Questo breve scritto inizia con qualche immagine.
Di seguito i rispettivi autori.
La Biennale di Venezia non ha bisogno di presentazioni, reduce com’è dai passati fasti: dalla citata opera..organica al cubo invisibile, dal ragazzo Down seduto ai “Bambini impiccati” di M. Cattelan, senza poter citare, per brevità, altre similari e preclare opere d’arte.
Nel corso dello svolgimento della 18a Mostra Internazionale di Architettura, la curatrice anglo-ghanese Lesley Lokko si è esibita in una enigmatica dichiarazione: “la storia dell’architettura non è sbagliata, è incompleta”.
Nonostante ci sfugga il senso del termine “sbagliata”, non ci attarderemo a contestarlo. Ma perché incompleta? Presto detto: finora il continente africano sarebbe stato escluso dal novero dei grandi esempi dell’architettura mondiale.
Non potendosi, la Lokko, riferire che alle piramidi, ai templi di Luxor e Karnak, alla Sfinge, ad altre opere degli antichi Egizi, alle grandiose vestigia della civiltà romana, abbiamo pensato ad un lapsus. E invece no, perché la curatrice parlava sul serio, e si riferiva ad altro. Ma perché, c’è un altro? Di certo non poteva pensare alle capanne di fango e paglia dei villaggi, e nemmeno ai più “evoluti” esempi di casupole in mattoni di argilla. Rimaniamo perciò confusi e perplessi.
Siamo tutti fratelli, magari un po’ caineschi. Ma non siamo tutti uguali. Senza che questo intacchi la doverosa e sentita propensione all’umana parità e tantomeno suffraghi disdicevoli sentimenti di razzismo.
Limitandoci a smuntissime citazioni di Grandi nel campo dell’arte architettonica, in Africa (e non solo), non c’è mai stata nemmeno l’ombra di Callicrate, Lanfranco, Brunelleschi, Michelangelo, Bernini; allo stesso modo in cui non c’è mai stata nemmeno l’ombra di giganti come Omero, Dante, Shakespeare, Goethe, Dostoevskij; Bach, Mozart, Beethoven, Chopin, Wagner; Giotto, Piero della Francesca, Raffaello, Michelangelo, Caravaggio, Tiziano, Goya; Platone, Kant, Nietzsche; Galileo, Volta, Marconi; Malpighi, Koch ecc. Con buona pace di tutti. Paranoie da “über alles”? Ma neanche per sogno. Si tratta di mera constatazione.
Che l’Europa sia ridotta come è ridotta oggi – fra collettori di afro-oriental tangenti, secretati Pfitzer-beneficiari, filantropi di se stessi, gretini assortiti, usalecalabraghenato, carbonifobi, misuratori di zucchine e pesci, A.M.D. (Anti-Mucca-Deiection), liofilizzatori di grilli, elettromaniaci, profughi di Sodoma e Gomorra e imbecilli in miscellanea – è un altro paio di maniche. Da faro di civiltà l’Europa è diventata succube confederazione di succubi dominions e colonie: alias, garrota di libertà.
Ma quel che siamo stati non si può cancellare, e permane ibernato nel nostro patrimonio genetico. Siamo quindi come poderi aridi e sterili sì; ma capaci di produrre nuovamente messi rigogliose, se e quando terminerà la siccità imposta. Civiltà e cultura resistono a qualsiasi tentativo di declassamento e banalizzazione, come obelisco di granito che sfida i millenni.
La cosiddetta Cancel-culture, che vorrebbe sostituire il tutto col nulla, nasce dalle tare di una conscia impotenza, madre di antichi disegni di disgregazione e dell’atavica e rabbiosa invidia di usurai e di loro ideologi barbuti.
Conosciamo e riconosciamo senza fallo questa rabbia schiumosa, così come si riconosce a primo fiuto il liquido fetido che ci si vorrebbe propinare con l’etichetta di saccarinosi e falsi ideali.
Basti pensare alle isteriche e carnascialesche censure (anche se cercano di affermare il contrario!) nei confronti dell’opera di Dostoevskij e Tolstoji, e delle musiche di Tchaikovsky: non solo perché russi (?!), ma anche (e forse soprattutto) perché costituiscono immarcescibili esempi di quel vertiginoso gap intellettuale e spirituale che si vorrebbe annullare.
Onoriamo e coltiviamo la cultura, dunque; e, magari, cancelliamo chi vuole cancellarla.
A.D.B.