di lavori sulla melatonina, come dimostrato da ben 3.500 voci nella letteratura scientifica, e che la sostanza è senza il minimo dubbio priva della più remota tossicità, essendo stata testata per diversi anni in Olanda dal Prof. Cohen su 1.300 donne, ed a dosaggi di 300 milligrammi, quindi una ventina di volte superiori a quelli somministrati usualmente.
Fa anche il nome del Prof. Luigi Di Bella, affermando che “da almeno trent’anni la impiega nella terapia dei tumori”. Giunge una telefonata di Luigi, in realtà chiamato dalla redazione della rubrica, che definisce la melatonina “una sostanza biologica che non ha bisogno di alcun sussidio farmacologico”, fornisce precisi riscontri della letteratura scientifica, parla della sua funzione fondamentale – tra l’altro – nella piastrinogenesi.
Il farmacologo risponde definendo le parole dello scienziato “un’insalata di parole”, parificando a verdure le acquisizioni non solo del fisiologo, ma di numerosi altri ricercatori di fama mondiale. Le contraddizioni sono evidenti: dubbi sulla tossicità potenziale sono chiaramente pretestuosi, stante il test di Cohen e l’assenza di effetti collaterali nei venti milioni di americani; viene contraddetta la pur paradossale rubricazione della melatonina tra gli integratori alimentari da parte del F.D.A., e non si spiega come mai l’ente statunitense abbia autorizzato l’immissione in commercio se non esistevano prove scientifiche sulla sua atossicità.
Per completezza, è bene ricordare che qualche tempo prima era intervenuto in un’altra trasmissione Paolo Lissoni, presente anche Garattini. Nel corso della conversazione era giunta la telefonata di un paziente milanese, affetto da una grave forma di tumore cerebrale (le notizie in nostro possesso lo descrivono in vita almeno sette anni dopo la data di questo evento), che si lamentava con il farmacologo per l’elevato costo della somatostatina e soprattutto per il fatto che, nonostante evidenti benefici registrati da lui e da altri, il farmaco non fosse dispensato dal servizio sanitario nazionale. Il paziente aveva affermato di essere seguìto dal Prof. Luigi Di Bella, al nome del quale si ha l’impressione – rivedendo il filmato della trasmissione – di cogliere un sussulto, accompagnato da un imbarazzo assai pronunciato, sul viso cinereo del farmacologo. Il quale, sia in questa occasione che in quella prima esposta, non aveva parlato dei passati contatti con il fisiologo e del frettoloso test sulla melatonina eseguito dall’Istituto Negri oltre vent’anni prima.
Il 10 marzo su un quotidiano locale appare un’intervista, dal titolo eloquente e molto …giornalistico: “Luigi Di Bella, il medico emarginato dalla scienza ufficiale”. Alcune frasi dello scienziato, alla luce di eventi che si verificheranno di lì a poco, appaiono profetiche:
“…nel mondo accademico esistono gelosie incredibili. E’ impensabile che un fisiologo possa invadere campi riservati ad altri specialisti. Eppure la fisiologia è l’essenza stessa della medicina”
Ed alla domanda su “associazioni che raccolgono fondi e si battono perché il cancro venga sconfitto” risponde:
“Tutto sta a vedere se al centro di loro interessi c’è soltanto la ricerca scientifica […] Tenga presente che in questo campo il business è enorme”
Quando il giornalista osserva poi, a proposito della melatonina, che “…in molti si danno da fare per minimizzare gli effetti della melatonina”, Luigi risponde secco:
“Perché si sa che sono stato io per primo a studiarne l’uso come importante coadiuvante nella terapia antitumorale”
Il punto è proprio questo. La melatonina dà fastidio in ogni caso, perché ha un campo di applicazione clinica senza limiti, è atossica e priva di effetti collaterali. Ma il motivo della feroce ostilità è rappresentato dal fatto che può mettere fuori gioco tutta una serie di specialità assai remunerative per l’industria farmaceutica. Un suo impiego elitario per collaborare a prevenire e curare i tumori rappresenta poi il sommo della iattura, anche perché inesorabilmente solleva il sipario su una terapia razionale del cancro già disponibile da ventitré anni e sempre censurata.
In poche parole rischia non solo di polverizzare il più grande business della storia della medicina e dell’economia – la cura del cancro – ma di attirarsi il disprezzo collettivo, disgregando ed abbattendo di colpo tutta una piramide feudale di caste medico-farmaceutiche che da decenni prosperano e ingrassano.
Se nel 1973 questo “pericolo” era stato appena intravisto ed aveva dato luogo ad una reazione violenta ma non particolarmente affannata, oggi la situazione è per vari motivi assai più delicata. Il giro d’affari oncologico ha raggiunto livelli inimmaginabili, tra “diretto” ed “indotto”; la burocrazia sanitaria è molto più finemente organizzata ed aggiogata; collateralmente al potere di Big Pharma si sono creati comitati d’affari che hanno poggiato il loro potere su investimenti sì diversificati, ma con uno zoccolo duro costituito dalla produzione di farmaci e affini. Il mercato può riservare sorprese, far registrare flessioni e variazioni difficili da prevedere; ma la malattia, specie se in grado di atterrire, far soffrire, uccidere, se ne infischia allegramente della legge della domanda e dell’offerta. Qui la domanda ci sarà sempre, ed anzi è destinata a crescere, favorita o determinata com’è da stili di vita, abitudini alimentari e da una disinformazione che sembra attentamente studiata a tale scopo. Nessuna crisi, in conclusione, potrà mai interessare due attività economiche, per molti versi simili, seppure la prima soltanto a livello artigianale, la seconda a livello industriale: quella delle ditte di onoranze funebri e quella della cura del cancro.
Luigi questo lo sa perfettamente, a differenza di tanti aspiranti consiglieri. Non s’illude di poter prevalere sulla novella idra di Lerna, ma vuole additarla all’umanità quale mostro dal quale guardarsi e liberarsi, cominciando a tagliare qualcuna delle sue velenose nove teste.
Nel marzo del 1996, per la prima volta, non riesce ad inviare in tempo utile il lavoro che ha preparato per l’annuale congresso EPSG che si tiene in Spagna, in una località prossima a Barcellona. Esprime il suo rammarico a Minuscoli e già pensa di rinunciare a parteciparvi, quando il medico bergamasco si accorda con alcuni amici e gli propone di accompagnarlo. Il 26 marzo Luigi parte con Gianni ed Angela Cuoghi, Adolfo e Maria Letizia. Nei pressi di un casello autostradale c’è ad aspettarlo con la sua macchina Giancarlo Minuscoli, con Lina e Rosanna Carrozzini, la presidente dell’associazione di Trento. La sera pernottano in Francia, a Montpellier, e l’indomani all’ora di pranzo sono a Sitges, meravigliosa cittadina adagiata su una baia. Il mare incanta subito lo scienziato, che come sempre lo fissa a lungo ed in silenzio.
Alle sei del mattino – c’era da giurarlo – è già a scarpinare lungo il mare, il viso costantemente volto verso le onde, le braccia dietro la schiena. Saranno per lui giorni indimenticabili, ravvivati dalla vitalità e dal buonumore di Giancarlo e senza che faccia capolino il disagio che prova sempre quando lontano da casa: è con un figlio, la nuora ed amici sinceri. Luigi è impegnato mattina e pomeriggio per i lavori del congresso, ma si adatta volentieri a pranzare e cenare nelle caratteristiche trattorie della cittadina.
Attraverso una tacita intesa tra Giancarlo e Lina, il suo piatto è sempre misteriosamente colmo di pesce …tanto che lo scienziato, con un sorriso sornione, parla di un rinnovato miracolo della moltiplicazione. L’ultima sera di permanenza Giancarlo decide di cambiare locale. Entrano in un ristorante dall’aspetto particolarmente curato, servito solo da uomini: occorre poco per notare come questi camminino in modo insolitamente flessuoso e ondeggiante. Sono capitati in un locale gestito da gay. Minuscoli propone di svignarsela alla chetichella, ma Luigi, con collaudata filosofia di vita, consiglia tolleranza e mormora con un sorriso all’angolo della bocca: “purchè non diano fastidio”…
Mentre lui è a Sitges, un’intera macchina si è messa in moto. Non è necessario precisare quale sia il centro propulsore del provvedimento: viene preparato un testo legislativo, per giunta sotto forma di Decreto Legge, il n. 161/96, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27 marzo 1996:
“Disposizioni urgenti in materia di sperimentazione e utilizzazione dei medicinali”
Il decreto sovverte fondamentali princìpi legislativi – e di civiltà – in vigore da oltre mezzo secolo, e tra questi il diritto del medico di prescrivere secondo “scienza e coscienza”. La relazione introduttiva recita infatti:
“…alla luce dei più recenti sviluppi della farmacologia, non appare più difendibile il principio secondo cui il medico è assolutamente libero di scegliere ‘secondo scienza e coscienza’ il trattamento cui sottoporre il proprio paziente…”
e continua sancendo come:
“…la libertà di prescrizione del medico debba intendersi limitata dalle condizioni d’impiego di un medicinale approvate dai competenti organi ministeriali…”
Senza che nessuno – direttore di giornali, parlamentare, opinionista – si scandalizzi e levi la sua voce, di fatto viene sancita la subordinazione del medico abilitato all’esercizio della professione a burocrati della sanità di non sempre immacolata probità! Una cosa gravissima. Un inconcepibile atto liberticida ancora più grave di un colpo di stato che instaurasse una tirannia: perché perpetrato a potenziale rischio della salute e della vita dei cittadini; perché perpetrato nell’indifferenza collettiva.
Addirittura il medico, avesse anche salvato la vita del proprio assistito, oltre a poter venire sottoposto a sanzioni disciplinari per prescrizioni fuori dalle “linee guida” colate dall’alto, ne risponderebbe penalmente (arresto fino a sei mesi). E’ una cosa – vale ripeterlo – di una gravità inaudita, e la dimostrazione che si vuol sostituire la scientificità con i diktat dell’industria farmaceutica, fedelmente interpretati ed attuati dai suoi bravi.
Circa le preparazioni galeniche, tra le quali – guarda caso – rientrano la soluzione di retinoidi e la melatonina coniugata, è prevista una norma che di fatto ne impedirebbe la fornitura: si impone infatti che vengano preparate al momento, cioè con il paziente che attende. Cosa manifestamente (e consapevolmente) stupida e assurda, dato che come minimo sono necessarie parecchie ore di lavorazione: in particolare, quella dei retinoidi inizia la sera per terminare la mattina dopo.
E’ quindi non solo una espropriazione della libertà del medico, ma un’aberrazione giuridica.
Il medico deve seguire e non ragionare; eseguire, non decidere; disattendere ciò che ha studiato per conformarsi a quanto deciso da “organi ministeriali”. Decisamente è troppo grossa. Nel mondo contemporaneo si può comprimere la libertà individuale fino a limiti impensabili, a condizione che lo si faccia con gradualità, apparente bonomia e attendendo che il torpido intelletto collettivo vi faccia l’abitudine.
Il decreto decade il 27 maggio ed il suo contenuto viene riproposto – singolare insistenza! – in un nuovo decreto, il 291/96. “Chi” sta col forcone sul collo della politica?
Il 2 aprile Luigi è di ritorno, rinfrancato, nonostante non abbia potuto presentare il suo lavoro. Quei giorni di affetti, vicinanza, premure, lo hanno fatto sentire amato e compreso. Ma qualche giorno dopo – non bastasse questa legge “contra personam” più che ad personam – e con una connessione temporale che indubbiamente fa pensare, ritorna l’incubo di anni ormai lontani.
Quella mattina Luigi ha fissato il primo appuntamento alle sei e mezzo, e attende diversi altri pazienti. Secondo un consolidato rituale si alza alle cinque, mette la caffettiera sul fuoco, rifà il letto, porta gli abiti in bagno e dopo il caffè fa la doccia. Da quando é solo, dorme nel lettino dello studio – che un tempo era destinato alle visite domenicali – nonostante la viva apprensione manifestata dai figli, i quali temono che possano cadergli addosso le pile di libri stipati nelle scaffe sulle librerie.
Sono passate da poco le sei che già pedala sulla sua Bianchi nera, diretto a Marianini.
Alle otto Adolfo varca la soglia del luogo di lavoro. Un collega gli si fa subito incontro e lo avverte che hanno appena telefonato dal pronto soccorso del policlinico: il padre ha avuto un incidente. Sapendo bene che solo un evento grave potrebbe costringerlo al ricovero, accorre trafelato, chiede, e con la morte nel cuore raggiunge il reparto di neurochirurgia, dove risulta ricoverato. Solo in una camera, Maria Letizia già accorsa accanto, Luigi è steso su un lettino con una larga fasciatura sul capo. Grumi di sangue in un orecchio, sulla guancia e sul collo, ed anche la camicia è macchiata di rosso.
Adolfo lo abbraccia singhiozzando, ed il padre: “Bè, c’è bisogno di piangere? Non sono ancora morto!”. Riconfortato, Adolfo cerca di ricostruire l’accaduto. Non si è trattato di rapina: non mancano soldi dal portafogli, mentre l’orologio d’oro da taschino e quello da polso sono sul comodino, insieme alle chiavi di casa ed a quelle del laboratorio. Ma Luigi è cupo, silenzioso, strano. No, non è una conseguenza del trauma subìto. Un pensiero fisso gli invade la mente, lo satura di indignazione. Un pensiero che si è fatto strada e da ipotesi si è convertito in certezza: si è trattato di un attentato.
Inizialmente tace, e non rivela al figlio la verità. Oltre al trauma cranico ed un lieve stato di commozione cerebrale, ha subìto un taglio sul cuoio capelluto, suturatogli al pronto soccorso e, come si scoprirà presto, la compromissione permanente dell’udito nell’orecchio ferito. Sia Adolfo che Maria Letizia hanno l’impressione che costituisca per il reparto una presenza sgradita e imbarazzante: fra l’altro, nessuno si è premurato nemmeno di lavargli via il sangue dal viso.
Pippo, avvertito telefonicamente, suggerisce al fratello di chiedere che venga eseguita una Tac senza mezzo di contrasto. Quando Adolfo lo chiede, viene accolto da uno sguardo silenzioso da parte del primario e degli assistenti, quasi avesse avanzato una proposta fantascientifica. Luigi ha capito prima di tutti che – come si suol dire – “non è aria”.
Si riveste, si affaccia qualche minuto al balcone della stanza, raccoglie i suoi effetti e chiede di essere dimesso subito. Gli vengono rivolte le domande di rito per verificare la lucidità mentale, gli si chiede di camminare seguendo una riga tracciata sul pavimento e fare alcuni movimenti allo scopo di sincerarsi di un sufficiente coordinamento motorio, e quindi viene dimesso.
Nel frattempo è arrivato Gianni Cuoghi, che insieme ad Adolfo e Maria Letizia accompagna Luigi in laboratorio. Davanti l’ingresso un piccolo capannello di pazienti. Non c’è verso di convincere Luigi a rimandare le visite: quelle persone sono venute per lui, sono malati e quindi devono essere visitati. Chi ha conosciuto personalmente Luigi Di Bella sa che è del tutto inutile cercare di farlo venir meno agli impegni presi. Con la vistosa bendatura macchiata di sangue inizia a visitare, mentre Angela Cuoghi, che da qualche tempo gli fa da segretaria volontaria, lo tiene d’occhio, gli porta il caffè nelle pause tra una visita e l’altra e riesce, clandestinamente, a convincere qualche paziente a tornare un altro giorno.
Gianni e Adolfo si informano nel frattempo presso gli addetti al servizio di ambulanze, e vengono così a sapere che è stato soccorso dopo una telefonata anonima. Luigi sarebbe stato trovato svenuto per terra con la bicicletta tra le gambe. Questa è stata raccolta e custodita da un droghiere, che però dice di non avere udito nulla, a parte la sirena dell’ambulanza. Sull’asfalto nessuna traccia di frenata violenta; sulla bicicletta – intatta, a parte il campanello appena ammaccato – nessun segno o graffio. E’ una cosa strana e che non trova spiegazione.
Ancora più misteriosa la circostanza che emerge quando Luigi, il pomeriggio, svela particolari dell’accaduto. Il suo ricordo nitido si ferma, quasi istantanea fotografica, al momento in cui sostava davanti ad un semaforo giallo lampeggiante in attesa che passassero due autovetture. Ma l’incrocio dista almeno cinquecento metri dal luogo dove è stato raccolto. Perché è stato trasportato altrove? Che senso ha lo svolgimento degli eventi?
Il giorno dopo Adolfo informa dell’accaduto un alto ufficiale dell’Arma, da poco in pensione, che ricostruisce la successione dei fatti parlando con Luigi ed esamina minuziosamente la bicicletta. Non ha dubbi sull’accaduto: lo scienziato è stato colpito da tergo, probabilmente da qualcuno che lo ha affiancato e percosso con un sacchetto pieno di sabbia: sabbia che è stata trovata, fra l’altro, nel padiglione ed all’inizio del condotto uditivo dell’orecchio offeso, oltre che sotto il colletto della camicia. Non c’é sabbia lungo tutto il percorso interessato.
Sarà presentata una denuncia, ma ovviamente le speranze di rintracciare gli autori materiali ed ancor di più quelli morali sono una pia illusione.
Luigi dal giorno dell’accaduto rinuncia a passare la notte nella casa di via Don Minzoni, e fino al termine della sua vita rimarrà in laboratorio anche per dormire. Oltre alla menomazione dell’udito è stato privato anche dell’ultimo sfumato conforto, dell’ultimo picciolo che lo univa al ricordo del nido familiare. Tornare ogni sera nel vecchio appartamento di via Don Minzoni, risentire, aprendo, gli odori di casa, passare accanto alla stanza dove dormivano Pippo e Adolfo e, subito dopo, alla camera da letto dove Ciccina lo attendeva ogni sera, rinnova la fitta della tristezza, certo. Ma dirà ad Adolfo che “c’è un luogo dove lavorare ed uno dove riposare”.
La ragione più profonda, e pudicamente celata, é però un’altra. Durante le poche ore che vi trascorre, lo avvolge una brezza tiepida, che come spira di nebbia color tramonto lì dorme insieme al silenzio ed alla malinconia, per ridestarsi ogni sera quando lui apre la porta di casa e la richiude dietro di sé: é l’alito caldo dei ricordi, degli affetti; é l’effigie della moglie che si profila nello spazio vuoto sulla poltroncina della camera da letto; é la voce dei figlioli che gli sembra udire dietro la porta chiusa della loro stanza.
Dirà a Gianni: “non mi fa paura morire. Ma continuare a vivere rimbecillito è cosa che non posso accettare”; e, affranto, ai figli: “m’hanno tolto pure l’ultima consolazione che mi rimaneva”.
Forse, di infinito, c’è soltanto la cattiveria umana.
In un’intervista rilasciata poco più di un anno dopo, liquiderà l’episodio in poche frasi:
“L’aggressione avvenne un anno fa mentre in bici venivo in studio. Ora non mi muovo più da qui e dormo in laboratorio. Confesso che ho paura”
Ed al giornalista che gli chiede chi lo minacci risponde:
“Diciamo….che non lo so. Ma lasciamo perdere19…“
Non bastavano decreti e attentati. Poco più di un mese dopo, ed una settimana prima della decadenza del decreto, alle 11 del mattino del 20 maggio squilla il campanello di via Marianini. Dietro il cancello alcuni uomini, che Angela crede pazienti. Sono invece carabinieri del comando Nas di Parma: i M.lli Salvatore Borrometi, Saverio Vitto e Paolo Belgi20. Luigi sta visitando. E’ avvertito da Angela dell’arrivo dei carabinieri. La incarica di dire loro che abbiano un po’ di pazienza: appena finirà la visita in corso li riceverà. Nel frattempo i militari si trattengono nella saletta d’attesa, nella quale diversi pazienti sono seduti su due divani ed alcune sedie. Quel giorno sono in maggioranza ammalati già visti in precedenza che vengono per i controlli periodici. I militari rivolgono loro alcune domande, compresa quella relativa agli onorari che vengono richiesti. Le risposte, date con tono di voce risentito e sguardo indignato, sono concordi: onorario? Mai pagato un centesimo.
Non solo, aggiunge qualcuno: quando hanno tentato di disobbligarsi il professore con la mano ha fatto un gesto cortese ma perentorio, e detto loro di pensare unicamente a curarsi.
Quando sono introdotti nello studio, a Luigi viene chiesto di illustrare in cosa consista la sua terapia e come svolga la sua professione. Lo fa, specificando che sulle prescrizioni è solito scrivere, sotto l’indicazione della melatonina: “circolare ministeriale ne proibisce l’uso”. Come dire: io come medico e studioso non posso accettare le imposizioni di burocrati ignoranti e corrotti, e quindi prescrivo e continuerò a prescrivere quanto ritengo utile al paziente; ma lo avverto che per legge è stato proibito sapere, curare e curarsi.
Precisa poi che non ha nulla a che fare con la ditta Biom e che non si è mai sognato di prescrivere o consigliare il loro Syncro. La relazione si conclude riportando l’ultima orgogliosa dichiarazione dello scienziato:
“Non ho mai fatto nessuna comunicazione al Ministero della Sanità o ad altri organi competenti circa la mia attività professionale o scientifica in quanto, a fronte dei miei titoli accademici e del mio curriculum di docente universitario, ritengo di non espletare alcuna attività a me non consentita”
La vicenda del Syncro è stata indubbiamente poco chiara. Difficile non sospettare un intento lucrativo avvalendosi dell’ingegno d’altri. Lo scienziato ha studiato e lavorato una vita per mettere a punto una formulazione della melatonina che renda biodisponibile la sostanza. Ebbene, ben sapendo quanto sia lontano dalla mentalità affaristica, si corre da lui, gli si chiede come realizzare la melatonina coniugata e poi, con una bella stretta di mano e tanti calorosi ringraziamenti ci si prepara al lancio del prodotto.
Luigi non avrebbe accettato nulla, ma, come gli è capitato di dire in tante altre occasioni, “si vede che la scritta di fesso ce l’ho incisa sulla fronte”: avrebbe gradito, almeno, che non si fosse considerato utilmente… scontato il suo rifiuto. Così, senza alcuna responsabilità dello scienziato, si è offerta una ghiotta occasione di malevolenza a chi “l’altrui cor col suo misura”.
I militari chiedono quindi di poter controllare il locale nel quale sono alloggiati i ratti utilizzati per l’attività sperimentale: evidentemente è stato loro raccomandato di “fare le pulci”, come si suol dire. Ma trovano i 25 ratti Wistar custoditi in gabbie largamente dimensionate, ben nutriti ed idratati, puliti, alloggiati in un vano munito di aspiratore e dotato di luci accese per diverse ore al giorno.
Luigi, assai più impensierito per i pazienti che attendono, dice ai militari di girare liberamente ed a loro piacimento per tutto l’edificio. Questi, dopo aver parlato con i pazienti e lo scienziato sono visibilmente imbarazzati. Di più: non riescono a nascondere la loro contrarietà e quasi la ribellione verso lo sgraditissimo compito loro assegnato. In poche parole: sanno chi ha diramato l’ordine (verrà a saperlo anche Luigi), e con rapide e reciproche occhiate d’intesa tra di loro e scuotimenti del capo, sembrano paragonare il sudiciume morale dei mandanti con il carisma e la limpidezza di uno scienziato, di un medico e di un uomo che mai era capitato loro di conoscere.
Quando l’ultimo dei pazienti verso le 14 se ne va bofonchiando contro gli incolpevoli carabinieri, viene redatto il verbale, e correttamente ne viene rilasciata copia firmata a Luigi. Da quel giorno, oltre che per altri motivi, nasceranno un rispetto ed una stima assoluta dei militari dell’Arma nei confronti del Prof. Luigi Di Bella: rispetto e stima perfettamente ricambiati da lui, che li definirà “forse l’ultima cosa pulita rimasta nel nostro Paese”.
Per quanto riguarda il famigerato decreto, questa volta i suoi ispiratori hanno fatto i conti senza l’oste. Reagiscono sia ricercatori che – con una valenza percepita ancor più minacciosa – i numerosi pazienti in cura, i quali contattano i loro legali e si preparano a denunciare il ministero per omicidio colposo plurimo se il provvedimento non sarà ritirato. Sabato 15 giugno viene organizzato un convegno a Monza. Quando il fisiologo prende la parola, i suoi toni sono sferzanti, non solo e non tanto nei confronti del decreto, quanto nei riguardi di chi blatera di melatonina ripetendo banalità giornalistiche ed ignorando il formidabile potenziale terapeutico della sostanza:
“…mi dispiace dover dire che l’essenza dell’azione fisiologica della melatonina sia molto poco capita, soprattutto da parte di coloro che credono di averla intuita nella pienezza delle sue azioni”.
Passa poi a sottolineare come il ruolo della sostanza sia indissolubilmente legato alla fisiologia delle piastrine ed al cd. “legame d’idrogeno”. La conclusione non risparmia i pretesi successi dell’oncologia, tali soltanto nei funambolismi della statistica, che egli definisce “la fossa degli imbroglioni”.
Il giorno dopo diversi quotidiani nazionali riportano la notizia del convegno, con titoli piuttosto secchi: “Vietare la melatonina è reato – Insorgono i ricercatori che studiano le proprietà terapeutiche della sostanza”21. L’articolo parla del Prof. Luigi Di Bella quale “vero pioniere di questa strategia terapeutica”, e delle associazioni dei pazienti da lui curati. Lissoni non ha certo mano leggera quando dichiara:
“Questo decreto umilia gli scienziati italiani, che sono stati i primi al mondo a intuire e comprovare le possibilità terapeutiche della melatonina, introducendo due princìpi gravissimi: primo, che è meritevole indagare solo ciò che il mercato (cioè le case farmaceutiche) ritiene valido; secondo, accentrando la ricerca nelle mani del ministero della sanità, trasformato in una sorta di KGB della scienza”
Non sembra casuale che, dopo un pronunciamento negativo della commissione affari costituzionali del senato sulla sussistenza dei requisiti di necessità ed urgenza del decreto, questo ne venga ritenuto assente e quindi decada appena quattro giorni dopo la riunione di Monza, il 19 giugno 1996.
Ma la posta in gioco è troppo elevata, e alla chetichella arriva un provvedimento che di fatto impedisce alla maggior parte dei malati di curarsi con il Metodo Di Bella:
- Il costo della somatostatina lievita ad un prezzo iperbolico, 516.000 lire (cinquecentosedicimila lire) per la dose giornaliera di 3 milligrammi (circa 266 euro, conteggiando la conversione lire 1936,27 x 1euro)! Un colpo di mano immorale e stupido: aggettivi che il più delle volte sono sinonimi l’uno dell’altro.
Compare su alcuni quotidiani una dichiarazione di Federfarma:
- La sostanza somatostatina ha un costo industriale finito di appena 3.500 lire (euro 1,8) per 3 milligrammi, la dose massima giornaliera. Tant’é che tempo dopo qualche farmacia galenica dotata di laboratorio attrezzato ritirerà il prodotto grezzo e lo infialerà, commercializzandolo a 11.000 lire.
Un prezzo di 47 volte inferiore, a parità di efficacia, denuncia l’esistenza del dolo: se un farmacista, per quanto bene attrezzato, ritira la stessa sostanza-base dalla stessa azienda chimica produttrice (Bachem) ed é in grado di lavorarla, infialarla e venderla a undicimila lire comprensive quindi del costo del lavoro, dell’utile e di ratei fiscali, é evidente che, senza alcun riguardo per la vita, qualcuno vuole impedire a qualsiasi costo la praticabilità della terapia.
Non dovrebbe intervenire qualche Procura della Repubblica ad accertare eventuali fattispecie di reato e individuare i colpevoli? Non é forse vero e documentabile un rapporto causa-effetto, dato che malati i quali avevano fatto registrare miglioramenti sintomatici e obiettivi, una volta non più in grado di sostenere il costo della somatostatina sono peggiorati e morti?
Alcuni giornali denunciano l’incredibile e doloso lievitare del prezzo, informando anche delle 3.500 lire del costo industriale finito; altri, viceversa, usano, paradossalmente, toni indignati nei confronti del suo ideatore, quasi fosse responsabile del costo esagerato della terapia (comunque ben inferiore, perfino a questi livelli di prezzo, a molti protocolli chemioterapici assommati a trattamenti connessi ed ai costi di degenza); pochissimi riporteranno la notizia dei farmacisti preparatori che offriranno il prodotto a prezzi quasi cinquanta volte inferiori.
Nessun procedimento viene avviato d’ufficio da alcuna Procura.
I primi di luglio la neonata associazione di Roma organizza un seminario di due giorni a Modena. E’ un’iniziativa di per sé lodevole, che comunque si rivelerà utile esclusivamente per avere creato l’occasione di tramandare ai posteri i concetti fondamentali del Metodo.
Ci sono Minuscoli e Pippo, che hanno già una mentalità ben indirizzata ed un’esperienza ultraventennale, ma altri medici non hanno la preparazione indispensabile per recepire le linee fondamentali della concezione terapeutica del Metodo Di Bella, e rimangono con la bocca aperta ad annaspare tra tutta una serie di nozioni base indispensabili per seguire il discorso.
Luigi come al solito non si risparmia, e parla sempre in piedi come sua inveterata abitudine, mentre Adolfo riprende con la telecamera l’intero seminario, che oggi rimane testimonianza di un sapere scientifico troppo complesso, elevato, profondo per la preparazione media dei medici contemporanei.
Un medico di Roma, che di lì a poco occuperà la cattedra di ginecologia in un rinomato ospedale della capitale, è venuta più che altro per curiosità, ma nasconde a stento un’aria di scetticismo. Dopo il primo giorno si fa seria e silenziosa. Alla fine del seminario chiede allo scienziato se può parlargli qualche minuto, e lo segue in laboratorio. Ha i lucciconi agli occhi, e con lodevole onestà mormora:
“Professore, sono con il morale a terra: mi sono accorta di non sapere niente. Mi aiuti per favore, mi dica da dove devo cominciare a studiare”
Luigi la invita a seguirlo per le scale, apre la porta della mansarda e le mostra l’imponente schieramento di volumi della “Berichte uber die Gesamte Physiologie und experimentelle Pharmakologie”, dicendole
“Ecco signora, cominci da qui. Naturalmente deve conoscere il tedesco. Quindi l’impari. Io non posso prestarle i volumi perché ci tengo molto e ogni tanto ne consulto qualcuno, ma lei in una biblioteca universitaria di Roma trova sicuramente l’opera. Quando ha finito venga da me, e le dico come continuare”
La notorietà del Prof. Luigi Di Bella continua ad aumentare, non tanto perché gli vengono fatte altre interviste, quanto perché pazienti di ogni parte d’Italia scrivono ai giornali e testimoniano l’efficacia della cura. Proprio in questo periodo alcuni esponenti dell’associazione di Trento vanno ad incontrare il nuovo ministro della sanità, on. Rosy Bindi, in visita in una località della regione. Li accompagna un medico di Verona, il Dr. Achille Norsa, un tempo studente di Luigi. Norsa ha sotto il braccio un fascio di cartelle cliniche di pazienti da lui curati con il Metodo Di Bella, con esiti soddisfacenti o definitivi. Il contatto è stato favorito da A. R., il papà di Eugenio (il giovane guarito tanti anni prima dallo scienziato), che ha rivestito incarichi politici locali nello stesso schieramento al quale appartiene il ministro della sanità. Questa segue con apparente interesse la relazione che le fanno gli esponenti dell’associazione, promette il suo interessamento e chiede loro di ricontattarla in settembre, facendole avere le cartelle. La disponibilità sembra a prima vista genuina, visto che l’on. Bindi fornisce un numero telefonico riservato sul quale chiamarla, aggiungendo: “chiamatemi su questo numero, perché sono circondata da squali”.
Alla scadenza fissata, l’atteggiamento muta repentinamente, con un rifiuto di ricevere i rappresentanti dell’associazione e di continuare il discorso. Questi interpretano il brusco capovolgimento di fronte quale conseguenza della presa di contatto con componenti di commissioni ministeriali.
Il 14 novembre viene presentata alla Camera dei Deputati la prima “Interrogazione a risposta scritta”, da parte di parlamentari aderenti alla sinistra: On. Sandro Schmid, Luigi Olivieri, Giuseppe Detomas, Marco Boato. Il testo è piuttosto esplicito e giunge quale fulmine a ciel sereno, implicitamente delegittimando tronfi quanto fasulli dati statistici ufficiali. Alza infatti la cortina che occultava comportamenti omertosi e dice quella cosa ovvia e palese che è severamente proibito dire: che le case farmaceutiche hanno di fatto egemonizzato la medicina in tutti i suoi campi e tutte le sue estrinsecazioni. Può essere istruttivo riportarne alcuni stralci:
“…una guarigione chimica del tumore è considerata ancora al di là da venire. Le statistiche ufficiali riconoscono che la chemioterapia rappresenta una cura definitiva solo per il 4% dei casi22. E’ noto che le terapie ospedaliere a cui vengono sottoposti tutti i pazienti sono quelle chemioterapiche, i cui devastanti
effetti sono spesso un inutile calvario per i malati…
Fra le ricerche effettuate in questi ultimi trent’anni vi sono infatti anche quelle condotte dal Prof. Luigi Di Bella, scienziato e medico di straordinaria capacità ed esperienza clinica.
Visto che nel corso degli ultimi vent’anni il Prof. Di Bella ha potenziato il suo impegno di ricerca destando l’ammirato interesse del mondo scientifico straniero e conducendo illustri luminari a dichiarare che le sue ricerche, per le elevatissime e innovative implicazioni terapeutiche avrebbero meritato i riconoscimenti più prestigiosi proprio dal suo stesso Paese.
[…] Consapevoli che nonostante tutto ciò rimangono pesanti resistenze da parte di forti centri di potere economico, che si camuffano dietro l’affermazione di
voler salvaguardare la salute del cittadino, mantenendo quanto già esiste anche se inefficace e addirittura doloroso.
[…] Che cosa si intenda fare per sottoporre ad esame approfondito, onesto, urgente, l’insieme delle tesi scientifiche a cui è pervenuto il Prof. Luigi Di Bella, per dare speranza e serenità a molte famiglie di italiani, che hanno un ammalato così grave nelle loro case”
Ne seguiranno molte altre, presentate da parlamentari degli opposti schieramenti. Sarebbe stato considerato cosa ovvia, in ogni parte del mondo ed in ogni tempo, subordinare fazioni e ideologie alla vita ed alla sofferenza dei cittadini. Ma in Italia, e nel nostro disgraziato tempo, questo anelito di umanità e responsabilità sarà ben presto imbrigliato e soffocato. E non per questioni di principio o di colore politico, ma solo ed unicamente per ragioni di colla: quella che si cerca di frapporre senza risparmio, ed a qualsiasi costo, tra i propri glutei ed i sedili delle poltrone.
1 L. Di Bella: Melatonin and platelets/endothelium relationships – Abst. Melatonin and the Pineal Gland, from basic Science to clinical application, Sat. Symposium of the IXth International Congress of Endocrinology, Paris, France, Setember 6-9, 1992.
2 L. Di Bella: Stabilization of platelet membrane by Melatonin. – Riunione Congiunta SIBS/SIF/SINU, Roma, 23-26 Settembre 1992.
3 L. Di Bella: Crescita e fattori di crescita – Estratti/Congresso Nazionale di Citologia, Bologna, 4/5 marzo 1993.
4 L. Di Bella, G.C. Minuscoli & L. Gualano: Influence of Neuropeptide Y on bone marrow megacariocytes blood platelet count and blood glucose level – Abstr. XXXII Congress of the International Union of Physiological Sciences, Glasgow, Aug 1st-6th, 1993.
6 Attualmente direttrice dell’Istituto di studi musicali O. Vecchi – Tonelli di Modena.
7 L. Di Bella, G.C. Minuscoli & L. Gualano: D/L water intake by tumorous rats; Effect of melatonin on circadian water intake by normal and tumor-bearing rats – Abstr. Riunione Congiunta SIBS-SIF-SINU, Ischia, 25-28 settembre 1994.
8 Il jet lag è un disturbo che si verifica quando si attraversano vari fusi orari, come avviene nei lunghi viaggi aerei, portando ad alterazioni dei ritmi sonno-veglia e provocando di conseguenza sonnolenza, stanchezza, senso di confusione mentale.
9 Mauro Todisco Non morirai di questo male – Luigi Di Bella. La storia del medico che ha aperto una nuova via nella lotta al cancro – Edizioni Sestante, Ripatransone (AP), febbraio 1995.
10 L. Di Bella, L. Gualano and G.C. Minuscoli: Platelet production by megacariocytes following intra or extra cytoplasmatic injection of mediators – The University of Chicago Press, July/August 1995-Volume 68, Number 4-Proceedings of the 4th International Congress of Comparative Physiology and Biochemistry, Birmingham, U.K., August 6th-11th 1995.
11 Walter Pierpaoli e William Regelson: La fonte della giovinezza, Rizzoli editore.
12 P. Lissoni e al.: Effects of melatonin on PRL secretion during different photoperiods of the day in prepubertal and pubertal healthy subjects – J. Endocrinol. Invest. 8: 337, 1985.
13 Da Il Resto del Carlino, dicembre 1995, Beppe Boni: Lo scopritore: “La uso dal ’73 per curare i tumori”.
14 In realtà il nome del farmaco – specialità a base di octreotide, analogo della somatostatina – è Longastatina.
15 Nostra sottolineatura.
16 C.S.
17 C.S.
18 Il F.D.A. è l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici. Esso dipende dal Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti, e decide di fatto l’immissione sul mercato di farmaci, alimenti, integratori alimentari, additivi alimentari, emoderivati.
19 Il Resto del Carlino, Modena, 26/7/97 – Intervista di Beppe Boni.
20 Relazione Comando Carabinieri Antisofisticazione e Sanità – N.A.S. di Parma, protocollo nr. 6/59: annotazione circa l’attività d’indagine svolta in merito alle richieste nr 21053/238-5 “P”, datata 22.02.96, del Comando A.S. di Roma e nr. 27786/2-1 “P” del 07.05.96, del Gruppo A.S. di Roma, inerenti la professione medica espletata dal Prof. DI BELLA Luigi.
21 “Il Giorno”, domenica 16.6.1996.
22 In realtà i dati effettivi sono di gran lunga più avvilenti: in una pubblicazione (riportata in basso e liberamente scaricabile) del dicembre 2004 su una delle più prestigiose riviste scientifiche del mondo, Clinical Oncology – riferimenti: 2004Dec.16(8):549/60 – uno studio di Morgan G. e aa., The contribution of cytotoxic chemotherapy to 5- year survival in adult malignancies condotto per 14 anni su 225.000 pazienti oncologici (22 varietà tumorali), ha dimostrato che la chemioterapia collabora al raggiungimento dei cinque anni di sopravvivenza mediamente solo nel 2,3% dei casi. Metà di questo sparuto drappello muore di tumore dopo i cinque anni (Lopez, GacMed Mex, 1998 mar. Apr,134(2):145-5.
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