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Capitolo VIII – Gli anni del leone
“Non farà mai nulla di grande nel mondo, chi non sappia sfidare l’odio, o disprezzare lo scherno” (Graf, Ecce homo)
E’ un’occasione unica e, visto che l’uditorio sarà costituito da medici, occorre illustrare passo per passo l’itinerario del percorso logico, la successione delle prove sperimentali, la pur modesta casistica raccolta. Luigi abbozza il testo della comunicazione e predispone diversi caricatori di diapositive scattate a microscopio. La data viene fissata per il pomeriggio del 6 dicembre 1973.
Pippo ha parlato dell’avvenimento programmato ad Antonio De Carlo, l’ex collega di liceo del padre, che lavora come giornalista per un quotidiano nazionale e per un diffuso settimanale (se ne è fatto cenno nel Capitolo V).
Antonio si reca subito dall’amico, che però recalcitra di fronte alla prospettiva di un’intervista e, pur cortesemente, si defila. Ma Antonio, se provvisoriamente deve limitarsi a prendere nota delle sue risposte alle domande sulle ricerche e dei loro risvolti terapeutici, torna alla carica, facendogli presente che non potrà evitare di spiegare al grande pubblico di che cosa si tratta: in caso contrario potrebbero circolare notizie inesatte o fuorvianti; inoltre – continua – la notizia della conferenza riguarda un argomento troppo importante perché la si faccia scivolar via come uno dei soliti pezzi scipiti della cronaca locale e ad andarci di mezzo non sarebbe solo la scoperta, ma la vita di tanti ammalati.
Antonio ha ragione. Luigi si rende conto che è arrivato il momento di attraversare il Rubicone. Rilascia un’intervista a De Carlo, che la pubblica sul settimanale Amica ed il 3 dicembre risponde alle domande di un giornalista della Gazzetta del Popolo, Alberto Fasano, pur raccomandando di non fare il suo nome. Il giorno seguente appare sul quotidiano l’articolo col titolo “C’è una tecnica d’avanguardia per sconfiggere la leucemia”, mentre il sottotitolo recita “Con la stimolazione di piccole strutture encefaliche si aumenta la produzione di serotonina e di riflesso il tasso delle piastrine del sangue. Sette persone guarite”.
Come abbiamo visto prima si tratta di melatonina e non di serotonina, ma il prendere fischi per fiaschi non sembra insolito negli ambienti giornalistici, specie quando si affrontano argomenti scientifici. Lo stesso dicasi per la perentorietà dell’affermazione relativa alla sconfitta della leucemia, dato che lo scienziato si è limitato a parlare di successi terapeutici, avvertendo che sarebbero occorsi tempo ed una più vasta casistica prima di saltare alle conclusioni. Ma si sa, il titolo fa tutto, e bisogna “caricarlo”. Basterebbe leggere le ultime righe dell’intervista per rendersi conto della distanza tra quanto dichiarato da Luigi ed il trionfalismo del titolo:
“Forse qualcosa di diverso si muove. Che cosa chiedo? Collaborazione dei colleghi ed un orientamento più decisamente fisiologico nell’ambito delle malattie del sangue“.1
Nel pomeriggio del 6 dicembre a Bologna c’è un gran freddo ed i passanti filano via rincantucciati nei loro pastrani. Nella sala dell’Archiginnasio ci sono tanti medici, alcuni curiosi, altri timorosi. Adolfo ha con sé un registratore a cassette con il quale registrerà la conferenza del padre, mentre Pippo, che tanta parte ha avuto nell’organizzazione dell’incontro, è seduto in prima fila. Domenico Campanacci presenta il collega, ricorda la loro conoscenza risalente a trentasei anni prima, sottolinea la comune provenienza dalla grande scuola bolognese.
Quando prende la parola, Luigi tradisce appena l’emozione. Inizia a spiegare l’occasione di vita che lo ha spinto a intensificare le ricerche, le osservazioni che lo hanno indirizzato e guidato, tutto il complesso excursus sperimentale. E’ di una precisione assoluta nel descrivere la tecnica sperimentale seguita, le modalità di attuazione, i risultati man mano emersi. Parla velocemente, senza esitare un istante, sempre più incalzante ed appassionato, ma con i toni dell’umiltà che gli sono familiari e come se tutti i presenti avessero la sua profonda preparazione. Le diapositive si succedono, e lui le illustra, le commenta, dettaglia ogni particolare. Riascoltare questa esposizione è letteralmente impressionante. Chi avesse studiato e compreso la sua opera potrebbe riconoscere la rotta del lavoro che lo impegnerà negli anni successivi nei numerosi accenni a ricerche da compiersi, a verifiche da completare, a prospettive – soprattutto – che sembrano dischiudersi, quasi reazioni a catena. E’ chiaro come una concezione complessiva gli sia già delineata nella mente. E’ estremamente prudente nell’esprimersi, ma uno studioso non può non convenire che quanto da lui definito ipotesi o eventualità è già certezza, bisognosa unicamente dell’ultima, estrema prova sperimentale. Quando riferisce sui primi casi trattati, la sua circospezione non basta a smorzare la clamorosa verità che emerge: le malattie ematologiche possono finalmente essere curate con efficacia quando non guarite, e senza alcun effetto collaterale. Per un giudizio obiettivo sulla portata ed i limiti della sua comunicazione, può risultare utile riportare le frasi conclusive:
“Io ho l’onore di partecipare questi risultati non perché abbia la pretesa di andare a scoprire un nuovo farmaco, ma solo per poter scambiare con loro un parere, un’opinione; è una compenetrazione di vedute, unico modo per ottenere qualche cosa di più nel campo scientifico […] la melatonina per conto mio dovrebbe essere il più squisito antiblastico, il più normale antileucemico che si possa avere. E dato che ce l’abbiamo noi, c’è proprio bisogno di andare a finire nella natura o nella sintesi per rovinarci? Non posso dilungarmi oltre. Il risultato per conto mio è questo. Sarebbe opportuno che noi medici ponessimo l’attenzione sopra una sostanza che non è stata finora tenuta in opportuna considerazione altro che come una ‘curiosità fisiologica’ e che possiamo impiegare nell’ambito di questo campo. Non posso parlare oltre, dilungarmi sui rapporti che ci sono con l’α-Msh, sulle ragioni per cui agisce sulle piastrine, ma per me ci sono tutte quante le ragioni fisiologiche per l’impiego”.2
Non meno eloquente il commento ammirato di Domenico Campanacci:
“Ringrazio il collega Di Bella per questa dotta ed appassionata esposizione. In tutte le attività umane la molla perché si ottengano dei successi è sempre l’entusiasmo che si pone nello svolgere una determinata attività; e questa è una cosa veramente ammirevole, specie in coloro che non sono più giovanissimi e che mantengono questo sacro fuoco che è sempre utile a tutti noi. C’è una tale serie, una tale messe di lavoro sperimentale che a nostra volta, noi medici, che siamo fuori dal più intrinseco lavorio sperimentale, rimaniamo quasi sbigottiti. Però io, da medico pratico, vorrei fare qualche osservazione. La Vincristina è tossica; ognuno di noi che ne fa uso sa che ad un certo momento bisogna interromperla. Se si potesse, a parità di azione, sostituirla con qualche cosa che tossico non appare affatto che sia …! Perché noi, quando usiamo la Vincristina, possiamo sì veder diminuire il numero delle forme immature, modificarsi certi parametri, ma ad un certo momento dobbiamo smettere, perché il malato sta male, veramente si crea una malattia che può assomigliare a quella che è la malattia da raggi; qui invece succede il contrario, c’è un’euforia, che è il primo segno, e di questo bisogna tener conto, perché io ritengo che la medicina ben fatta debba tener conto del malato. Io voglio sempre che quando pratichiamo una terapia, scorra anche una parallela eutrofia o quantomeno un senso di benessere, di miglioria da parte del soggetto, se no la terapia, con tutte le nostre elucubrazioni, non regge […]. Ecco quindi che ci sono molte condizioni, non solo sperimentali, ma anche cliniche, pratiche, che danno una conferma anche a noi medici generici che vediamo i malati, della validità di certe osservazioni. Io mi sono permesso di dire qualche cosa perché il gioco vale la candela e quando un collega si muove da Modena e viene da noi per farci queste comunicazioni che sono così interessanti, la peggiore mancanza di riguardo che si potrebbe avere sarebbe quella di vedere che il suo zelo ed il suo entusiasmo non trovano eco negli ascoltatori”.
Sette sono i punti salienti di questo commento (abbiamo omesso alcune considerazioni, pur di pieno appoggio alle tesi dello scienziato, in quanto squisitamente tecniche) che, come sempre succede se a parlare è un uomo di autentico valore, colgono quello che c’è da cogliere e lo esprimono in poche parole:
- L’implicita adesione ad una visione etica della scienza (“…questo sacro fuoco…”);
- L’alta considerazione per il rigore delle ricerche e la consapevolezza del loro significato (“ […] C’è una tale …messe di lavoro sperimentale che a nostra volta, noi medici, che siamo fuori dal più intrinseco lavorio sperimentale, rimaniamo sbigottiti…”);
- La denuncia dell’illusoria efficacia della chemioterapia e la riprovazione di una sua caparbia applicazione (“…la Vincristina, possiamo sì veder diminuire il numero delle forme immature, modificarsi certi parametri, ma ad un certo momento dobbiamo smettere…”);
- la rivendicazione dello scopo della medicina e la presa di distanza dagli azzeccagarbugli in camice bianco (“…perché io ritengo che la medicina ben fatta debba tener conto del malato. Io voglio sempre che quando pratichiamo una terapia, scorra anche una parallela eutrofia… se no la terapia, con tutte le nostre elucubrazioni, non regge.”);
- L’intuizione dell’importanza pragmatica della scoperta (“…la Vincristina …se si potesse, a parità di azione, sostituirla con qualche cosa che tossico non appare affatto che sia.”);
- Un chiaro giudizio di natura etica e scientifica su liceità ed opportunità della nuova terapia (“Ecco quindi che ci sono molte condizioni, non solo sperimentali, ma anche cliniche, pratiche, che danno una conferma anche a noi medici generici, che vediamo i malati, della validità di certe osservazioni.”);
- La previsione dell’ostilità da parte di una classe medica prevenuta, incolta ed arroccata sulle proprie idee ed i propri interessi (“…la peggiore mancanza di riguardo che si potrebbe avere sarebbe quella di vedere che il suo zelo ed il suo entusiasmo non trovano eco negli ascoltatori.”).
Questo il giudizio chiaro e documentato del più autorevole clinico italiano del tempo. Luigi aveva previsto l’entusiasmo ed il coinvolgimento di Campanacci, così come la reazione negativa del mondo medico ed accademico, senza spingersi ad immaginare che questa avrebbe raggiunto connotazioni di ferocia.
Ma mostra il suo interesse anche uno dei “mostri sacri” della farmacologia italiana, il Prof. Emilio Trabucchi, che da Milano, appresa la notizia della conferenza di Bologna dalla stampa, gli scrive il 30 dicembre:
“ […] Possibile che il mio vecchio amico Di Bella mi tenga all’oscuro di una sua scoperta, destinata a far progredire le nostre conoscenze in un settore di così eccezionale importanza sotto un aspetto scientifico e di sensibilità umana? Io ho sempre avuto molta considerazione della Tua cultura e dell’acutezza originale del Tuo pensiero: così che non mi meraviglierebbe se tu avessi trovato una strada nuova nel dedalo delle nostre conoscenze in campo di leucemia. Se avessi qualche pubblicazione, mandamela. Se volessi lavorare con dei topi leucemici, altamente selezionati, noi ne abbiamo alcune migliaia e saremmo lietissimi di darti ospitalità”.
Luigi gli risponde subito, dicendogli che ritiene di avere fatto un passo decisivo nella terapia delle emopatie e dicendosi disponibile a parlare in una riunione da organizzarsi a Milano. Il 13 gennaio ’74 il farmacologo gli scrive:
“ […] la lettera, di cui Ti sono gratissimo – ha stimolato anche maggiormente la mia curiosità di conoscere il Tuo pensiero in tema di trattamento di linfomi. Avrai visto più volte sul Corriere annunciate conferenze anche di molto rilievo scientifico organizzate nel nostro Istituto. Il Sirtori mi aveva chiesto insistendo che unissimo le nostre iniziative con quelle della Fondazione Erba …penso che ad ascoltare Te verrebbero in molti, perché ormai la Tua fama si è fortemente allargata. Puoi essere ben certo, se accetti di venire da noi, che metteremo a disposizione tutte le nostre attrezzature, che sono piuttosto notevoli …con mio nipote – latore della presente – potresti combinar bene tutti i particolari …noi Ti accoglieremo sempre a braccia aperte […]”.
Il nipote di Trabucchi (Prof. Clementi) rimane molto impressionato dal colloquio con Luigi, e lo zio, al quale lo scienziato ha scritto di ritenersi “molto onorato di parlare davanti a te ed alla tua scuola”, fissa la conferenza per venerdì 1 marzo alle 17,30, aggiungendo:
“ […] sono molto curioso di vedere quali saranno le reazioni della così detta ‘scienza ufficiale’! Ma, tra i miei allievi, ve ne sono alcuni molto seri e ben preparati, con i quali penso davvero che la discussione possa riuscire utile. Un saluto cordialissimo e un grazie anticipato, sempre con la più fervida simpatia ed amicizia”.
La conferenza avrà luogo nella data stabilita, con manifestazioni di interesse e di stima. Ma al termine, spente le luci della sala, si spegneranno anche quelle delle profferte: l’ambiente della “scienza ufficiale”, ammesso che di scienza si possa parlare, non rimarrà infatti con le mani in mano, e perfino il più acclamato e potente farmacologo italiano, come avverrà per Campanacci e Storti, non potrà tenere fede alle promesse di collaborazione e le “braccia aperte” si chiuderanno. Men che meno lo faranno gli allievi del Prof. Trabucchi, qualcuno dei quali ha già capito come si sta al mondo…
A Modena l’ambiente dei “Puri” rimane inizialmente frastornato (ricordiamo che P.U.R.I. è un acronimo pensato dal Prof. L. Di Bella: Professori Universitari di Ruolo Italiani). I nomi di Storti e Campanacci – cavolo! – creano problemi e mettono a disagio. La prima voce che viene fuori, costipata, chioccia di bile e mal represso scoramento, ma anche un po’ intimorita, è di un facciabronzismo che ha quasi dell’incredibile: “ma perché non ha chiesto a noi? C’era bisogno che andasse a Bologna? Gli avremmo organizzato subito la conferenza!”. In poche parole, chi esce dal ventre materno non nudo, ma con una livrea per pelle, la conserva sotto abiti fatti su misura e stole di ermellino ed è sempre pronto a scodinzolare, pur con un pizzico di sussiego, intorno ad un nuovo possibile potente: con prudenza però, fino a quando il supposto “potente” non si rivelerà davvero tale. Se il fisiologo, odiato perché temuto e perché indisponibile all’inchino, è il nuovo astro, ebbene, bisognerà rassegnarsi a portargli oro, incenso e mirra.
Basterebbe ricordare lo sbarco di Napoleone fuggito dall’isola d’Elba e la successione nei titoli dei giornali, per comprendere questo transitorio atteggiamento accademico (oltre che il connaturato prostituzionismo di certo giornalismo).
Scriveva infatti il giornale francese Le Moniteur nel giro di pochi giorni:
“L’antropofago è uscito dalla sua caverna – L’orco corso è appena sbarcato nel golfo di Juan – La tigre è arrivata a Gap – Il mostro ha dormito a Grenoble – Il tiranno è passato per Lyon – L’usurpatore è stato visto a sessanta leghe dalla capitale – Bonaparte avanza a grandi passi ma non entrerà mai a Parigi – L’Imperatore è giunto a Fontainbleu – Sua Maestà Imperiale ha fatto ieri ingresso al castello delle Tuilieries fra i suoi sudditi fedeli. Evviva L’Imperatore!”.
Con la sorpresa, l’imbarazzo aumenta di giorno in giorno all’uscita dei quotidiani nazionali che riportano la notizia, seguiti poco dopo da settimanali e dalla stampa estera3. Cosa sta succedendo? Poi qualcuno comincia a tranquillizzare i più tremebondi raccomandando di attendere gli eventi con calma e di non disperare. Possibile che la situazione sia sfuggita di mano e che quel sorcio d’ateneo sia passato dalle chiaviche all’altare? La rabbia arriva poi a schiumare, specie a Modena, quando Antonio De Carlo scrive un articolo splendido e commovente nel quale, dopo alcuni ricordi del suo ex compagno di scuola, punta il dito, senza bisogno di far nomi…, verso quanti per decenni hanno sfruttato, oppresso e perseguitato lo scienziato. Ne citiamo alcuni passi:
“ […] Eri dunque predestinato a diventare qualcuno e tutti noi che spesso della scuola avevamo un concetto un tantino personale, lo comprendemmo immediatamente …ti vedemmo partire per Roma come un commendatore benestante, portato alla stazione da una Fiat alta e solenne come una vetrina, in compagnia di signori ossequienti e rispettosi che ti aprivano lo sportello4. ‘Che cosa ha combinato Gino Di Bella?’ ci chiedevamo […]. Ed ecco il tuo calvario degli anni Cinquanta che, ti assicuro, ho sempre conosciuto e seguito con fraterno affetto. Nella angusta celletta di via Santa Eufemia, che ti avevano assegnato i direttori dell’Istituto di Fisiologia, hai studiato per vent’anni fino a notte inoltrata. Ricordi? Venivo spesso a visitarti. Da una parte, vicino a un bilancino ardeva sempre una fiamma, ma non era quella olimpica, né quella dei templi votivi. Si trattava di un fornellino a gas che, perennemente, riscaldava una romantica caffettiera e, talvolta, una minestra frettolosamente ammannita. E studiavi, studiavi, studiavi, con passione, con crudeltà verso te stesso, con testardaggine, dimentico di tutti e di tutto, delle ore che passavano, delle stagioni che si avvicendavano, degli anni che ti avevano sbiancato anche gli ultimi capelli. […] Eppure, caro professore, solo pochi parlavano con ammirazione di te. Gli altri …i ‘baroni’ più o meno noti nell’almanacco della scienza medica, t’ignoravano. In quegli anni, tornasti ad essere pericoloso. Eri l’uomo che sapeva troppo, l’uomo da combattere. E io t’ammiravo per la tua calma, ti invidiavo per la tua serenità. Una sera il professor Giuseppe Pezzuoli, attuale direttore della clinica chirurgica di Padova, parlando di te, mi disse: ‘Di Bella? No, non è un uomo, è un’enciclopedia vivente’. Ecco perché l’altro giorno quando i giornali parlarono della tua meravigliosa vittoria sulla leucemia, ho pensato, senza un attimo di esitazione, che il tuo giorno era giunto. Dal canto suo, qualche barone si preparava a minimizzare il tuo successo, mentre altri si sbracciavano per additarti come un visionario da diffidare, da zittire immediatamente. Solo ora comprendo come tu, per quasi trent’anni, abbia potuto bere l’amaro calice dei tuoi detrattori: speravi con cieca fiducia nel tuo giorno e questo giorno per te, per i tuoi cari, per i tuoi amici è giunto come uno scampanio festoso. Hai vinto, caro professore: ma questa vittoria, per quei piccoli uomini che non sono, come te, destinati a vivere in eterno, ha avuto il rintocco di un bronzo funebre. Il tuo vecchio amico ti chiede un raggio della tua luce per dire, con orgoglio, di essere stato un tuo compagno di scuola. (Antonio De Carlo)”.
Era un po’ come togliere stoffa e cartapesta da un sontuoso scenario teatrale, mettendo a nudo l’intrico di listelli e tralicci, un po’ brutto ed un po’ ridicolo.
Comunque: il guaio è fatto, e bisogna correre ai ripari. A fronteggiare “l’emergenza” non può essere la baronale Sacra Famiglia Unita, composta non da pupari ma da acefale marionette. Si dovrà scomodare qualcuno più su, molto più su, che sbuffando con malcelato fastidio (pensare a tutto il da fare che ha!) dovrà occuparsene. Basta seguire poche direttive, applicarle e di questa faccenda non se ne sentirà più parlare. Ma chi è questo rompiscatole? Cosa fa all’università? Quali sono i suoi punti attaccabili? I resoconti che giungono non sono molto rassicuranti: è desolantemente integerrimo, riferiscono, ha un cervello che manda lampi e per giunta una preparazione micidiale. In una casa di malandrini, un galantuomo provoca lo stesso sconcerto di un topo da fogna che guizzi tra le gambe di signore-bene sedute a sorbire il tè. Ragione di più per sbrigarsi e andare sul pesante, senza dimenticare però che uccide più il silenzio delle armi. Con un po’ di attenzione di questa faccenda non se ne parlerà proprio più.
Passata la fase più acuta del disorientamento, cominciano i bofonchiamenti e le critiche più o meno sommerse. Di questa melatonina nessuno dei notabili sa nulla: e per chi poco sa e capisce, tutto ciò che non sa, non comprende e soprattutto non conviene, è solo corbelleria o falsificazione. Oggi si dice: “fake”. Inoltre, siccome la parte dello spregiatore fa tanto di autorevolezza e luminarità, i feldmarescialli d’ateneo emulano i mimi più celebrati con larghi gesti compatenti delle mani, raggrinzimenti di spalle, ghignosi e neganti scuotimenti di cervice; salvo poi confondere la melatonina …con la melanina!
Nel frattempo si attende termini l’abbrivio delle notizie di stampa che si prolungano, sempre più rade, per tutto il mese di gennaio. Luigi, nonostante la stampa abbia riportato – strafalcioni a parte – notizie assolutamente veritiere e controllabili sui successi terapeutici ottenuti, ritiene di dover rispondere pubblicamente alle critiche, per quanto incolte e pretestuose. Lo fa rivendicando l’equilibrio e la verità di quanto affermato, prendendo sì le distanze dall’enfasi di certi titoli giornalistici, ma rifiutando l’implicita via di fuga che “generosamente” e silenziosamente gli si offre: quella di rinnegare se stesso e la propria scoperta.
Ecco il testo integrale della sua dichiarazione:
“Di fronte alle critiche rivoltegli il sottoscritto tiene a precisare:
- che la conferenza da lui tenuta il 6 dicembre 1973 avente per titolo Orientamenti fisiologici nella terapia delle emopatie è stata svolta nella sede della Società Medico-Chirurgica di Bologna. Il sottoscritto ringrazia l’illustre Presidente Prof. Campanacci, per averlo onorato della Sua presenza, in una Sede chiara nel tempo per gli Scienziati di fama mondiale che ne sono stati Soci;
- che non ha sollecitato nessuna intervista alla stampa e che, quando vi è stato costretto per molteplici ragioni, ha pregato i giornalisti di non fare il suo nome;
- che alla conferenza predetta, come possono attestarlo tutte le persone che vi assistevano e come conferma la registrazione effettuata, il sottoscritto non ha mai parlato di ‘guarigione’ delle leucemie, ma si è solo soffermato sugli impressionanti miglioramenti subiettivi ed obiettivi che la somministrazione di melatonina induceva nei pazienti;
- ha invece insistito sulla remissione pronta e brillante di trombocitopenie;
- a distanza di settimane, disponendo di ben più larga casistica, non può che confermare ed estendere quanto ha detto nel corso della conferenza;
- ha eseguito a spese sue queste ricerche non perché gli sarebbero stati negati i fondi, ma perché ha ritenuto che le ricerche stesse esulassero da quelle comuni sperimentali generalmente eseguite nei Laboratori di ricerca;
- il sottoscritto, richiesto di un suo parere, ha consigliato e consiglia il ricovero in Ospedali in caso di necessità;
- non ha mai eluso le norme deontologiche;
- non ha riscosso una sola lira per tutto il materiale che ha donato;
- nulla crede dover rinnegare del suo operato e delle sue vedute, che non potranno non affermarsi in un prossimo futuro.
Luigi Di Bella
Dal tenore di questa dichiarazione è facile risalire alla natura delle critiche mossegli. Critiche che evitano prudentemente la dialettica scientifica, ignorano i sette anni di ricerche sperimentali (per tacere degli oltre trenta precedenti) ed i casi risolti brillantemente: i quali, possono essere contestati, solo attraverso un rigoroso, circostanziato e obiettivo esame documentale. La “sinfonia” concordata vorrebbe essere: “non si fa scienza sui giornali, ma sulle riviste scientifiche”. Concetto di per sé giustissimo, ma totalmente fuori luogo in questo caso.
- Anzitutto perché la comunicazione, come abbiamo visto, è avvenuta in quella che è forse la più prestigiosa sede scientifica del Paese, ed alla presenza dell’ultimo mostro sacro della medicina italiana (Prof. Campanacci);
- in secondo luogo perché la stessa conferenza era stata preceduta da 12 pubblicazioni (dicansi dodici!) sulla più importante rivista italiana di biologia5;
- in terzo luogo perché le interviste non solo non erano state in alcun modo cercate, ma, quando concesse dopo insistenza, condizionate al silenzio sul suo nome, e prive di qualsiasi annuncio sensazionale o trionfalistico.
L’onere della dimostrazione dell’efficacia di una nuova proposta terapeutica grava ovviamente su chi la propone, ed esige certezza della diagnosi, precisazione del trattamento terapeutico, documentabilità del risultato.
In questo caso, la diagnosi è certa? Sissignore, perché è stata fatta in pubblici ospedali ed è supportata dalla documentazione clinica esibita, eventualmente riscontrabile ed anche compendiabile alla fonte. Non dimentichiamo poi che i pazienti erano stati ricoverati e sottoposti, seppure con insuccesso, a cure potenzialmente mortali: non possiamo quindi pensare che, per assurdo, si altererebbe la diagnosi per ricoverare un malato e mettere in pericolo la sua vita!
La precisazione del trattamento terapeutico? C’è, e in alcuni casi è ulteriormente confermata dalla cartella clinica.
La prova dei risultati? Riposa egualmente su documentazione ospedaliera, oltre che sulla piena disponibilità dei pazienti a controlli clinici e ad un esame obiettivo.
A questo punto cessano le incombenze di chi avanza una proposta ed iniziano quelle di chi la contesta. A costoro spetta l’onere di dimostrare o l’erroneità della diagnosi, o la mancata adozione della terapia, o l’assenza di miglioramenti e risultati definitivi. E si deve trattare di dimostrazioni scientifiche – cioè indiscutibili, provate e certe per tutti – e non di ipotesi o dubbi generici. Un medico non può dissentire rifugiandosi dietro i “non ci credo”, “non può essere”, “è un caso aneddotico”, “è una guarigione spontanea”. Perché poi i “casi aneddotici” o le guarigioni spontanee …si verificano solo nei pazienti trattati con una nuova terapia?
Un medico ha il dovere categorico ed ineludibile di dimostrare scientificamente qual é l’errore, o l’impostura! Fare spallucce e rifiutarsi di sapere e controllare non denuncia soltanto l’assoluta assenza di curiosità e mentalità scientifica, motore propulsore della vita di un medico o di un ricercatore: se la vicenda riguarda malattie per le quali soffrono e muoiono migliaia di esseri umani, questo costituisce un autentico crimine contro l’umanità. Tenuto anche conto – per dissipare qualsivoglia bizantinismo dialettico – che la proposta non proviene da un allampanato avventuriero senza arte né parte, ma da un professore universitario con i titoli di Luigi Di Bella, che ne ha comunicato il razionale in parecchi congressi scientifici.
Non vale nulla il grande interesse alle ricerche manifestato quattro anni prima dal più stimato fisiologo italiano, il Prof. Giuseppe Moruzzi, e nemmeno la incondizionata adesione di un mostro sacro come Campanacci.
Ripetiamo: le diagnosi sono state fatte in cliniche universitarie, e sono sicure e documentate; i risultati altrettanto; i farmaci – provatamente atossici – in alcuni casi sono stati somministrati sotto il controllo e l’osservazione del più autorevole ematologo italiano del tempo e del suo collega di Alessandria. Di fronte a tutto questo, ed ai soli cinquecento leucemici vivi in tutto il mondo dopo cinque anni, una comunità medico-accademica, che traspira indignazione confondendo la melatonina con la melanina, accusa lo scienziato di avere offeso la deontologia professionale: che evidentemente non si ritiene venga lesa dal prostituirsi al potere farmaceutico (a spese di chi soffre), da mercimonio di esami, endemici casi di peculato, letti a baldacchino nelle sedi universitarie, cattedre mercanteggiate, bambini divenuti ciechi e morti poi tra sofferenze atroci a causa della chemioterapia.
Come sempre, i sacerdoti del tempio si stracciano le vesti e gridano al sacrilegio di fronte alla verità: la cosa che oggi più di ieri suscita la maggiore indignazione al mondo.
E’ chiaro ai più che il razionale della neonata metodologia apre la porta alla cura dei tumori. Già qualcuno dei giornalisti ha avanzato questa domanda allo scienziato, a dimostrazione che l’estensione dai tumori liquidi a quelli solidi è scontata. Se proporre di voltar pagina nella cura delle emopatie era già una credenziale negativa pericolosa, toccare un campo come quello dell’oncologia, che investe la prima causa di morte nel mondo moderno, per il quale sono già realtà volumi d’affari da capogiro e, ancor più, fatturati ed utili d’esercizio inediti nella storia dell’economia, equivale – come si suol dire – a volersela proprio tutta. In effetti Luigi sta già trattando i primi casi di linfomi, mielomi e di tumori connettivali e dei tessuti molli.
La controffensiva ad un’offensiva che non era e non voleva esser tale, né offendere alcuno, ma servire unicamente l’umanità ed il progresso della scienza, viene studiata un po’ distrattamente sulle mappe militari. Non è il caso di impiegare truppe specializzate od eccessive risorse. Mentre nelle alte sfere si provvede a “consigliare” prudenza ai direttori di testata (e da questi ai caporedattori), a livello locale viene privilegiato il pragmatismo di un’antica e poco nobile arte: quella della viltà e della ritorsione.
Da tempo immemorabile allo scienziato – titolare dell’incarico di fisiologia generale – viene rinnovato annualmente dal consiglio di facoltà l’incarico di insegnamento per la fisiologia umana. L’amico Remaggi lo avverte che nell’ultima riunione c’erano stati otto voti favorevoli ed otto contrari al reincarico, il che significava perderlo. E’ chiaro che si tratta della prima azione di rappresaglia. Luigi è tanto schifato che rifiuta inizialmente di ricorrere o anche soltanto protestare. Ma paradossalmente interviene Girarrosto – al quale non conviene arrivi un nuovo docente – che gli consiglia di ricorrere. Luigi si rivolge ad un legale, titolare della cattedra di diritto amministrativo all’università, che studia il caso e rapidamente conferma l’assoluta illegalità e la censurabilità del provvedimento. La diffida giunge inaspettata al preside di facoltà: oltre alle contestazioni di ordine giuridico, in questa si avverte che la parte lesa non accetterebbe il reincarico se non per voto unanime. C’è poco da scherzare, perché il Prof. Gianoglio (questo il nome del giurista) è un autentico luminare, per giunta assai poco sensibile a lusinghe o minacce e d’altra parte nessuna corte potrebbe suffragare l’operato dei consiglieri ostili al fisiologo, i quali evidentemente confidavano, conoscendolo, che si sarebbe tanto nauseato da rifiutare di reagire. La successiva riunione si conclude con il reincarico all’unanimità…! Un’epocale figura oscena. Ma lo scorno provoca un vento di rabbia ed un proposito di ritorsione da parte dei lanciatori del “siluro” andato a vuoto. Lasciamo raccontare il seguito a lui stesso.
“…proprio qui a Modena si teneva il congresso italiano di ematologia. E fui convocato dal preside della facoltà di medicina di Modena, che era anche l’ordinario di ematologia… Con quel professore ero in buoni rapporti. Sua figlia, tra l’altro, era una mia allieva iscritta a scienze biologiche. Ma l’incontro fu pesantissimo. Avevo osato parlare in termini ottimistici di una malattia considerata allora inguaribile…”.
Il preside gli contesta che:
“…tutto quello che avevo detto era frutto di un’invenzione. Questa è l’ingiuria peggiore che si possa fare ad un ricercatore. Dovetti, comunque, promettere che non mi sarei più occupato di questa roba. Io ero il bubbone della facoltà. Dovevo limitarmi a far lezione per chi non ne aveva voglia e abituarmi ad essere calpestato, ad essere considerato un inventore nel senso deteriore della parola. […] Avevo due figli e al di là dello stipendio non andavo. Dovetti piegare la schiena”6.
In realtà l’espressione “piegare la schiena” si tradurrà esclusivamente nel fare attenzione a non agitare le acque in superficie. Nel frattempo non è rimasta senza conseguenze la fuga di notizie verificatasi con la pubblicazione su quotidiani e settimanali, dei quali prima riferito. Arrivano grandi quantità di lettere indirizzate a “Prof. Luigi Di Bella, Ist. Biologici, Ist. di Fisiologia, via Campi 287, 41100 Modena”.
Sono lettere strazianti, intrise di dolore, disperazione, speranza. Da queste emerge palesemente non solo l’impotenza della medicina nei confronti delle leucemie e di altre malattie del sangue, ma la crudele sofferenza delle vittime. La rivelazione scioccante di una realtà già allora nascosta, allo stesso modo delle tragedie di genitori, mariti, mogli, fratelli, famiglie intere, ignorate da una società educata all’indifferenza, alla superficialità, al verbo del “panem et circenses”. Non può non provarsi una sensazione di smarrimento e raccapriccio di fronte all’ostinazione nel proporre terapie risaputamente non solo inefficaci, ma causa esse stesse di sofferenze a volte superiori a quelle della malattia. Le illusorie remissioni che possono registrarsi nella prima fase del trattamento fungono da foglia di fico di un indirizzo che sembra essere sostenuto con ogni mezzo, ad ogni costo e ad onta della tragica evidenza dei risultati. Il sacro principio espresso senza paroloni ma con semplicità da Domenico Campanacci viene dunque sistematicamente disatteso:
“ […] io ritengo che la medicina ben fatta debba tener conto del malato […] Io voglio sempre che …scorra anche una parallela eutrofia… se no la terapia, con tutte le nostre elucubrazioni, non regge…”.
Le lettere giunte e le risposte di Luigi assumono un valore umano e spirituale immenso e di incalcolabile importanza per chi volesse formarsi un’opinione fondata ed autonoma sul degrado della medicina e sulla sua mercificazione, oltre che dell’irresponsabilità di istituzioni e mondo dell’informazione. Il valore storico di questo materiale è unico, e non poteva rimanere ignoto. Un florilegio delle lettere più significative – alcune conservate da Deda e ordinate dall’autore di questa biografia nel 1992 – è stato assemblato dallo stesso unendovi commenti, note e considerazioni, in un libro dal titolo Egregio Professor Di Bella, scritto nel 1998 e pubblicato nel 1999. L’iniziativa venne approvata ed appoggiata con entusiasmo dallo stesso scienziato, il quale volle che sulla copertina comparisse la riproduzione della scultura Maddalena di Antonio Canova – da lui ammirata in occasione di una visita all’Ermitage di San Pietroburgo – e scrisse prefazione e postfazione del libro. Sicuramente, se fosse stato pubblicato prima e da un grosso editore, la collettività avrebbe potuto disporre di uno strumento prezioso di arricchimento umano e di giudizio.
Questa la prefazione:
“Nel crogiolo di una famiglia gli eccessi caratteriali dei singoli componenti sogliono stemperarsi in una congerie di casi e reazioni, dove ciascun membro vive a modo suo gli infiniti minuscoli frammenti della comunità della quale fa parte.
L’alterazione di un componente si riflette sul comportamento degli altri, generalmente in guisa da smorzarne gli effetti negativi (azione a “feed back”) secondo la stessa regola del principio fisico di inerzia, per cui tutto tende a rimanere in una posizione costante se non intervengono cause esterne a mutarla.
La malattia e l’esito fatale che può seguirla è l’evento per gravità e frequenza più sconvolgente della trama ordinata della famiglia: equilibri intimi e sociali possono lacerarsi, passioni profonde esplodere e sconvolgere l’animo e la mente, il caos investire e dominare tutto.
Tante espressioni riportate sembrano ‘postremo donare munere mortis’ e ‘mutam nequiquam alloquere cinerem’, mentre altre investono problemi di gravissima immanente attualità, veramente degni di profondi ripensamenti.
Mio figlio Adolfo, che espresse con caldi accenti e coprì di note dolenti lo strazio per la morte della mamma, mi sembrò l’autore più idoneo a quest’opera, e lo pregai perciò di leggere, ordinare, commentare – se possibile – le espressioni di dolore che quotidianamente mi giungono. Il dolore e l’amore sono le più elevate ascensioni dell’animo umano, anche se non tutte le umane espressioni scritte, verbali o sonore, riescono fedelmente ad esprimerli.
Penetrare tuttavia in questo mondo passionale, travolgente, infinito, confina con l’essenza della vita e non mi sembrò inutile. Tanto più in quanto potremmo considerare Opus Divinum il sedare dolorem con mezzi diversi dai comuni analgesici e psicotropi“.
Luigi Di Bella, Luglio 1998
Alla madre che parla del figlio trentatreenne, padre di due bambini, che si sta spegnendo, risponde il 16:
“Il suo doloroso caso mi ha commosso. Mi mandi copia della cartella clinica; le comunicherò in seguito le possibilità di cura.”.
Nel marzo 1974 risponde alla mamma di un bambino leucemico di due anni e mezzo. E’ una lettera che testimonia come si brancoli nel buio a livello terapeutico, pur nell’intransigenza e nella supponenza di cure tanto reboanti nella denominazione quanto inutili e micidiali negli effetti. Nella risposta traspaiono il dolore dello scienziato per le sofferenze dei malati e dei loro cari e l’amarezza per le offese subìte dall’ambiente medico-accademico.
Scrive la signora a proposito del figlio, che era stato ricoverato in un rinomato ospedale parigino:
“ […] era uno dei pazienti più piccoli del grande ospedale e le terapie non si differenziavano da soggetto a soggetto, seguendo un protocollo unico …il piccolo ebbe varie crisi convulsive e precisamente alla 8a e 10a iniezione lombare, alla 7a iniezione con asparaginasi […] l’ultima il 7 maggio scorso, il giorno successivo al rientro da Parigi dove aveva subito l’ultimo ciclo chiamato di sincronizzazione con vincristina e methotrexate7 e quindi la scoperta: aveva perduto l’udito. A distanza di un po’ è stato riacquistato, ma non parla …sono una madre già tanto provata, ma se il mio tesoro dovesse ripresentare cellule atipiche, come potrei fargli somministrare di nuovo farmaci che tanto lo hanno leso?”.
Risposta:
“Modena, 29 marzo 1974 – Gentile Signora, con brutale franchezza le dico che io non credo alle ‘vaccinazioni’ alle ‘sincronizzazioni’ ecc., che per me sono state e sono causa prima di lutti, paralisi, epilessie ecc.
Lei è mamma, e tutto farebbe per il suo Cristiano: è umano. Ma giunti a questo punto, cosa rimane di recuperabile? Io le posso dare un po’ di melatonina, ma nessuna garanzia sulla sua efficacia. Scusi quanto le scrivo: è forse l’amarezza di chi soffre con lei e gli altri genitori per il vilipendio di cui è oggetto a causa di questi sentimenti. Distinti saluti“
Luigi Di Bella
Eccone un’altra, dell’aprile 1974, della quale ci piacerebbe avere la minuta della risposta.
“ […] Rocchino, mio figlio di 20 anni, è affetto da leucemia. Sta cercando di rendere meno acuto il male con la trasfusione giornaliera. Qualcuna delle tante persone che vengono a visitare Rocchino mi ha messo nelle mani i fogli della rivista ‘Amica’, contenenti l’articolo ‘Leucemia, più che una speranza’, è comprensibile dunque la mia supplica, la mia preghiera come ad un Santo, perché faccia qualcosa per il mio Rocchino. L’ho visto sempre sorridere, sempre pieno di vita, pieno di infinita bontà e d’altruismo. Fra mesi doveva partire per il servizio militare, ora è invece pesantemente giacente in un lettino dell’ospedale, così pallido, ma sempre sorridente e con questi occhi grandi che fissano i medici e poi il mio viso, cercando di sapere e di capire perché tutti quei prelievi, quelle trasfusioni.
In nome di Dio, Professore Di Bella, venga in aiuto a Rocchino: tra l’altro è il ragazzo più simpatico del mondo. Dicono che la terra si fa più triste quando muore un fiore. Rocchino è un fiore e la terra ha bisogno di Rocchino, ha bisogno del sorriso di Rocchino. M.B.P.”.
L’ultima che abbiamo deciso di riportare testimonia delle indifferenziate pratiche terapeutiche (uguali a quelle che sarebbero state in uso quarant’anni dopo), dei loro esiti, dell’assenza di trasparenza nei confronti delle famiglie.
“Nuoro, 21 agosto 1974.
Sono una mamma disperata, perché mio figlio Marco è affetto da una forma di leucemia linfatica acuta…..Da diciotto mesi la nostra vita ha mutato completamente. L’estate scorsa è stato ricoverato al Gaslini di Genova per tre mesi e mezzo: qui lo hanno curato con cortisone, Vincristina e Methotrexate. Non si contano le punture lombari e sternali che gli hanno fatto. Sembrava migliorato quando lo hanno dimesso, ma da dicembre in poi, salvo qualche breve intervallo, è sempre ricoverato all’ospedale di Nuoro. Anche qui la terapia è la stessa, così pure i prelievi di midollo: infatti non si contano le punture lombari e sternali. Non posso mandarle i referti degli esami, perché non me li hanno fatti mai vedere. Anche la cartella clinica rilasciata dal Gaslini non l’ho più vista. Ora mi hanno detto che non ha più piastrine e che dovrebbe essere alla fine […]. Vorrei che lei mi desse un consiglio. Un aiuto, una speranza. E’ possibile che Marco continui a vivere? La prego di rispondermi, anche se, fra i suoi molti impegni, non sarà facile toglierle tempo. Mi dica cosa devo fare […] dimenticavo di dirle che Marco a dicembre compie cinque anni!
La ringrazio di gran cuore. R.L.M.“.
Queste poche citazioni sono sufficienti per far comprendere molte cose meglio di lunghe dissertazioni: la sopravvivenza dell’amore tra gli uomini, si tratti di amore coniugale, familiare o filiale, l’abnegazione, il dolore, la disperazione. In un’epoca nella quale l’organizzazione diretta ad assicurare la disinformazione e la diseducazione collettiva, imbibire di sciocchezze la collettività, diffondere modelli di vita finalizzati alla distruzione del libero arbitrio e della coesione familiare occupa decine di migliaia di dipendenti, queste testimonianze rivelano come il sinistro compito di chi si propone simili turpi mete sia in parte fallito. L’aggiogamento dello spirito a pochi slogan privi di senso, ma ripetuti ossessivamente, si sbriciola al forzato risveglio degli uomini di fronte al dolore ed alla morte.
Ma le lettere spiegano molte altre cose. Fanno comprendere come dal contatto con il dolore e la sua condivisione, il poeta della scienza, oltre che dalle proprie doti di umanità e dall’altissimo senso della deontologia medica, abbia tratto la forza ed il coraggio di affrontare un sacrificio tanto grande da smarrire chiunque; sopportato cristianamente il dileggio, la calunnia, il disprezzo; come sia riuscito ad accettare rinunce e vincere lo sfinimento per un’attività incessante fino all’ultimo dei suoi giorni. E spiegano anche quell’espressione di tristezza che mai più si sarebbe dissolta nei suoi occhi.
Aiutano a capire anche un fenomeno altrimenti inspiegabile: come un uomo che nutriva una vera idiosincrasia per ogni pubblicità e notorietà, umile, laconico, schivo, solitario, privo di qualsiasi appoggio e collaborazione importanti ed ostacolato in ogni modo ed in ogni sede, sia riuscito a curare migliaia di pazienti, seguirli, guarirli, rivoluzionando il mondo della medicina e sconfiggendo gli usurai in camice bianco. Un’impresa tanto grande da fare impallidire quelle che si studiano sui libri di scuola e che ci ricorda come l’amore e gli ideali di un grande uomo siano più forti di qualsiasi esercito del male, per numeroso, armato, onnipresente questo possa essere.
Molti pazienti, ad onta delle “scomuniche”, continuano a scrivere e telefonare. Luigi dà loro appuntamento in genere la sera, al termine dell’attività didattica, e dopo avere stilato la prescrizione dona loro la melatonina, al tempo esclusivamente in soluzione di etanolo, oltre ad altri farmaci come la 5’-metionin-adenosina, vitamina E, vitamina A, vitamina D. Il costo di questi principi attivi è elevato e sostenuto ovviamente da lui stesso, ma nonostante questo le visite continuano ad essere sistematicamente gratuite. Sono ancora disponibili parecchie fatture dell’Istituto delle Vitamine, indirizzate allo scienziato e da lui pagate di tasca propria, che si riferiscono a forniture di vitamina A e di vitamina E8.
Viene a crearsi quel meccanismo di passa parola che negli anni porterà alla sua osservazione almeno trentamila pazienti. Si impone a questo punto una considerazione: senza una coralità di testimonianze ed esperienze positive, avrebbe potuto mai incrementarsi in progressione logaritmica il flusso dei pazienti? Non crediamo proprio. E questo costituisce una indiretta, ma indiscutibile prova di efficacia terapeutica; specie se consideriamo quel bavaglio, imposto agli organi di informazione che, aiutato dall’oblìo, avrebbe retto per altri ventitre anni.
Come accadrà anche in seguito, un evento – la notorietà – che origina azioni ostili nei riguardi dello scienziato, assume connotati positivi, impedendo di soffocare in fasce la verità. E certi cavalli, quando scappano, con nessuna forza al mondo possono farsi rientrare nel buio silenzio della stalla.
Le ingiustizie e le crudeltà che affliggono il mondo possono incrinare negli uomini la fiducia nell’esistenza della Provvidenza divina. Molti eventi istintivamente rifiutati, perché ritenuti ingiusti, fanno parte dell’inevitabile ingranaggio della vita e non accettare questa verità significherebbe pretendere il miracolo sistematico, in deroga alle leggi della natura e della causalità; per altri eventi ci si trova invece di fronte a disegni più alti di quelli concepibili dalla mente umana. I miracoli più grandi sono quelli che non contrastano con la razionalità. Luigi Di Bella era un genio, ed un genio si rivela sempre, ma senza tanto dolore e tanto sacrificio, ci sarebbero stati la catarsi spirituale ed il perfezionamento di se stesso che hanno caratterizzato la sua esistenza? Una domanda alla quale nessuno è in grado di dare risposte categoriche. Ottantaquattrenne, dichiarerà in un’intervista:
“Ringrazio il Padreterno della sofferenza che mi ha dato, perché attraverso questa ho capito che cos’è la vita.”
Agli intimi dirà spesso che non avrebbe altrimenti raggiunto le mete che aveva conseguito.
Sentiamo anche il dovere morale di sbugiardare per l’ennesima volta e per l’ennesimo motivo certi prezzolati scribacchini della carta stampata e, scendendo di livello, della comunicazione on line, che si sono affannati a cercare di dare una versione fumettistica ai clamori degli anni 1996-98. A dar credito a costoro, questo “medico siciliano” (sic), si sarebbe “inventato” una stramba terapia senza capo né coda, di colpo, dalla sera alla mattina; e oscure, eversive …macchinazioni avrebbero poi portato alla ribalta questa assurdità pseudoscientifica!
Quando si mente su eventi di simile rilievo, significa – realtà lapalissiana – che non si osa dire la verità. Non solo il curriculum scientifico dello scienziato e l’alta opinione che mostri sacri della medicina avevano di lui smentisce questi tristi tentativi; ma anche la risonanza mediatica (seppure, al tempo, subito soffocata) dimostra che l’omertoso silenzio durava da ben venticinque anni, quando lo stesso sinedrio che si era stracciato le vesti nel 1973-74 se le ristracciò, con più alti lai e unendovi i capelli, nel 1998. In linguaggio giornalistico: il caso Di Bella del 1998 risaliva in realtà a 25 anni prima (e, per certi versi, a 59: inizio delle ricerche nel 1939!).
Se la fugace notorietà seguita alla conferenza del 1973 gli apporta ogni genere di ostilità e cattiveria, è anche vero che grazie a questa si salveranno tante vite e che l’onnipotente “grande fratello” orwelliano non potrà evitare che, al riparo delle le mura domestiche, centinaia di persone guarite comunichino la loro esperienza ad altri.
Ed i medici? Con le lettere giunte tra la fine del 1973 e l’estate dell’anno successivo – tutte conservate e duplicate – si potrebbe comporre un piccolo volume. Si tratta di medici di base come di primari ospedalieri di ogni parte d’Italia ed alcuni sono colleghi dell’Università di Modena che gli indirizzano biglietti di presentazione per amici (tra questi, ad esempio, l’allora primario di cardiologia del Policlinico). Chiedono lumi, espongono casi, inviano documentazione.
E non mancano parecchie lettere provenienti dall’estero, specie da Australia, Francia, Spagna, Canada, Messico, Venezuela, Argentina, Brasile. Alcune sono su carta intestata di ambasciate, come quella datata 17 dicembre 1973, Città del Mexico, prot. 1255, firmata dall’Addetto culturale Dr. Ottavio Mulas. Impossibile citarle tutte e d’altronde la cosa avrebbe un senso relativo, specie nell’economia obbligata di questo libro. A riprova del fatto che tutti avessero compreso come si trattasse di una svolta non solo delle leucemie, ma anche dei tumori solidi, una lettera di un primario dell’Ospedale di Udine del 10 febbraio 1974, nella quale si sottopone allo scienziato un caso di epatocarcinoma metastatico. Già il 12 dicembre ’73 gli aveva scritto il Prof. Varone, primario pediatra presso l’Ospedale “L.Bonomo” di Bari, chiedendogli chiarimenti sulla terapia e implicitamente testimoniando dell’assoluta impotenza delle cure praticate. L’11 gennaio 1974 gli scrive il Prof. J. Q. Matshias, del Royal Marsden Hospital di Londra:
“Dear Professor de Bella (sic), I was much interested in your work in leukaemia. I would be grateful if you could kindly send me a reprint about your new treatment using electrical stimulation of the brain”.
A parte l’equivoco sulla natura del trattamento, è pur sempre un dimostrazione di genuino interesse.
Il 18 giunge una richiesta di informazioni sulla terapia da parte del Prof. A. McKee, Professor and Head, del Department of Pediatrics della facoltà di medicina di Ottawa:
“ […] I would be most grateful if you could forward to me more specific information of your therapy, types of leukemia and ages of patients treated”.
Di particolare significato l’interesse dimostrato da un prestigioso centro ematologico estero. Il 27 dicembre giunge infatti una lettera dell’Istituto Gustave Roussy di Villejuif:
“Mon Cher Collègue, Le Docteur Carlucci m’a fait part de vos travaux intéressants sur le traitment des leucémies aigues de l’enfant. Vous serait-il possibile de me communiquer les tirés à parto u documents rendant compte de vos résultats. D’avance je vous remercie. Je vou prie de croire, Mon Cher Collégue, en l’assurance de mes sentiments les meilleurs. Professeur Ag. M. Hayat, Service d’Hematologie – Pr Mathe”.
Luigi gli risponde indicandogli le pubblicazioni già apparse sulla rivista SIBS e invia ulteriore documentazione scientifica. E non è certo una lettera isolata: ne sono conservate altre provenienti da reparti ematologici di alcuni paesi esteri, come ad esempio quella del Prof. Juttner, Clinical Haematologist de The Institute of Medical Science, Adelaide.
O la lettera di Melvin H. Freedman del The Hospital for Sick Children in Toronto:
In poche parole: tutti sapevano, in Italia ed all’estero, e tutti avevano capito, quantomeno, di cosa si stesse parlando.
La circostanza dovrebbe indurre a conseguenti considerazioni. In Italia, eccezion fatta per Storti e pochi altri, nessuno dell’ambiente dell’ematologia chiede, si informa, contatta. Non stiamo parlando di sposare tout court la visione terapeutica di Luigi Di Bella; solo di volersi rendere conto, voler capire, di fronte a malattie che di regola non perdonavano e non perdonano. Magari per non condividere e criticare: ma sapendo che cosa non si condivide e che cosa si critica, ed i relativi perché. Il Gustave Roussy, per il tramite di uno dei suoi più prestigiosi esponenti, lo ha fatto. I numi nostrani non si abbassano a chiedere, mentre ben pochi di quanti entrano nei loro reparti ne escono in posizione eretta.
Un giorno questo sarà ricordato, e certamente non come motivo di vanto per il nostro Paese e per la medicina italiana.
Interesse è invece manifestato da chi non costituisce il dente di un ben oliato ingranaggio. Ad esempio, il Prof. Nicola Fazio, primario di Pediatria all’ospedale civile di Milazzo, scrive a Luigi in data 5 giugno 1974. Nella missiva il medico premette che vorrebbe trattare casi di leucemia ed elenca ben sedici domande, segno del suo interesse e del suo scrupolo professionale. Nel riscontro del 13 successivo lo scienziato fornisce precisazioni assai importanti, che dimostrano come la sua visione scientifica fosse chiara ed assai più avanzata di quanto prudentemente dichiarato; ed anche come notizie ed idee che chiunque altro avrebbe tenuto gelosamente per sé, per il timore di plagi, fossero da lui messe a disposizione di chiunque gli chiedesse ragguagli: concezione di una scienza quale patrimonio comune, al di sopra di qualsiasi personalismo e di pur legittime pretese di paternità. E’ questo un punto importante, anzi, importantissimo della sua vita e della sua opera, perché Luigi Di Bella diverrà lo scienziato più saccheggiato e plagiato nella storia della medicina, specie ad opera dei suoi più acerrimi detrattori.
Dalle precisazioni contenute nella risposta indicata parzialmente in nota9, emerge chiaramente la consapevolezza della necessaria coniugazione della melatonina con l’adenosina per attuarne la piena biodisponibilità ed anche, nell’ultima enunciazione, l’individuazione della sostanza come presidio non unico, ma irrinunciabile, per il trattamento di sindromi neuromotorie e della sclerosi multipla.
Ad Albino Vall’alta, un paese adagiato sulla Val Seriana, nel Bergamasco, al dottor Giancarlo Minuscoli10 era capitato tra le mani il secondo numero del dicembre 1973 del settimanale “Amica”, con l’articolo di Gabriele Zappa. Il medico trentaseienne sente un tuffo al cuore quando un assistito gli porta la rivista con la fotografia del suo professore di fisiologia di tanti anni prima. Lo aveva conosciuto nel 1964, durante il tirocinio post-laurea. Senza esitazioni sbotta in un “ma io questo professore lo conosco: è un genio!”. Gli ha portato il periodico un suo paziente, la cui figlia, una bambina di cinque anni, è affetta da leucemia linfatica acuta. Gli ematologi lo hanno informato che non c’è più nulla da fare. Minuscoli telefona al fisiologo, gli parla del caso e fissa un appuntamento con il padre della bambina, al quale dà una sua lettera. Luigi visita la bimba, prescrive la terapia e consegna al papà i flaconi di vetro scuro della melatonina e gli altri farmaci, insieme alla risposta:
“Caro dottore, grazie delle sue buone parole. Quando può sganciarsi venga, che la rivedrò volentieri. Do ai genitori le istruzioni sulla piccola. E speriamo che tutto vada bene. Auguri e cordiali saluti Luigi Di Bella”.
La bambina migliora e nel giro di alcuni mesi guarisce. Alla data di pubblicazione del presente libro godeva ancora ottima salute, a distanza di trentasei anni dall’inizio delle cure. Giancarlo va a trovare il suo ex insegnante e si iscrive alla scuola di specializzazione di Scienza dell’alimentazione, presso la quale Luigi è docente di fisiologia. Visto che come di prammatica ha rifiutato qualsiasi compenso, il padre prega Minuscoli di portare allo scienziato una busta contenente una somma di denaro. Riceverà poco tempo dopo un assegno circolare con la preghiera di riconsegnarlo al mittente della missiva, con la raccomandazione di ringraziarlo e fare in modo che la restituzione non sia interpretata quale mancanza di riguardo.
I rapporti con Giancarlo si faranno sempre più frequenti ed il medico di Albino inizierà a prescrivere secondo gli indirizzi del maestro. Lo stesso sta facendo Pippo, che inizialmente si focalizza su tumori del rinofaringe, carcinomi squamocellulari infiltranti delle corde vocali, tumori dell’epiglottide.
Intanto i casi trattati ed i risultati positivi si moltiplicano. Alcuni dei pazienti rilasceranno la loro testimonianza, offrendo in visione anche la documentazione clinica che li riguardava e saranno citati nel primo libro pubblicato sullo scienziato11.
Così una signora di Sondrio affetta da morbo di Werlhof, grave malattia emorragica, che nell’imminenza del programmato intervento di splenectomia si rivolge allo scienziato, registrando tali miglioramenti da rinunciare all’appuntamento fissato dal chirurgo. La signora diverrà madre di due figlioli ed anche trent’anni dopo manterrà un numero di piastrine intorno alle duecentomila. O come Rosy Valentino, una giovane donna di Napoli con una grave sindrome emorragica che l’aveva portata alle soglie della morte. Con minimi di 1.000 piastrine e un milione e mezzo di globuli rossi non sembrava esservi altro rimedio che continue trasfusioni di sangue: Rosy si riporterà gradualmente a valori normali, riuscendo, vent’anni dopo, a sostenere senza inconvenienti anche un impegnativo intervento chirurgico ad un’anca.
In un altro caso non era stata la notizia apparsa sui giornali nel dicembre ’73 a salvare una signora della provincia di Mantova, affetta da leucemia mieloblastica acuta, ma la conferenza tenuta da Luigi nell’autunno 1972 all’Ambassador Club di Vigevano, i cui esponenti avrebbero deliberato la donazione di uno spettrofotometro allo scienziato.
Questi riceve Gina, la visita a lungo, consulta la documentazione clinica ed alla fine: “Se lei seguirà la mia cura morirà tranquillamente di vecchiaia”. Così è stato.
A queste patologie se ne aggiungono molte altre, tra le quali istiocitosi maligne, linfomi non Hodgkin, mielomi. Molti dei malati curati in questo periodo sono sopravvissuti all’ideatore del Metodo.
Quanto a Storti, nonostante sia Storti, giungono pressioni perché ritratti la sua adesione alle idee del collega. Rifiuterà di farlo, ma non potrà nemmeno offrirgli la sua collaborazione diretta: sa che si troverebbe in un baleno in mezzo alla strada. Non può che inviargli alcuni pazienti: quelli che sa potergli mandare, come risulta dai suoi biglietti indirizzati a Luigi. Solo ventiquattro anni dopo, ottantottenne, potrà esprimere la sua ammirazione per il fisiologo nel corso di una intervista televisiva (Teleradiocittà, Modena. Videoregistrazione sia negli archivi dell’emittente che nei nostri).
All’inizio dell’autunno parte per Gerusalemme, dove si tiene il 26° Congresso Mondiale di Fisiologia, organizzato dal Prof. Yehuda Gutman, rinomato ricercatore che ha già conosciuto e con il quale si è stabilito un rapporto di amicizia e reciproca stima. Alloggia in un “kibbutz”, e non in un hotel, secondo le sue ormai inveterate abitudini di frugalità. Comunica la mattina del 16 ottobre 197412.
Subito dopo, disponendo di più vasta casistica e di ulteriori dati sperimentali, parte per l’India, dove si tiene il XXVI° Congresso internazionale di Fisiologia, per mettere a conoscenza la comunità scientifica mondiale della sua scoperta. Ovviamente ha già spedito tempo prima il lavoro alla segreteria del congresso, come d’uso.
L’Hotel Ashok, dove si tiene il congresso, è troppo lussuoso e costoso per lui e si adatta ad un alloggio ben più modesto. Se questo dista quattro chilometri dalla sede del congresso, meglio: potrà farsela a piedi e vedere un poco di New Delhi. Le comunicazioni si succedono, accolte da castigati applausi di routine, ma quando prende la parola lui ed espone sia la massa di lavoro sperimentale svolto che i primi risultati clinici ottenuti, l’uditorio esprime in un lungo applauso da prima teatrale il suo interesse ed entusiasmo13. Il mondo ora sa e ricercatori e clinici non possono più ignorare questa decisiva svolta della medicina. O almeno questo suggerirebbe una ingenua razionalità. Molti partecipanti si avvicinano per congratularsi, fare domande, chiedergli chiarimenti, stabilire le premesse per futuri contatti. Luigi è contento e pensa che forse questa volta è riuscito a superare pregiudizi ed opposizioni interessate.
Ma pochi giorni dopo il rientro a Modena si verifica un evento inquietante. Un pomeriggio avverte un malessere insolito, nausea, capogiri, mentre il cuore va all’impazzata ed il respiro si fa affannoso. Con il passare dei minuti la situazione si aggrava. Si palpa il fegato: quattro dita sotto l’arcata costale! Potrebbe ipotizzare un ritorno malarico, se non fosse mancato qualsiasi sintomo tipico, primo fra tutti il forte rialzo termico. Pensa allora ad un grave fatto tossico da decifrare e ingolla un intero flacone di vitamina E. Gradualmente si sente meglio e riesce a tornare a casa. Il giorno dopo il grave malessere si ripete. Questa volta corre subito ai ripari e ricollega, almeno come successione temporale, che ha cominciato a stare male dopo aver bevuto un bicchier d’acqua dalla bottiglia che tiene nel frigorifero, in una stanza vicina al suo studio personale. Senza dire nulla fa analizzare l’acqua ed emerge che contiene esteri fosforici letali. La cosa sembra studiata da chi non solo conosce da vicino le sue abitudini, ma ha dimestichezza con la chimica ed è al corrente che il fisiologo accusa ogni tanto febbri violente, retaggio dell’antica malaria, che impegna, fra l’altro, il fegato. Un decesso sarebbe attribuito ad una eclatante epatomegalia, e questa all’effetto di un ritorno malarico. Si è trattato dunque del tentativo di omicidio studiato da persone dell’ambiente: su questo non esistono dubbi. Gli viene in mente di chiedere al vecchio e fedele Tavani, il bidello che lavora nell’Istituto fin dai primi tempi di S. Eufemia, se ha visto qualcuno armeggiare intorno al frigorifero. Il buon Tavani ha visto tutto, senza ovviamente pensare a nulla di male. L’autore del tentato veneficio non è uno dei suoi assistenti, ma un’altra persona della quale il bidello fa il nome e che ha colto, passando per il corridoio, mentre versava il contenuto di un flaconcino nella bottiglia custodita nel frigorifero. A questo punto Luigi rivela a Tavani che si trattava di un veleno e gli chiede se è disposto a testimoniare formalmente. Tavani è un uomo semplice, ma da una vita lavora nell’ambiente universitario e sa come vadano le cose; abbassa lo sguardo e si limita a sussurrare: “professore …io ho quattro figli”. Luigi non presenterà denuncia. Temendo reazioni d’impulso da parte loro, rivelerà ai figli l’episodio criminoso soltanto vent’anni dopo. Chi ha tentato di ucciderlo è un figuro al quale interessa unicamente la carriera, per la quale – corre voce – non ha esitato ad incoraggiare l’avvenente e disinibita consorte ad accademici amplessi, ad iniziare da quello sotto il baldacchino. Difficile non pensare ad un’azione commissionata e, visti gli eventi prima descritti, ai probabili mandanti.
Non sarà l’unico episodio. Poco tempo dopo lo scienziato viene investito da un’automobile mentre in bicicletta torna a casa. Se la cava con contusioni.
Dopo avere comunicato un lavoro alla Soc. Medico-Chirurgica di Modena14, all’annuale congresso S.I.B.S. (Società Italiana di Biologia Sperimentale) presenta altri sei lavori, frutto dell’attività di ricerca compiuta con l’ausilio degli allievi. Cinque delle pubblicazioni costituiscono ulteriori e fondamentali acquisizioni nell’indirizzo intrapreso15.
Naturalmente l’attività di ricerca, in più direzioni come si vede, è sempre affiancata da quella clinica, dato che sono sempre più numerosi i pazienti che si rivolgono a lui. Sarebbe impossibile ed a parte questo, di opinabile significato elencarli, per cui è opportuno limitarsi a qualcuno di coloro che avrebbero stretto un rapporto di amicizia con lo scienziato. Agli ultimi mesi di quell’anno tanto denso di eventi, risale la conoscenza di due di questi casi. Il primo riguarda un affermato avvocato di Venezia, Adriano A. e la moglie Laura. Sono reduci da un trauma emotivo fortissimo: a Marino, figlio sedicenne del legale (che si era risposato dopo la morte della prima moglie), è stata diagnosticata una leucemia linfatica acuta. La diagnosi è stata fatta all’ospedale di Padova dopo le analisi di rito ed un esame bioptico. La testimonianza dei coniugi è eloquente sul livello non solo professionale, ma etico, al quale è ridotta la medicina. Il primario, di fronte allo smarrimento di Adriano e Laura – che ama il ragazzo come fosse suo figlio – ed alla loro domanda se non esistano altrove, anche all’estero, cure in grado di dare qualche speranza, si esibisce in una scena che non può non definirsi isterica: sbatte la cartella clinica sulla scrivania, urlando come un ossesso:
“Per me potete andare anche a New York, a Londra, a Parigi. Il ragazzo ha tre mesi di vita, e se anche riuscisse a vivere un po’ di più, non lo augurerei a mio figlio”.
Un comportamento che è preferibile non commentare, soprattutto in ossequio al famoso “parce sepultis”: infatti il primario morirà di cancro qualche anno più tardi, dopo avere cercato inutilmente una terapia in grado di salvarlo a Parigi ed a Londra. Come ricorderà Laura:
“…in fondo sono grata alla sua esplosione di collera. Se non ci avesse trattato come cani forse avremmo lasciato lì nostro figlio. E lì sarebbe morto veramente!”.
La rivista “Amica” del dicembre dell’anno precedente li aveva informati della scoperta di Luigi Di Bella. Vanno a trovarlo a Modena:
“…la sensazione che mi diede fu che dentro di sé il professore sapeva già cosa fare. Aveva già la certezza dei risultati. In base a questa sensazione, io e mio marito accettiamo subito di sottoporre Marino alla cura. E il professore non solo non ha voluto una lira, né allora né mai, ma ci fornì gratis la melatonina e la vitamina E”.
La terapia viene iniziata di nascosto durante il ricovero ospedaliero e la melatonina occultata dentro un thermos. Il ragazzo sembra essere andato in remissione, ma un successivo ciclo di chemioterapici lo riduce in fin di vita, con valori ematici da brivido: “Marino si era ridotto ad un pigiamino vuoto”. Tornano a Modena, dove lo scienziato consiglia loro di sospendere la chemio e di iniziare la terapia completa, comprensiva di retinoidi e di diversi altri principi attivi. “Nel giro di pochi giorni Marino riprende tutte le sue forze, dopo due mesi riprende ad andare a scuola, altri due mesi dopo va a giocare a calcio”. Gli ematologi chiamati ad effettuare gli esami di controllo, di fronte all’impossibilità di abiurare la diagnosi ed alle condizioni perfette del giovane, balbettano un turpe “forse ci eravamo sbagliati”, riferendosi alla prognosi di tre mesi. Marino, sposatosi e diventato padre, gode di ottima salute.
I coniugi A., oltre alla gratitudine, conserveranno un rapporto di amicizia che durerà fino alla scomparsa del fisiologo.
Un’altra coppia si lega d’amicizia allo scienziato nello stesso periodo: Luigi e Liliana M., di Milano. Luigi, pugliese di Nardò, è un dirigente del locale Ispettorato del lavoro, mentre Liliana lavora nel campo della moda. La leucemia ha colpito la sorella di lui che vive in Puglia. La prognosi è un terribile “speriamo che possa arrivare a passare le feste di Natale con voi”. Morirà sei anni dopo, principalmente per complicazioni sopravvenute in seguito ad un’epatite virale contratta bevendo l’acqua di un pozzo e ad una sopravvenuta polmonite. I M. non riescono ad accettare il rifiuto di qualsiasi onorario da parte di Luigi. Cercheranno sempre, in ogni modo, di manifestare la loro gratitudine. Questa sarà nutrita e incrementata negli anni: un loro figliolo si ammalerà di un linfoma n.H. una decina di anni dopo, e, di lì a poco, lo stesso Luigi M. sarà colpito da un melanoma. Ovviamente ricorreranno al fisiologo non appena procuratisi gli esami diagnostici definitivi. Padre e figlio guariranno.
Sono questi gli onorari, morali e …esentasse, di Luigi Di Bella, che gli consentiranno di non farsi annichilire dall’incomprensione e dalla cattiveria. Certo, queste lasciano tracce profonde, come emerge da quanto scrive in questa sua lettera del 2 ottobre 1974, della quale è stata conservata la minuta, non appena informato della morte di una bambina di cinque anni, che i genitori non avevano potuto sottrarre alle cure chemioterapiche:
“…la tragedia conclusasi …è il tributo che l’Umanità continua a pagare, non tanto all’inesorabilità del male, quanto alla protervia di tutta una classe. Sono stato calunniato, offeso, vilipeso, minacciato: ho dovuto lavorare clandestinamente, sperimentare su di me, osare, e non riesco a descriverle i dolori, le sofferenze, i timori del mio calvario […] Nei primi tentativi ho pagato lire 28.000 un grammo di Melatonina, di tasca mia, e così pure litri di alcool etilico […] Ne ho dato a tutto il mondo, ed ho centinaia di lettere che ne parlano…”.
Arrivati a questo momento cruciale della vita di Luigi Di Bella si impone qualche riflessione, perché il lettore possa giungere ad un giudizio obiettivo sul mondo medico scientifico e della società del tempo.
Da un punto di vista storico, quanto siamo andati ad illustrare in questo capitolo e in particolare l’ostilità ed il disinteresse incontrati, possono interpretarsi solo se collocati nel quadro di tendenze che da qualche anno si stavano manifestando.
Storti ed il suo maestro Ferrata non erano “ematologi”, “oncologi” od “onco-ematologi”, ma responsabili di reparti di Patologia Medica: quando Storti nel 1969 si era trasferito a Pavia, il reparto da lui diretto a Modena non recava alcuna connotazione particolare per l’ematologia. Ancora quattro anni dopo, all’indomani della conferenza di Bologna, le lettere giunte allo scienziato da colleghi recano sulla carta intestata al massimo la specifica di “sezione di ematologia”. Il frazionamento del sapere medico ed il riprovevole, insistente incentivo alla iper-specializzazione hanno già minato e mineranno sempre di più il mondo della medicina. Gli aspetti di questo fenomeno richiedono ci si soffermi sulle ragioni e le finalità a valle e, soprattutto, su quelle a monte, perché prima ancora del progresso scientifico saranno i malati a pagarne le conseguenze.
Il terreno sul quale sono attecchite le malepiante è stato concimato con veleni insidiosissimi: gli esempi negativi, i modelli di vita riprovevoli, la diseducazione progressiva. Quella grande maestra di vita che è l’umiltà è stata esiliata e, specie nel nostro paese, pochi accettano di essere ciò che sono. Al ricercato orpello nobiliare di un tempo si è sostituita una forsennata corsa ad emergere: lodevole, se questo significasse arricchire e migliorare sé stessi, deprecabile, se occupare nella società posizioni immeritate. Una dolosa filosofia egualitaristica tende ad equiparare il diritto a pari opportunità ad un’inesistente parità d’ingegno e di volontà. Non quindi base di partenza uguale per tutti, ma bieco e forzoso livellamento verso il basso, che non significa solo mettere la palla al piede dei più capaci, ma allenare all’intorpidimento di menti e coscienze e in ultima analisi minare la capacità di giudizio. Un popolo di ignoranti e anoressici della mente si domina facilmente. Mentre garrisce al vento lo stendardo di terminologie enfatiche e vuote, è agevole instaurare una tirannia feroce, amministrata da plotoni di burocrati utili ad accreditare la falsa equivalenza: pluralità di comando=libertà=civiltà; tirannia facente capo non ad un singolo, ma ad un ristretto direttorio. Non pretendiamo certo di essere originali: George Orwell lo ha magistralmente colto e descritto nelle sue due opere più note.
Questa la base e la conditio sine qua non, questo il substrato fondamentale del potere medico-farmaceutico. Potere, non scienza.
“…per il crescente difetto di volontà nella società del benessere e della vita ed il rifiuto di accettare rinunce e sacrifici, si accentua la tendenza a far cavare dal medico tutte le castagne dal fuoco: si pretende così di far diventare studioso lo studente svogliato, corretto il cittadino perverso, attraente la donna sgraziata, magro l’obeso costituzionale, forte il debole, geniale l’idiota, volenteroso il bighellone, astemio l’etilista, astinente il fumatore, eccetera […] di questo degrado professionale sono profondamente responsabili lo scarso studio e lo smarrimento morale. Col pretesto di debellare un inesistente classismo, di abolire un inutile quanto intollerabile nozionismo, di svecchiare antiquati programmi e adeguarli ai tempi, si è avvilita la scuola e si sono aperte le università a folle d’ignoranti, d’ineducati, di arrivisti. Questa marea ha scosso radicalmente università già gravemente minate da morbi incurabili”.
Questa la premessa per un giudizio specifico su medici, docenti universitari, degrado della medicina:
“Il medico futuro, pur entusiasta degli studi intrapresi e disposto a rinunce e sacrifici, vaga smarrito fra le pullulanti cattedre, disorientato tra evanescenti docenti, avvilito, sfiduciato e scettico, o col cervello stoltamente imbottito. Pochi o nessuno gli ha insegnato gli elementi di semeiotica e di pratica medica, per cui ha dovuto arrangiarsi in un campo nel quale l’autodidattismo non vale. A contatto con l’ammalato trascura, perché non gliene hanno suggerito l’importanza e perché non ha digerito le patologie speciali, i dati anamnestici; e non esegue un esame obiettivo neanche elementare perché nessuno si è preso mai cura d’insegnarglielo; allora passa al sintomo: la febbre, il dolore, la tosse, ecc […] La figura del medico moderno è stata largamente inquinata dal consumismo, dalla superficialità e leggerezza crescenti, dall’egoismo e dall’utilitarismo imperanti, dall’edonismo16”.
C’è tutto nelle frasi riportate. C’è la moltiplicazione delle cattedre – anche con denominazioni di involontaria comicità – per ampliare la rete neofeudale del potere accademico (“pullulanti cattedre…”), il baronismo fannullone (“evanescenti docenti…”), la sostituzione della cultura medica con complicati ma vuoti e stupidi concettualismi (“col cervello stoltamente imbottito…”), l’impotenza diagnostica e terapeutica della medicina contemporanea.
Ma “a monte” appare il profilo del Grande Fratello delle sette e più sorelle del farmaco, che prosperano e si estendono come mostruosi rampicanti fino ad invadere ogni settore della società, dagli atenei alle corsie, dalla burocrazia statale alle istituzioni sanitarie, dalla stampa alla televisione, dalla finanza alla politica. Servono i disonesti, ma non tutti sono tali; servono i mediocri, ma ci sono anche medici intelligenti e coscienziosi; e allora è indispensabile neutralizzare questi ultimi. Già il corso universitario è stato via via svuotato delle materie e delle nozioni fondamentali, riducendo a cenerentole dei programmi di studio pilastri portanti come fisiologia, neurofisiologia, biologia, chimica, fisica, semeiotica e banalizzando ed impoverendo quel poco che è rimasto grazie all’insegnamento affidato agli eletti di burlesche terne. Ulteriore aiuto viene dall’elefantiasi delle specializzazioni, grazie alle quali lo specialista dimenticherà più rapidamente i rudimenti appresi, che si sente autorizzato a ignorare, e procederà come ronzino con i paraocchi sull’orlo del burrone.
A parte diversi casi nei quali risulta indispensabile uno specifico apprendimento tecnico-chirurgico o tecnico-diagnostico, questo orgasmo specialistico porta alle conseguenze descritte da un profondo pensiero leonardesco: “quelli che s’innamoran di pratica sanza scienza, son come ‘l nocchiere, ch’entra in naviglio sanza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada”.
Nessuna maggior stoltaggine del considerare un distretto od una funzionalità dell’organismo avulsa dal contesto della fisiologia umana e da una sua profonda conoscenza. E’ in fondo un aberrante “Ogm”, si direbbe oggi, della mentalità industriale applicata alla medicina.
Il gastroenterologo, l’epatologo, il diabetologo, lo pneumologo, il nefrologo, e così via, nell’età aurea della medicina si chiamavano semplicemente: clinico medico o, alle più alte vette come quelle toccate da Albertoni, fisiologo clinico. Ma il grande pubblico non recepisce questa anomalia, che rischia di disintegrare la capacità diagnostico-terapeutica e la preparazione del medico. All’oscuro dell’immensa cultura, dello spirito di sacrificio, del continuo studio, delle non comuni doti intellettuali indispensabili nella professione medica, i più parificano le specializzazioni mediche a quelle di professioni diverse – l’idraulico, l’elettricista, l’elettrotecnico, ecc. – pensando che non solo lo specialista, occupandosi unicamente di determinati organi e delle loro patologie, ne sappia molto di più, ma che il medico generico non ne possa né sapere né capire che poco.
A parte questo, rimane il rischio che al medico più coscienzioso venga lo sghiribizzo di mettersi a studiare seriamente e si accorga così che gli siano state occultate le vere basi del sapere. Ma a tutto c’è rimedio. Basta accentrare e controllare l’editoria medico-scientifica e, grazie ad una politica di progressiva burocratizzazione del medico, sottrargli il tempo per eventuali e sconvenienti scrupoli conoscitivi. A questo punto sarà facile porgergli premurosamente un pasto nozionistico precucinato, che unito all’assillante e persino arrogante ubiquitarismo dell’informazione farmaceutica ed a sedicenti corsi di aggiornamento, stornerà qualsiasi pericolo. Alla fine di questo progetto-campagna, il medico sarà convinto che scienza è ciò che viene additato come scienza e non ciò che costituisce una verità controllabile attraverso criteri di verifica che forniscano sempre gli stessi risultati. Il Talmud è costituito da riviste scientifiche innervate e controllate e nulla, al di fuori di questo, è consentito denominare scientifico. In sintesi, vero non è ciò che è vero, ma quanto testi o istituzioni dicono essere vero.
L’ulteriore passo è istituzionalizzare le ambasciate del potere farmaceutico mediante la creazione di commissioni statali scientifiche e sanitarie tanto potenti da risultare praticamente incriticabili, indipendenti, stato dentro lo Stato nel loro settore di attività e da condizionare interi governi. Ultimo capitolo di questo piano scellerato è trasformare gli ordini professionali in autentici servizi di spionaggio e di gendarmeria, allo scopo di sanzionare medici che pretendessero di agire secondo scienza e coscienza.
Ed ecco sortire da questa complessa strategia la scienza, la medicina, la sanità dei giorni nostri, con i suoi protocolli e le sue linee guida. Il dissenso si è trasformato in eresia. E si sa che gli eretici di rado godono di lunga vita.
In questo contesto ben poco edificante, due specializzazioni emergono e sovrastano sempre più le altre: l’oncologia e l’ematologia. Perché? Anzitutto riguardano malattie che fanno soffrire, uccidono, trasformano: quindi fanno orrore e paura, cose che fanno prostrare tutti, danno potere, addirittura lo jus vitae ac necis. E’ con la paura che si domina il mondo, e proprio a questa ignobile realtà si ispireranno i propagandisti di (false) epidemie.
Il secondo motivo è che tra fatturato diretto e indotto, farmaci e tecniche relative assicurano un utile mai registratosi nella storia dell’economia. E’ chiaro che, quantomeno in molti casi, questi reparti divengano sostanzialmente la rete commerciale delle multinazionali del farmaco. Gradualmente oncologi ed ematologi espropriano delle loro prerogative altri reparti, esigono che il paziente sia dirottato loro, senza discussioni, un po’ come agiscono gli agenti della F.B.I. nei confronti degli altri poliziotti quando ricorrono particolari reati. Da reparti rischiano di diventare sedi territoriali di sette nazionali ed internazionali; quindi centri di potere; quindi posti ambiti quanto e forse più di un seggio in parlamento. Senza nulla togliere, ovviamente, a medici di questa categoria estranei a tali consorterie.
Quando un fisiologo proveniente da una scuola che predicava il verbo della inscindibilità e della multidisciplinarietà della medicina fa sentire la sua voce, che implicitamente rimprovera a rampanti tendenze di ignorare il vero sapere scientifico e di rinchiudersi in asfittici teoremi, è inevitabile venga considerato una minaccia da eliminare al più presto. Non ha voluto provocare nessuno, ma le sue parole vengono equiparate ad un guanto di sfida lanciato sul pavimento. Basta un mattone indisciplinato che si muova alla base dell’aureo grattacielo in costruzione perché l’intera struttura rischi di crollare prima ancora dell’inaugurazione.
Atteniamoci ai fatti. Luigi Di Bella non è una macchietta d’ateneo, né un mitomane: non sarebbe stato osannato da un Tullio né premiato da un Marconi. E’ uno scienziato di chiara fama, che può ben definirsi internazionale. Alla fine del 1974, dopo una ricerca iniziata trentaquattro anni prima, ha già informato la comunità scientifica sul razionale e sugli esiti clinici del suo Metodo in dodici comunicazioni svolte in congressi nazionali ed in una in un congresso mondiale. Le sue idee sono state ritenute meritevoli di grande interesse dal più illustre fisiologo del tempo, Giuseppe Moruzzi, dal più grande clinico medico italiano vivente, Domenico Campanacci, dal più stimato ematologo italiano, Edoardo Storti. A New Dehli un intero uditorio comprendente il gotha della fisiologia mondiale si è levato in piedi ad acclamare il suo intervento. La stampa ha dato comunicazione dei primi esiti favorevoli in patologie altrimenti mortali, se è vero come è vero – lo abbiamo già riferito – che soltanto 500 leucemici in tutto il mondo erano riusciti a sopravvivere cinque anni dopo la diagnosi.
In un paese civile e, prima ancora che civile, libero, di fronte a questi elementi non contestabili da nessuno perché provati e documentati, i vertici dello Stato avrebbero avuto il dovere categorico ed ineludibile di contattare lo scienziato, quantomeno per una verifica al di là di qualsiasi discussione. Chiunque abbia seguito il percorso della vita e del lavoro di Luigi Di Bella ed abbia a cuore la verità ed il bene degli uomini non può giungere a conclusioni diverse. Un ipotetico rappresentante delle istituzioni avrebbe dovuto dirgli:
“Professore, sappiamo che lei è un ricercatore serio, preparato e assai stimato. Sappiamo chi sono stati i suoi maestri. Abbiamo preso visione del suo curriculum. Abbiamo la certezza che lei non insegua fini di lucro o di fama. Per appoggiare ed ufficializzare le sue metodologie vorremmo esaminare e seguire innanzitutto i pazienti che ha curato finora, e poi raccogliere un maggior numero di dati, specie di ordine clinico. Meglio di ogni altro sappiamo che per questo sono indispensabili risorse umane e materiali. Di che cosa ha bisogno? Dal punto di vista sperimentale le confermiamo la nostra disponibilità ad affiancarle uno staff di ricercatori validi e di sua fiducia, oltre che metterle a disposizione lo strumentario necessario. Dal punto di vista clinico le offriamo la possibilità di controllare e seguire gruppi di pazienti presso un pubblico ospedale, e precisamente un reparto particolarmente competente ed esperto. Non crediamo lei, ad esempio, possa avere remore di fronte ad una collaborazione come quella del Prof. Storti. Nel frattempo questo lavoro di verifica ed approfondimento è bene proceda con discrezione e lontano dai riflettori. Se le premesse saranno confermate, si apriranno più ampie prospettive; in caso contrario, non si dispiaccia, non parliamone più, e amici come prima. Questo lo Stato considera sia il proprio dovere etico e costituzionale”.
Questo discorso non sarà mai fatto, né mai alcuno penserà o forse oserà farlo. Luigi Di Bella non avrà mai né un centesimo di fondi pubblici per le ricerche sperimentali, né un ospedale, un reparto, una camerata, un letto a disposizione e nessuno dei pazienti che vivevano senza segni del male, nonostante prognosi infauste a breve termine, sarà avvicinato o convocato.
Nel frattempo, moriranno di cancro o di malattie del sangue centinaia di milioni di innocenti. Gli uomini, tutti gli uomini, sapranno un giorno che molti, che avrebbero potuto salvarsi o vivere di più e senza soffrire, non ne hanno avuto la possibilità per colpa di pochi.
1. Gazzetta del Popolo 4 dicembre 1973, pagina 7.
2. Una sintesi della conferenza verrà pubblicato nel Bullettino delle Scienze Mediche, organo della Società e Scuola Medica Chirurgica di Bologna, Anno CXLV – Fasc. I – 1974.
3. A parte l’articolo della citata Gazzetta del Popolo e del settimanale Amica, la notizia appare, con rilievo variabile ma sempre netto, sui quotidiani nazionali e locali (tra i tanti: Corriere d’informazione, Corriere della Sera, Il Resto del Carlino, l’Unità, Roma, Gazzetta del Sud, Gazzetta di Modena), ed i settimanali Annabella e Novella 2000. Diversi articoli apparvero anche su giornali europei ed americani.
4. Il Dr. A. De Carlo fa riferimento alla partenza per la capitale per ritirare uno dei “premi nazionali Littorio” vinti da Luigi Di Bella (n.d.A.).
5. 1) L. Di Bella, M.T. Rossi, N. Pellegrino, A. Grimaldi, V. Santoro – Ruolo del sistema abenulo-ipofisario nella regolazione del tasso piastrinemico. Boll. S.I.B.S., Vol. XLV, num. 20bis, 31 ottobre 1969.
2) L. Di Bella, I. Zini, M.T. Rossi, P. Sorgato – Effetti della perfusione melatoninica sulla differenza artero-venosa del compartimento cellulare del sangue circolante nei ratti splenectomizzati. Boll. Soc. It. Biol. Sper., vol. XLVIII, n. 20 bis, 31 ottobre 1972
3) L. Di Bella e all. – Ricambio piastrinemico e tensioattivo alveolare. Boll. SIBS, vol. XLIX, n. 18 bis, 126
4) L. Di Bella e all. – Studio di alcuni fattori del ricambio piastrinemico. ib. 125
5) L. Di Bella e all. – Sequestrazione polmonare di leucociti e tensioattivo alveolare. ib. 127
6) L. Di Bella e all. – Ripercussioni del tasso piastrinemico sulla dinamica polmonare in vitro. ib. 128
7) L. Di Bella e all. – Variazioni del tasso leucocitario e curve di insufflazione e di desufflazione. ib. 129
8) L. Di Bella – Effetti della perfusione melatoninica sulla differenza artero-venosa del compartimento cellulare del sangue circolante nei ratti splenectomizzati. Boll. SIBS, 1972, 48, Com. 118
9) L. Di Bella – Differenze artero-venose del compartimento cellulare del sangue circolante dopo scapsulamento. Ib., 1972,48, Com. 119.
10) L. Di Bella, Lancellotti L., I. Zini, M.T. Rossi – Dinamica midollare dopo trattamento subacuto e cronico con melatonina. Archivio di Fisiologia, Vol. 69, 1972, fasc. 1, pp. 90-91
11) L. Di Bella e all. – Dinamica megacariocitica e piastrinemia dopo trattamento con melatonina. ib. pp. 129-130
12) L. Di Bella e all. – Alcuni aspetti dei rapporti fra leucopoiesi e piastrinopoiesi. ib. pp. 75-76.
6.Bruno Vespa, op. cit, pagg. 49,50.
7. Due noti chemioterapici ancora oggi utilizzati a distanza di alcuni decenni! A tal proposito si può leggere l’articolo presente su questo stesso sito Ma quanto ci costano e con quali risultati?
8. A mo’ di esempio, citiamo due fatture, una del 30/7/74 e l’altra del 21/12/74, relative all’acquisto complessivo di 10 Kg di DL-Alfa Tocoferil Acetato (vitamina E), per una cifra complessiva di Lit. 180.000.
9. Oltre alle precisazioni sulle prove di tossicità eseguite, i dosaggi usati, le forme di somministrazione, lo scienziato dichiara di avere trattato, sino a quel momento, diverse centinaia di pazienti leucemici o affetti da mortali patologie ematologiche. In particolare ci sembrano importanti le seguenti affermazioni, che riportiamo fedelmente:
- Non ci sono incompatibilità con nessun farmaco;
- L’azione del farmaco riguarda: a) la formazione dei RF ipotalamici; b) la conduzione e la trasmissione nei substrati melatoninergici; c) la citocinesi in genere;
- Nel processo leucemico agisce: a) regolando la permeabilità dell’endotelio sinusoidale e vasale; b) mettendo a disposizione del megacariocita ATP, il tensioattivo di membrana, l’energia (dall’ATP) per l’attivazione dell’ATP-ase dell’actiomiosina; c) regolando la contrazione del fuso nella mitosi; d) regolando la protidopoiesi;
- Stimola: l’eritro-, la mieli-, la piastrinopoiesi;
- Inibisce la mielopoiesi blastica;
- In ambiente acido (ph 3-5) è stabile; è meglio somministrarlo con l’Adenosina o con l’AMP;
- Se il trattamento avessi potuto farlo io, in un reparto mio, i risultati sarebbero stati più brillanti. Se la MLT è saputa adoperare intelligentemente, non esito a definirla un farmaco prezioso anche nelle forme leucosiche, mieloproliferative in genere.
- Il farmaco è attivo a) sulle plasmacellule e la protidosintesi; b) sugli oligodendrociti e la mielinizzazione; c) sulle degenerazioni muscolari lisce e striate d) sulla citocinesi in genere.
10. Giancarlo Minuscoli nacque a Nembro il 14 ottobre 1937. Laureatosi in Medicina e Chirurgia a Pavia e specializzatosi in Malattie del tubo digerente, sangue, ricambio ed in Scienza dell’alimentazione, è mancato il 26 luglio 2006. Amico intimo del Prof. Luigi Di Bella, che – a parte il figlio Giuseppe – lo riteneva il medico che più di chiunque altro avesse capito il suo Metodo e meglio lo avesse praticato, ha lasciato una profonda impressione ed un ricordo commosso tra i suoi malati. La sua figura di medico e di uomo è stata ricordata in un libro, Giancarlo Minuscoli – dalla parte dell’uomo, a cura di Giuseppe Zois, pubblicato nel luglio 2007, Ed. Myprint.
11. Mauro Todisco: Non morirai di questo male, Edizioni Sestante, febbraio 1995.
12. L. Di Bella – Probable Liver Thermoreceptors as Modulators of Food and Water Intake. Abstract, 26th ICPS- International Congress of Physiological Sciences, Jerusalem, 1974, p.55.
13. Luigi Di Bella, M.T. Rossi – Nervous control of thrombocytopoiesis. IUPS (International Union of Physiological Sciences), 1974, C. papers.
14. L. Di Bella, M.T. Rossi, M. Tedeschi – Attività preconvulsigena della carbonidrasi. Boll. Soc. Med. Chir. di Modena, Vol. LXXIV, n. 3, 1974, Grafiche Toschi, Modena.
15. Bollettino Sibs, Vol. L, n. 20 bis, 30 ottobre 1974 – L. Di Bella e all.:
- Aspetti omeostatici della piastrinemia;
- Aspetti funzionali del fattore trombocitico regolatore del tasso piastrinemico;
- Intercorrelazione fra piastrinopoiesi ed eritropoiesi;
- Tasso leucocitario e trombopenia;
- Alcuni aspetti del midollo dopo trattamento con il principio trombocitopenizzante piastrinico;
- La temperatura del fegato e la sensazione di fame e di sete.
16. Prof. Luigi Di Bella ETICA PROFESSIONALE – Editrice C. Ferrari, 1985.