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Capitolo XV – Falsari e conigli
“Ama la verità: mostrati qual sei e senza infingimenti e senza paura e senza riguardi. E se la verità ti costa persecuzione e tu accettala, e se il tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio”. (S. Giuseppe Moscati)
E’ con molta apprensione che il 29 luglio vengono comunicati gli esiti dei primi quattro protocolli della sperimentazione: molti hanno già compreso da tempo e dato per scontato il risultato.
Le prime pagine dei quotidiani si sbizzarriscono: “Terapia Di Bella, un fallimento”, “Bocciata la cura Di Bella”, “Bocciato Di Bella” ed altri titoli di analogo tenore.
Un minimo di raziocinio e di sensibilità umana obbligherebbe a pensare che in tal modo si condizionano i pazienti da sottoporre ai rimanenti protocolli; ma la fregola da una parte, la volontà di intaccare la propensione popolare per il fisiologo dall’altra, consigliano inopportunamente chi regge il timone.
Non parliamo poi delle pronunce istituzionali, quelle che avrebbero dovuto essere più equidistanti. Prodi, presidente del consiglio: “dolore e delusione, ma il verdetto è chiaro”; Giuseppe Benagiano, direttore dell’Istituto Superiore della Sanità: “Cari malati ora rinunciate, tornate alle terapie tradizionali”; Rosy Bindi, ministro della sanità: “la polemica è finita”.
Una sbracatura incredibile, segno, fra l’altro, di poco acume. Panorama eloquente: il Caronte designato a traghettare l’Italia alla sponda europea definisce “chiaro” un verdetto quando si é ancora a metà delle prove cliniche; il direttore dell’ISS, coordinatore di una sperimentazione che avrebbe dovuto essere esente da pregiudizi ed equilibrata, invita i malati a …rinunciare; il ministro della sanità riduce a mera “polemica” trent’anni di ricerca ed esperienza clinica, dopo essersi resa garante di una corretta valutazione della terapia (“professore, si fidi di me”).
Quanto riferito con meno della metà dei protocolli esplorati, 5 mesi scarsi da inizio prova, incostituzionalità dichiarata di parte del decreto di attuazione, immediata presa di distanze dell’ideatore della terapia, avvisi di garanzia in viaggio, riunioni d’urgenza per rabberciare uno sgangherato carrozzone minato da vistose irregolarità, proteste e denunce di pazienti e di associazioni di pazienti.
Nonostante ciò, il verdetto sarebbe chiaro, e si invitano i malati a tornare a quell’ovile oncologico dal quale molti erano fuggiti delusi e devastati, dato che …la polemica è finita! C’è da chiedersi quali lusinghe, oppure pressioni e minacce siano state fatte per indurre a tanta iniquità, tanta improntitudine e tanto palese assurdità.
Da decenni novelli Re Magi, i potentati farmaceutici non solo portano a chi di dovere oro – soprattutto – incenso e mirra; ma istruzioni categoriche; o, quando il caso, avvertimenti espliciti e rabbrividenti. Il sovrano ricorda ai suoi satrapi-fantocci che sono potenti quanto e fin quando deciderà lui; che li lascia fare se dimostrano di sapere come muoversi; che è pronto a sostituirli (e inguaiarli) in un fiato se falliscono. Così accade nella polipesca famiglia delle mafie: si finisce cementati in qualche pilone autostradale se ci si lascia scappare un avversario o non si riesce a suicidarlo a regola d’arte.
Luigi dichiara laconicamente che quella sperimentata non è la sua terapia, mentre reazioni di sedicenti seguaci risultano inopportune o grottesche: tale la proposta di una …controsperimentazione, ovviamente inattuabile. I risultati ben diversi raccolti dalla commissione nominata dal Dr. Madaro, in Puglia, osservati su pazienti curati da medici che adottano la terapia, non solo non vengono presi in alcuna considerazione, ma portano, il 13 luglio, ad un provvedimento disciplinare nei confronti del magistrato da parte del ministro della giustizia1.
Luigi aveva dato abbondantemente per scontato questo epilogo. Il 22 luglio gli giunge un fax del Prof. Benagiano, nel quale gli viene comunicato che il 28 avrà luogo una riunione nel corso della quale saranno presentati i risultati dei primi quattro protocolli, invitandolo a parteciparvi. Al fax egli risponde il giorno dopo:
“Chiar.mo Prof. Benagiano, La ringrazio per la sua cortese lettera di invito. Tuttavia mi preme ricordare come abbia avuto più volte occasione di esprimere le mie perplessità sul modo di applicazione del metodo e sui criteri di arruolamento dei pazienti, nonché infine sulla bontà dei preparati usati. Qualificare come MDB il metodo adoperato mi sembra improprio. Ritengo pertanto non opportuna la mia presenza alla riunione del 28 luglio. Con i più distinti saluti Luigi Di Bella”
Non può non suscitare commozione, e indignazione al tempo stesso, cogliere nello scritto i segni evidenti della vista che l’abbandona.
A proposito del Prof. Benagiano, può giovare apprendere, indirettamente, una notizia che desta perplessità. Riportiamo direttamente la fonte, costituita dallo stralcio di un atto giudiziario. Si tratta degli interrogatori ai quali, presso la Procura di Torino (Dr. Guariniello), furono sottoposte persone coinvolte a vario titolo nella conduzione della sperimentazione. Di particolare interesse risulta la testimonianza del Prof. Lorenzo Tomatis, membro della commissione oncologica, che abbiamo avuto modo di citare in precedenti pagine.
Le serie ragioni di perplessità – volendo edulcorare il termine – il lettore può riscontrarle direttamente leggendo il penultimo capoverso di questa prima pagina delle dichiarazioni.
Perché il ministro esautora il “Gruppo di coordinamento” (”…cessava di essere il punto di riferimento…”) e trasferisce tutto (“…responsabilità della sperimentazione …responsabilità e condotta degli studi…”) al Prof. Benagiano ed all’Ist. Sup. della sanità (del quale lo stesso é direttore)?
Aveva qualcosa a che vedere con questo esautoramento l’essere composto il Gruppo, oltre che dai prof. Conte, Mandelli, Monfardini, Sannazzari, anche dallo stesso Tomatis, dal Prof. Veronesi e dal Prof. Iacobelli?
Riportiamo anche un punto particolare delle dichiarazioni di Tomatis, utile a rinfrescarci la memoria su una diversa vicenda e per richiamare altre perplessità:
“ […] Ho partecipato alla riunione di Bologna del 22/1/1998, al riguardo esistono due verbali, uno ufficiale che è quello di Cognetti e Conte e l’altro parallelo di Taroni della Regione Emilia Romagna che era stato inizialmente incaricato di tenere le minute e poi esautorato, non so dire per qual motivo, non ho mai capito cosa fosse successo. Taroni era certamente al di sopra delle parti, io stesso chiesi una copia degli appunti di Taroni in quanto volevo verificare se vi erano differenze sostanziali nei verbali, confronto che però non ho mai fatto […] ”
E per essere ancora più chiari, aveva qualcosa a che vedere questo «esautoramento» con le segrete mene che emergono da un documento riservato del quale si dirà appresso?
Molto più che da mene ed inganni Luigi é interessato dal lavoro di ricerca e, in particolare, da quello relativo alla citocalasina B, sulla quale ha comunicato a Pietroburgo l’anno precedente. Alla fine di agosto partecipa ad un congresso che si svolge ad Amburgo, organizzato dallo IHF (Institute, University of Hamburg): “Melatonin after four decades: an assessment of its potential”.
Qui comunica sulle ricerche condotte negli ultimi mesi, che aggiungono un nuovo capitolo alla sua concezione terapeutica, come può constatarsi leggendo le conclusioni del lavoro, che sarà pubblicato l’anno successivo:
“Le Citocalasine influenzano notevolmente le proprietà di membrana dei megacariociti: in alcune condizioni, può essere conseguito il blocco completo di molti canali. Questi fenomeni probabilmente possono rivestire una certa importanza quando investono le cellule tumorali, in particolare quelle del carcinoma polmonare a cellule lisce. Future indagini preciseranno l’importanza pratica delle C. nel trattamento del cancro2”
Il 19 settembre ritira il “Premio Muccioli” a Napoli e da lì, direttamente, giunge in aereo a Catania, dove lo attendono Adolfo ed alcune persone di quello che – pomposamente – viene definito il suo “seguito”. Comprensibili i suoi stati d’animo quando il mattino dopo, dalla camera di un albergo di Messina, fissa il mare dello Stretto. Tiene una conferenza nell’Aula Magna dell’Università che sessantatre anni prima lo aveva accolto come studente, viene ricevuto in colloquio privato dal Rettore e lo stesso pomeriggio parla per breve tempo al Palazzo della Provincia; per raggiungere poi Milazzo, dove tiene una conferenza. Chi ha fissato il programma non si é molto preoccupato dello strapazzo al quale lo esponeva.
L’indomani mattina, con Adolfo e due nipoti (Giovanni, uno dei figli di Peppino e Franco, di Sara) sale al cimitero di Granatari, dove riposa Ciccina, dopo avere acquistato alcune orchidee. Il cimitero sorge su una bassa altura prossima a Punta Faro ed al Lago di Ganzirri: la bellezza del panorama fa sembrare quel luogo di mestizia il pronao del paradiso. Ciccina, che presto sarà traslata nella cappella di famiglia dei Costa in attesa che quella progettata a Modena sia realizzata, è nella tomba più alta di un’ala del cimitero. Luigi sale su una scala e sistema, uno ad uno, i fiori che Adolfo gli porge.
Un ultimo sguardo verso lo Stretto che si domina dall’altura e le navi che aprono silenziosamente il mare in quella domenica mite e assolata, e poi risale in macchina diretto ad un altro luogo di ricordi: Monforte San Giorgio, il paese che raggiungeva a piedi da Pellegrino.
Qui, dopo festeggiamenti in comune, lo attendono su un palco eretto per l’occasione due vecchi compagni di scuola.
E’ un’emozione appena arginata dalla presenza della folla e dall’ufficialità della circostanza. Molto è cambiato dopo ottant’anni, ma riconosce le vecchie case di un tempo, rivede le alture vicine, ricorda padre Nicolino, le sue lezioni, le monellerie che faceva da chierichetto; e le erbe terribili, “lessicalmente commestibili” – come era solito ripetere rievocando quel tempo – che la sorella Ciccina raccoglieva e cucinava; e il tragitto fra Pellegrino e Monforte che percorreva in groppa ad un somarello. Vorrebbe fermarsi, stare e camminare da solo con le mani dietro la schiena, com’è uso fare, richiamare alla memoria persone e cose dissolte dal tempo. Ha sempre sognato di tornare nei luoghi dell’infanzia e della giovinezza, evocando il passato in solitudine e silenzio: ma la sua vita non glielo consente più.
Di ritorno, a Messina rivede per qualche ora Citta e Sara, e la sera è ad Aci S. Antonio, in un albergo sulla litoranea dal quale si domina il mare. Altre emozioni il giorno dopo, quando sale a Linguaglossa, sostando, nel locale cimitero, davanti alle lapidi di papà Giuseppe, mamma Carmela e della sorella Ciccina, mancata due anni prima. Riceve in dono dall’arciprete della Matrice copia del suo atto di battesimo e visita infine la vecchia casa di via Libertà, piena di polvere e privata di quasi tutti i mobili, involati da chissà chi.
Il pomeriggio é invitato a presenziare ad una riunione del Consiglio provinciale di Catania, nella sede chiamata “le Ciminiere”, dove prende brevemente la parola, ed il giorno dopo è ad Agrigento, inondato dalla solare grecità della valle dei Templi. E’ una giornata limpida e tiepida, e la luce intensissima esalta il colore dorato delle imponenti colonne. Chiede di poter visitare anche la vicina casa dello scrittore che adora, Luigi Pirandello, soffermandosi a guardare silenzioso i cimeli che vi sono esposti.
L’indomani mattina, a causa di un malinteso con chi lo doveva accompagnare, giunge all’aeroporto di Fontanarossa appena in tempo per il check-in. La sua terra sembra un’innamorata che in ogni modo voglia trattenere l’uomo che ama: ed é evidente, cogliendo il suo sguardo struggente mentre dal finestrino guarda l’Etna e l’azzurro dello Jonio, che si tratta di amore ricambiato.
Atterrato a Bologna, prima di imboccare la via Emilia in direzione di Modena va a trovare il suo vecchio allievo Vigildo Ferrari, che lo accoglie con un abbraccio più eloquente di tante parole insieme alle figlie Anna e Angela. Lui tace, sorride, ma di un sorriso così triste che fa ben comprendere quello che gli si muove dentro. Sente il bisogno di stringersi agli affetti rimasti, dopo la panoramica desolante di un intero mondo tramontato: luoghi cambiati o stravolti, da Messina a Linguaglossa a Pellegrino; la vecchia casa spoglia, silenziosa e deserta; la lapide dietro la quale riposa Ciccina e quelle dietro le quali dormono mamma Carmela e papà Giuseppe. Le riflessioni tante volte fatte sulla caducità della vita e l’inevitabile estraneità del mondo, man mano che gli anni si assommano, non bastano a placare un’immensa, istintiva, rassegnata tristezza.
In ottobre, completo mutare di scenari: il 16, con Adolfo e Maria Letizia, parte per Feltre e da qui raggiunge Cortina dove, tanto per cambiare, nel tardo pomeriggio è programmata una conferenza. Terminato di parlare, una jeep si inerpica portandoli alla baita nella quale è stata organizzata una cena. Stanco per la giornata, mostra all’inizio qualche segno di insofferenza e vorrebbe andare subito a riposare nell’appartamento di Cortina che gli è stato riservato; ma recede dai suoi propositi quando riconosce, sedute ai tavoli, tante persone da lui curate; e ancor più quando fanno il loro ingresso alcuni coristi, che eseguono in suo onore canti alpini, lasciandolo incantato e commosso. E una serata piena di poesia, che lo vede circondato dalla gratitudine e dall’affetto di suoi pazienti e dei loro cari, oltre che da quello di persone che hanno un’alta opinione dello scienziato e dell’uomo. Il vasto locale, interamente rivestito di biondo legno, é stato riservato per questa occasione. Il freddo, specie per l’altezza del luogo, si farebbe sentire, ma é contrastato dal tepore delle stufe accese e…da quello dell’affetto genuino dei presenti. Sembra che la genuinità dei sentimenti umani e la fisica altezza del luogo sollevino tutto e tutti verso il cielo stellato, cancellando le bassezze che ha dovuto subire nei mesi precedenti.
E’ facile, da elevate posizioni sociali raggiunte grazie a corruzione e impostura, vedersi tributare interessati e servili omaggi; ma quante persone al mondo sono capaci di attirare tanta sincera devozione?
Nella casa di Cortina la camera da letto di Adolfo e Maria Letizia e la sua sono confinanti e confortevoli, con soffici piumoni sul letto ed un arredamento semplice ma accogliente; entra nella loro stanza, si assicura che abbia le comodità della sua e saluta Maria Letizia con un tenero “buona notte Puccetta”. Tante tensioni dei tempi che sta vivendo si allentano tra gli affetti familiari: in quella breve pausa di silenzio e di pace si rinfranca, intrattenendosi a parlare a lungo col figlio e la nuora, e ripercorre gli avvenimenti della giornata, che ora vede sotto una luce rasserenante. A chi lo ha amato, e lo ama, quella sera emerge nel ricordo come oasi di serenità e conforto.
L’indomani mattina l’ascensione in funivia a Ra Valles, durante la quale gli viene mostrato un sentiero, un “sesto grado” che gli scoiattoli di Cortina hanno intitolato a suo nome sul Torrione Zesta. Fissa il panorama, silenzioso come suo solito, immerso tra i pensieri nonostante le tante persone intorno, mentre sbuffi di nebbia e nuvole veloci investono la cabina che sale. In cima, non resiste al desiderio di chiedere agli addetti notizie e spiegazioni sul funzionamento della funivia, osserva i motori elettrici ed i meccanismi di trasmissione, fa mille domande.
Tornato a casa, altri impegni faticosi lo assorbono quasi subito: il 25 è a Roma, dove parla davanti a quasi duemila persone, quindi a Caserta, dove ritira il premio che più di ogni altro merita, per le strette analogie come uomo, medico, ricercatore con colui al quale è intitolato: è il Premio Giuseppe Moscati.
Come non apparentare le due figure? Hanno entrambi la stessa visione etica e lo stesso indirizzo culturale: grande medico l’uno, grande medico l’altro; fisiologo Moscati, fisiologo Luigi Di Bella; accomunati anche nell’attività didattica, avendo insegnato il primo Chimica fisiologica e Fisiologia, Chimica Biologica e Fisiologia l’altro. Entrambi attratti magneticamente dal mistero della natura e dall’amore per l’uomo, entrambi alieni da qualsiasi interesse materiale e spregiatori del denaro, entrambi profondi e di abitudini frugali; ed invisi alle caste mediche e d’ateneo, che hanno svergognato con la loro preparazione ed eccellenza clinica. Alcune celebri frasi del medico Santo sembrano essere state pronunciate da Luigi:
“non posso tollerare la copia degli altri, già troppo protetti, e già lieti di prenotazione ai posti stessi, che sono stati a loro fatti intravedere da amicizie e compromessi pregiudiziali […]
[…] Il dolore va trattato non come un guizzo o una contrazione muscolare, ma come il grido di un’anima, a cui un altro fratello, il medico, accorre con l’ardenza dell’amore, la carità“
E alcune espressioni di Luigi sembrano di Moscati:
“ […] soffrire con il paziente e per il paziente […] …è nobile estinguere un dolore, accendere un sorriso di pace e di speranza su un viso smarrito, accendere un raggio di luce nel buio disperato di una prognosi fatalmente infausta3”
In contrasto con questo connubio di scienza e spiritualità, un sèguito spiacevole al conferimento del premio. Questo aveva l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica, per cui, al ritorno, Luigi sente il dovere di ringraziare la Presidenza per il riconoscimento attribuitogli. Lesta giunge una breve lettera dal Quirinale, nella quale si precisa che il Presidente non era preventivamente al corrente del nominativo al quale sarebbe stato attribuito il Premio Moscati.
Un gesto basso, meschino, inelegante, sapido di faziosità e, per giunta, poco accorto, in quanto fa trapelare l’ordito occulto e inquietante dietro la sperimentazione.
Una conferma giunge l’otto novembre, quando viene conferito un altro premio, direttamente dal capo dello Stato, ad un ricercatore che avrebbe scoperto …le virtù dell’acido retinoico nella leucemia promielocitica! E’ un episodio paradossale, grottesco e di immensa gravità, che dimostra come si possa dire qualsiasi assurdità senza che augusti personaggi pubblici, augustissimi opinionisti ed ancor più empirei esponenti della medicina tradiscano il più piccolo imbarazzo.
Luigi Di Bella adopera da trent’anni l’acido retinoico – oltre che nelle neoplasie solide – in ogni patologia leucemica, lo ha comunicato in congressi internazionali di mezzo mondo e scritto in diversi lavori scientifici; per giunta l’adozione della sostanza figura, con tanto di protocollo ministeriale, nei pur scheletrici ed apocrifi protocolli della sperimentazione!
Come se uno sconcio simile non fosse sufficiente, O.L. Scalfaro (a sperimentazione non ancora conclusa) elogia il preteso scopritore, rivolge all’uditorio occhiate che vorrebbero essere furbesche, e col rotacismo dal quale è affetto parla di “scienziati sevi e di scienziati poco sevi…”, alludendo a Luigi Di Bella: lo scopritore vero! Se una società, una classe politica, un paese potessero venire giudicati per un singolo evento, ebbene, quello illustrato sarebbe sufficiente per bollare d’infamia l’Italia per i secoli a venire.
A questo punto l’esito della sperimentazione – immaginabile fin dall’inizio – era, più che chiaro, evidente e scontato.
L’annuncio ufficiale viene dato il 13 novembre. Anche nelle modalità vi sono stranezze e misteri, generalmente non colti (o non voluti o non potuti cogliere) dai cronisti presenti, che con una maggiore attenzione potrebbero notare – invero qualcuno lo nota – come sia presente anche una sgangherata anti-claque reclutata tra i dipendenti del ministero: alcuni, senza nemmeno scomodarsi a togliere il pass di riconoscimento pinzato alla camicia, si esibiscono in monotoni mugugni e vocalizzi di disapprovazione sul leitmotiv “Buuuu!!! Vergogna!!!!”, all’indirizzo del Prof. Di Bella (ma era il Prof. Di Bella o altri a doversi vergognare…?).
I “tecnici” della sanità fanno sfoggio di grafici e lucidi, con torte multicolori le cui fette rappresentano i risultati in percentuale: talmente deludenti da togliere il fiato a chiunque. A chiunque, vogliamo dire, non abbia un minimo di decoro professionale e di diligenza nell’approfondire e rendersi così conto che qualcosa stride4.
I casi “stabili” sono 47 e le “risposte parziali” (superamento del fatidico 50% di diminuzione della massa neoplastica in meno di tre mesi) soltanto tre su 386, dicono. Dimenticandosi comunque – per essere precisi – che i pazienti da prendere in considerazione (“valutabili”) sono 347! Qualsiasi lapsus cifrae va bene se serve a sottolineare la débâcle del Metodo.
La tossicità …rilevata (sic!) pari al 10,3% dei pazienti …anche se da altre torte grafiche (senza candeline) si traggono dati diversi e non è stato mai rilevato un solo caso in quasi 30 anni di esperienza (con retinoidi non conditi con acetone).
La vera notizia – a grattare appena appena sotto la mal recitata afflizione dei relatori – è che non è disponibile il testo completo, sostituito da un sunto schematico. Mancano informazioni esaurienti sulla durata del trattamento per i singoli pazienti e sulle loro condizioni cliniche alla data dell’arruolamento, come precisazioni circa gli “effetti tossici” riscontrati (mai avvertiti, ripetiamo, da alcun paziente in cura con i medici che prescrivono il MDB).
Ma che motivo c’era di precipitarsi con la bava alla bocca quando mancavano dati importanti e specifiche precise? Il tempo per predisporre torte e tortine colorate sì, di fornire particolari no…?
La circostanza è rilevata dal giornalista e scrittore Vincenzo Brancatisano che, pur guardato in cagnesco e controllato a vista, interviene e chiede come mai, trafelati e madidi di sudore, a meno di due settimane di distanza dalla fine della prova abbiano convocato una conferenza stampa per annunciare che il MDB ha dato esiti fallimentari, pur non essendo ancora in grado di presentare una documentazione esauriente che tutti possano leggere e valutare.
Tanto per fare un esempio concreto: si parla inizialmente di 90% di decessi, in quanto non sono stati disaggregati i pazienti morti da quelli dichiarati in progressione di malattia; quando però Brancatisano chiede lo scorporo, Donato Greco non riesce a trovare il documento con la distinzione tra il numero degli uni e degli altri.
Dopo attimi di imbarazzata tensione, ed essersi chinato sulle carte frugando affannosamente, dice finalmente che i morti sono 219 (quindi il 57%), dimenticandosi di precisare che sono stati conteggiati anche i malati per i quali il trattamento è stato interrotto il 21 luglio e che, quindi, hanno sospeso in questa data la cura. Se si conteggiassero i vivi alla chiusura rispettiva (il giorno di “verifica-rivalutazione”) i decessi sarebbero 96 (25%)5.
Preghiamo il lettore di fermarsi un attimo a riflettere.
Alla domanda su quanti arruolati siano deceduti (erano esseri umani e non topi), uno dei responsabili:
- prima dice novanta per cento;
- qualche minuto dopo – “…ehm ehm …scusate…” – cinquantasette per cento;
- salvo poi dover precisare, sul testo inviato a riviste scientifiche, che la percentuale esatta – a conclusione della somministrazione dei farmaci – è pari al venticinque per cento!
Non parliamo poi di quel sei per cento di malati (23 persone) “dei quali si sono perse le tracce”! Che, abbiamo letto bene? E’ mai concepibile una cosa simile? E questa sarebbe una sperimentazione scientifica?
Il 13/11 le risposte sono dunque evasive e visibilmente imbarazzate ed i responsabili della prova, mentre rinforzano – quasi a comando – i citati ed intellettuali “buuu”, devono ammettere che…sì, non è stato possibile presentare una relazione circostanziata per questioni di tempo.
Tempo? Per quale misteriosa ragione ci si precipita a caricare come il Savoia Cavalleria a Jsbuscensky?
Una circostanza attira però l’attenzione di qualche presente meno distratto: il Prof. Stefano Iacobelli, responsabile del protocollo n. 7 (carcinomi del pancreas esocrini) e Direttore della clinica oncologica presso l’Università di Chieti, vorrebbe intervenire e parlare, ma il microfono sembra anch’esso preso dalla concitazione del momento e poco manca si metta a fischiare per doppiare gli epici “buuu”: quasi gli fossero spuntate le gambe, sguscia infatti sotto il naso dell’oncologo, afferrato dalla segretaria del ministro.
Forse la segretaria ha necessità di fare una comunicazione urgente? Sì? Ma no, non ha nulla da comunicare. E allora? Insomma, cosa vorrebbe dire Iacobelli che si cerca di non fargli dire? Semplicemente, manifestare la sua interessata sorpresa per la risposta obiettiva parziale in un tumore pancreatico, patologia che precipita sistematicamente e rapidamente dopo i trattamenti tradizionali. Alla fine riesce a riappropriarsi del microfono:
“ […] dopo sette mesi, il tumore è regredito di oltre il 50%. Era un tumore molto esteso e inoperabile, quindi sarebbe stato impossibile avere successo con altre cure”
Mentre parla è fissato con occhiate-laser dai colleghi, specie quando esclama davanti alle telecamere: “questo risultato è sorprendente”.
Come mai il tumore più micidiale che si conosca, il più rapido nel demolire ed uccidere, il meno aggredibile, ha avuto una risposta simile, mentre altri molto più lenti ed inesorabili no? Non dipenderà, per caso, dallo scrupolo dello sperimentatore, uomo senza preconcetti ed alieno dai conciliaboli?
Nella trasmissione di “Porta a Porta” dell’anno successivo, lo stesso studioso, di fronte a Bruno Vespa che lo incalza chiedendogli se, in caso di tumori al pancreas, avrebbe adottato il MDB quale terapia di prima linea, sbotta in un “sì!” talmente sonoro da potersi interpretare quale grido di liberazione.
Anche questo avvenimento, immortalato in una videoregistrazione e seguito da milioni di italiani, non verrà preso in alcuna considerazione dai mass media.
Ai quali è comunque sfuggita una …cosetta da nulla: che, pur con un calcolo “bruto”, che trascurasse fattori importantissimi (quali la prevalente interruzione di terapia negli arruolati), a fronte ad una sopravvivenza prevista in meno di tre mesi, (e quindi con una previsione di sopravvivenze ZERO a chiusura della prova), il 48% dei malati valutabili è in vita alla chiusura della sperimentazione!
E, per di più, questo dato che dovrebbe far fare un balzo sulla sedia anche per malati con estrema unzione in corso, si accompagna a 47 casi “stabili” (cioè con regressione, ma inferiore al 50% di riduzione di massa) e 3 “risposte parziali”, cioè 50% o più! Il che significa – con tutte le pesantissime riserve che non elenchiamo per non ripeterci – che non solo malati terminali di cancro con prognosi media inferiore ai 45 giorni sono vivi, ma che per 50 di loro (ribadiamo: malati terminali) si rilevavano addirittura eclatanti e miracolosi segni di remissione.
E’ stato comunicato all’opinione pubblica che 47 casi di REGRESSIONE – inferiore al 50% ma regressione …volendosi fidare delle percentuali di riduzione dichiarate… – erano casi stabili: come dire, il Mdb non ha fatto un accidente!
In realtà 47 “stabili” (regressione <50%)+ 3 “parziali” (regressione >50%), cioè 50 malati terminali (“non trattabili o non più trattabili”) su 347 avevano fatto registrare un nettissimo miglioramento in meno di 3 mesi e con 3 componenti su 8 della terapia! La dichiarazione della stampa che 3 soli casi su 386 malati (che erano in realtà 347), cioè meno dell’1%, era da ritenere truffaldina o, nel migliore dei casi, una bufala, dato che 50 casi su 347 – a meno che non si voglia imputare anche alla matematica di essere dibelliana – fa 14,4% DI REMISSIONI su malati ufficialmente considerati non avere mediamente più di 45 giorni di vita. E questo senza tirare in ballo la stupefacente percentuale di sopravvivenza.
Si è ingannata quindi l’opinione pubblica che, ignara del lessico cabalistico adottato, era autorizzata a ritenere che l’espressione “stabile” non significasse remissione, cioè chiara attività antitumorale, ma situazione inalterata, cioè assenza di attività antitumorale. Situazione inalterata che – si badi bene – in malati terminali e in progressione avrebbe già significato un successo memorabile.
Con questa truffa non é stato offeso solo l’onore di un grande della medicina: é stata offesa la verità e sbarrata la strada della salvezza ad innumerevoli malati in tutto il mondo. Eccessivo parlare di crimine? Perchè? Per cosa? Per quanto?
ll 13 novembre, comunque, il copione recitato è stato scritto da tempo e con un finale totalmente catastrofico: un solo “però” ed il responso lapidario ne risentirebbe. Insomma: si pretende obbedienza pronta, cieca e assoluta.
E’ venuto il momento di illustrare il documento “interno”, del quale avevamo fatto menzione.
Mai i redattori avrebbero pensato potesse divenire pubblico, per stessa ammissione degli stessi interessati durante gli interrogatori del giudice Guariniello. Da solo, avrebbe dovuto originare un’iniziativa giudiziaria e portare ad accuse assai pesanti per interi ambienti coinvolti nella sperimentazione.
Chiariamo subito che il documento, datato 17 luglio 1998, firmato dal Dr. Roberto Raschetti (coordinatore del Gruppo di coordinamento centrale della sperimentazione) e da Eva Benelli (giornalista accreditata), venne alla luce in occasione del sequestro disposto da R. Guariniello ed eseguito il 24 novembre successivo presso l’istituto Superiore della Sanità.
C’è da rimanere senza parole!
Il documento (immagine in alto. n.d.r.) è intitolato “presentazione dei risultati della sperimentazione Mdb”. Tengano tutti ben presente la data di redazione: 17.07.1998. Non siamo noi ad averlo “scoperto”, in quanto il testo integrale è già stato pubblicato nel libro di Vincenzo Brancatisano “Un po’ di verità sulla terapia Di Bella”.
Come verificabile dall’immagine seguente, siamo di fronte a un documento la cui paternità é esplicitamente riconosciuta dagli autori:
Ci limitiamo ad anticipare alcuni dei passi più sconcertanti:
“La valutazione del livello di tossicità è importante se si vuole evitare che il MDB venga riproposto come una terapia palliativa…
Nella maggior parte dei casi i pazienti in trattamento non hanno valide alternative terapeutiche…
Occorre opporsi alle reazioni scomposte bugiarde e violente dell’entourage Di Bella…
Nostra osservazione: e come facevano a sapere, tre mesi prima della fine della sperimentazione, che ci sarebbero state “reazioni bugiarde…”?!. Erano pure aruspici e cartomanti?
“I dati relativi alla mortalità non potranno essere utilizzati per una valutazione della sopravvivenza, rientrando questo tipo di informazione nella sfera della valutazione di efficacia per la quale occorrerebbe avere un gruppo di controllo…”
Nostra nota: affermazione valsa, non veritiera!
Circa i casi di “stabilità” dei pazienti:
“…questi casi non possono rientrare tra i dati da considerare come indicativi di attività, ma pongono comunque un problema di comprensibilità da parte di un pubblico non specialistico (una malattia stabile è quantomeno un episodio non negativo!).
La comunicazione al Paese attraverso i media dovrà essere semplice, precisa e senza smentite. Non ci deve essere spazio per cambiamenti di rotta, revisioni, retromarce.
A tal fine si ritiene necessario predisporre dei testi scritti e decidere chi, ed in quale sequenza, dovrà intervenire alla conferenza stampa.
Luigi Di Bella ha acquisito presso l’opinione pubblica l’immagine di studioso onesto ed estraneo rispetto al sistema ricerca, ma proprio per questo potenzialmente geniale, […] Luigi Di Bella non è un nemico da sconfiggere bensì un ricercatore da confutare.
La presentazione vera e propria dei risultati dovrà essere affidata ad una rosa di nomi ristretta e qualificata […]. Per la sua capacità di tradurre il linguaggio scientifico ed il grande seguito di popolarità di cui dispone, una figura come quella di Piero Angela può svolgere un ruolo chiave nella gestione di questi primi risultati della sperimentazione”
A L L O R A:
E’ evidente che a metà sperimentazione, nonostante ogni minuziosa misura per compromettere qualsiasi esito positivo, emergevano dati non graditi:
- in non pochi pazienti era diminuito il trend di progressione in atto e 47 di loro (non dimentichiamo che erano pazienti “non suscettibili o non più suscettibili di trattamento”) avevano fatto registrare una diminuzione dimensionale/numerica delle lesioni tumorali anche se inferiori al 50%… (ed evitiamo di discutere sull’attendibilità del più o del meno 50%!)
- si preannunciava una clamorosa proroga di sopravvivenza.
Già si suggeriscono gli escamotage per evitare imbarazzi: esasperare gli effetti avversi (dovuti esclusivamente ad anomalie di preparazione) dei retinoidi, spaccare il capello in quattro a proposito della “stabilità” dei malati, disinnescare la proroga di vita dicendo il falso, e cioè che negli studi non randomizzati il parametro non vale! (fra l’altro, nei documenti ufficiali la valutazione del parametro della sopravvivenza é chiaramente indicato).
La trepidazione per la comunicazione di risultati negativi, che a questo punto è impossibile negare fossero programmati, traspare anche qui da contromisure concordate tra il dirigente sanitario e l’esperta di comunicazione: predisporre testi scritti (per non impaperarsi), scegliere le persone più imperturbabili e dalla lingua sciolta, arruolare personaggi popolari come P. Angela.
Ma il clou è raggiunto con quel “…non ci deve essere spazio per cambiamenti di rotta, revisioni, retromarce…”, che non può non interpretarsi quale:
- indisponibilità o riluttanza di alcuni protagonisti della sperimentazione a farsi coinvolgere in azioni che disapprovavano (il lettore attento non avrà difficoltà a individuarli…);
e che spiega:
- il misterioso esautoramento del Gruppo di coordinamento, del quale i recalcitranti facevano parte.
Ecco serviti i sostenitori dell’obiettività della sperimentazione!
A beneficio del lettore e di chiunque voglia constatare de visu l’esattezza di quanto da noi sommariamente notato sopra, riportiamo le pagine più significative del documento (riportato in basso in formato pdf), seguite da altre due di ‘aggiornamento’ aggiunte poco prima della conclusione di questa “scientifica” sperimentazione:
Il lettore noterà quanto grande fosse la preoccupazione – e potrebbe pensarsi anche: la stizza – per alcune evidenze che non si era riusciti a soffocare: questo emerge dall’insistenza su “casi stabili” – che dovevano riciclarsi quali esempi di inattività… – e “sopravvivenze”, da occultare in un pot-pourri di torte e grafici a colori. Come già detto prima, una stampa (non si sa se più intimidita che irreggimentata) ed una collettività disabituata ad approfondire origine ed affidabilità delle notizie, non dovevano rispettivamente pubblicare, o capire, che i 3/8 di Mdb …e le certosine attenzioni dedicate senza risparmio perché la cura non funzionasse, erano riusciti a dispetto di tutto e di tutti a ridurre il trend di crescita tumorale o addirittura invertirne la tendenza, aumentando in misura inedita la sopravvivenza. A questo punto, non si può concedere ai redattori del documento il beneficio della buona fede. I lettori potranno comunque trarre autonomamente le loro conclusioni.
Luigi si cura poco dei titoloni, delle lacrime di coccodrillo di commissari e politicanti, di giornalisti che, venuti a suo tempo da lui con l’aria adorante da Re Magi, ora declamano nei telegiornali: “l’illusione Di Bella è finita!”; con una superficialità e irresponsabilità che fanno rabbrividire. Fra l’altro sta male, con un’affezione febbrile che lo ha colpito qualche giorno prima.
Sul fronte opposto, tra sfregamento di mani, valzer appassionati e sfrenati foxtrot, brindisi, girotondi con trombette e lancio di coriandoli e petardi, cappellini conici in testa, si svolgono i festeggiamenti per lo scampato pericolo, nonché per prebende e poltrone salvate.
Ma nelle angosciose tenebre della malattia, nelle loro tempeste di dolore fisico e psicologico, nei loro smarrimenti impossibili da capire per gli altri, molti malati tornano a capo chino nei reparti oncologici, destinati fatalmente a rimpinguare quel …50% di guarigioni mancate – faccia nascosta di una luna ad una sola faccia… – i totalizzatori televisivi delle offerte per la ricerca riprendono a correre vertiginosamente, mentre zelanti burocrati si fanno tradurre in inglese la sintesi dei risultati per pubblicarla e farla comparire in fretta (sempre questa fretta!) sui motori di ricerca scientifici.
Ma questa fiaba oscena non si può concludere con il prammatico “e vissero felici e contenti”. Ci sono pendenze che guastano un poco l’inebriante sapore dello champagne celebrativo: le inchieste di un Guariniello non ancora domato, esposti e denunce, pazienti che si permettono di vivere a dispetto delle previsioni. Ma con un po’ di pazienza, aiutati da paterni amici, e grazie a quella solidaristica omertà che per trent’anni ha sorretto la versione di un Enrico Mattei perito per incidente aereo, e dell’assassinio di Falcone e Borsellino non solo eseguito ma anche ideato dalla mafia, presto tutto tornerà al suo posto e ci si potrà scatenare in un bel can-can da Moulin Rouge.
Il 24 novembre i Carabinieri dei Nas di Roma si presentano all’Istituto Superiore di Sanità e chiedono di acquisire documentazione, compresi i documenti integrali riportati sui cosiddetti Rapporti Istisan. E qui una prima magia da fata Turchina!
A soli undici giorni dallo storico annuncio che il MDB è acqua fresca, i documenti completi – che prima non c’era stato tempo di preparare e consegnare ai giornalisti – sono belli e pronti, e alle dieci e quaranta del mattino vengono consegnati ai militari dal Dr. Roberto Raschetti. Nessun direttore di testata o di emittente televisiva si sente o si dichiara professionalmente offeso per la fola ammannitagli pochi giorni prima, cioè che i rapporti circostanziati non erano disponibili; né si premura di esaminare i documenti, che avrebbe potuto – e dovuto – pretendere e studiare. Una società pigra, rinunciataria e superficiale è condannata alla servitù: che si merita tutta.
Luigi, rimessosi dall’influenza, non indugia col pensiero su quanto ha dovuto subire: i suoi interessi sono per la scienza, mondo al quale sono del tutto estranei coloro che ora si atteggiano a profeti per averlo coperto di ingiurie prima della sperimentazione farsa. E’ anzi sollevato dal fatto che i riflettori non siano puntati su di lui come prima. Per il resto: fin dall’inizio aveva dato tutto per scontato. Il 12 dicembre è a Taranto, dove tiene una memorabile conferenza sul tema delle malattie demielinizzanti in generale e sulla sclerosi multipla in particolare. Il 17 riferisce al Procuratore della Repubblica di Modena sull’aggressione subita nel 1996: ma ormai, dopo due anni, è troppo tardi per sperare di acciuffare colpevoli e mandanti. Il 19 è invitato a partecipare al concerto in Vaticano. Desta una certa sorpresa, ai presenti “istituzionali”, notare come gli sia stato riservato un posto in prima fila e ancor di più, alla fine del concerto, vedere il cardinale Ruini intrattenersi a lungo con lui tenendogli le mani.
Come prassi costante, soprattutto a Roma, il tassista che lo riaccompagna in albergo rifiuta di essere pagato. La verità è che tanti sanno come siano andate le cose, anche se tanti debbono fingere di non saperlo. Nell’ambiente delle forze dell’ordine e, in particolare, dell’Arma dei Carabinieri, si è concordi nel ritenere un’infamia la cosiddetta sperimentazione.
Già da tempo gli esposti presentati dall’ Aian Roma hanno portato a “scoperte” raccapriccianti sulla soluzione di retinoidi prodotta e dispensata dall’Istituto Chimico Militare di Firenze: non solo le proporzioni dei tre retinoidi disciolti in vitamina E sono quasi sistematicamente inesatte e – detto per inciso – prevalentemente per difetto, non solo la conservazione è avvenuta ignorando le raccomandazioni formalizzate, ma c’è ancor di più. Un di più che spiega – a parte la discutibile qualità della somatostatina e la rarefatta indispensabile somministrazione mediante siringa temporizzata – i sintomi di nausea, vomito e dolori addominali accusati dai pazienti in sperimentazione, ma non da quelli che ordinariamente sono in cura: e questo di più si chiama Acetone.
La sostanza ha una elevata tossicità6 e, secondo alcuni studi disponibili, sarebbe anche cancerogena. Viene usata, con procedure che lo scienziato ha dettagliatamente descritto il 31 gennaio, per solubilizzare i tre retinoidi in vitamina E, procedendo quindi alla sua totale eliminazione con corrente di azoto. A prescindere dal fatto – anche questo é documentato – che il Prof. Di Bella ha indicato quale procedura preferibile la solubilizzazione tramite alcool etilico.
Il Dr. Vigildo Ferrari, indicato quale farmacista di riferimento da Luigi, data l’eccellenza dei suoi galenici, ottiene una soluzione di retinoidi con proporzioni esatte e (se lo adopera) totalmente priva di acetone: un farmacista preparatore – seppure del calibro di un Ferrari e seppure ben attrezzato – non ha problemi di preparazione e l’Istituto chimico di Firenze sì? Nel corso di una trasmissione televisiva di inizio 1999 con Bruno Vespa, lo scienziato così investirà il responsabile dell’Istituto, che assai imbarazzato cerca di giustificarsi dicendo che è impossibile eliminare del tutto l’acetone: “un farmacista dovrebbe vergognarsi di dire corbellerie simili”.
Ognuno può immaginare il pregiudizio arrecato da una sostanza tossica a pazienti in condizioni gravi o gravissime, in particolare sulla fondamentale funzionalità epatica, già disastrata dalla chemioterapia. Basterebbe pensare che l’accumulo di acetone (specie per esagerazioni alimentari) può provocare stati comatosi. Solo questo rilievo – inequivocabilmente riscontrato da analisi chimiche – unitamente all’accertata carenza nei dosaggi dei retinoidi, in un paese civile e tra persone corrette, avrebbe condotto all’invalidazione totale ed inappellabile di uno studio clinico, oltre che a dimissionare dai loro incarichi i responsabili. Questo non avverrà nemmeno per un’ulteriore “chicca”, che il lettore saprà bene giudicare. Ricordiamo, per quanto andiamo a riferire, che come sempre ci fondiamo su fatti documentati e non di parte. Il 2 dicembre 1998 i Nas, incaricati dal magistrato di esperire indagini, consegnano il seguente rapporto al procuratore di Firenze Nannucci:
“Dall’attento esame degli elenchi è emerso un dato preoccupante se non addirittura inquietante: 1.048 flaconi di ‘soluzioni ai retinoidi’ sono stati distribuiti dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico militare di Firenze a 28 Centri dei 60 della Sperimentazione MDB, oltre il termine massimo di TRE MESI, come stabilito dall’ISS. Ciò verosimilmente comporta che 1.048 pazienti abbiano assunto, per un periodo oscillante tra i venti ed i trenta giorni (tale periodo varia dalla prescrizione medica in relazione alla patologia), un farmaco potenzialmente imperfetto e non più possedente le caratteristiche terapeutiche iniziali, senza escludere che la degradazione e scomposizione di principi attivi, possa produrre effetti collaterali gravi specialmente in soggetti sofferenti patologie neoplastiche. Ne consegue che i risultati ottenuti dalla sperimentazione siano sicuramente inattendibili e che la stessa sperimentazione debba essere quantomeno rivista seguendo un’ottica che tenga conto di tali nuove e significative risultanze. (Tale aspetto sarà riferito nei termini e modalità opportuni agli Organi competenti del Ministero della sanità)”
Ognuno, già solo da questo episodio, può trarre le sue conclusioni sulla pretesa e sbandierata scientificità e obiettività della sperimentazione. Giova sapere quali provvedimenti abbia ispirato questo esplosivo rapporto. E qui il nostro povero lettore, già abituato a trasalire e balzare sulla sedia, ci imputerà un ulteriore decollo dal cuscino: i due marescialli che hanno sottoscritto il rapporto vengono sottoposti a provvedimento disciplinare dal Procuratore Nannucci, che il 4 febbraio 1999 presenterà una “nota di segnalazione”. Quale la loro colpa? In termini casarecci, di non essersi occupati dei fattacci loro; in termini più formali, di essere andati oltre il loro mandato ed avere espresso valutazioni tecniche che non erano tenuti a fare. Non solo, ma il magistrato, con tempestivissima nota dello stesso 2 dicembre, avvisa il Comando Nas di Firenze che d’ora in poi vuole essere messo al corrente in anticipo di qualsiasi altra iniziativa7.
Il Procuratore Generale si rende conto dell’insostenibilità giuridica dell’azione ed il 19 febbraio archivia la pratica con una motivazione che appare di critica esplicita al magistrato prima citato. I due sottufficiali non sono però ancora sfuggiti alle rappresaglie. Dato che il Nas dipende dal Min. della sanità, viene progettato il loro trasferimento d’ufficio in sedi lontanissime, e solo un intervento autorevole, accompagnato dall’avvertimento che si solleverà un pandemonio se una misura così iniqua dovesse avere attuazione, impedirà che chi ha fatto unicamente il proprio dovere venga punito. Questa l’ultima “pennellata” di una vicenda definibile surreale[^8 ]. D’altronde – sussurrerebbe un vecchio saggio – in una società che consente venga occultata la verità e pubblicizzata la menzogna, ci si deve meravigliare soltanto della propria meraviglia. Oltre quarant’anni prima, una ragazza di nome Wilma Montesi venne trovata morta su un litorale. Era stata pesantemente drogata per renderla più arrendevole alle attenzioni del figlio di un potente politico, che aveva organizzato con amici un festino. L’omicidio era probabilmente colposo, ma a metà degli anni cinquanta certi fatti facevano ancora scandalo ed il padre del giovinastro avrebbe potuto esserne travolto. Questi, che sapeva come si sta al mondo, si attivò opportunamente, e un medico legale, aspirante barone, non attribuì la morte ad overdose, ma a “pediluvio durante il periodo mestruale”! La perizia eccitò l’ilarità dei colleghi di tutta Italia, ma fu presa per buona, mentre la giovane vittima scendeva nella tomba senza che fosse fatta giustizia ed il perito del pediluvio omicida si aggiudicava una cattedra di Medicina Legale. Un esempio clamoroso della turpe simbiosi tra potere politico e potere accademico e della obbligata solidarietà che regna tra gaglioffi. Non esiste al mondo odio più feroce di quello che il disonesto nutre per l’onesto, il cretino per l’intelligente, l’ignorante per il colto. In breve, questa è l’origine dell’ostilità verso Luigi Di Bella. Come lo avrebbe offeso la stima di ambienti simili, allo stesso modo lo onora la loro ostilità. La genìa dei “conte zio” e dei mercanti di esami è più prolifica dei conigli.
Tre le inchieste più importanti che erano state avviate: una a Firenze, una a Roma ed una terza a Torino (Dr. Guariniello). Le prime due saranno archiviate: nonostante un deficit del 50% relativo alla vitamina A, di percentuali minori, ma consistenti, degli altri due retinoidi, nonostante l’acetone, nonostante farmaci scaduti. Ma rimane Guariniello. Il 18 febbraio 1999 il Prof. Benagiano, direttore dell’ISS, palesa la sua preoccupazione.. per il “moltiplicarsi delle indagini da varie Autorità Giudiziarie” ed il Dr. Nannucci, appena due settimane dopo, solleva un conflitto di competenza con Torino davanti alla Corte di Cassazione: che gli dà torto. Ma cos’è mai la Cassazione di fronte all’esigenza assoluta di fermare indagini pericolose? Questa inchiesta non s’ha da fare né ora né mai! Per farla breve, Raffaele Guariniello conclude le indagini, rilevando le seguenti anomalie: uso di “farmaci guasti e imperfetti” e mancato avviso, da parte dell’Istituto Superiore di sanità che ne era a conoscenza, a 50 dei 51 ospedali coinvolti nella sperimentazione.
Gli imputati sono quattro: Roberto Raschetti e Donato Greco, coordinatori della sperimentazione, Stefano Spila Alegiani, responsabile dei preparati galenici, Elena Ciranni, curatrice dei rapporti con i vari centri clinici. Il reato contestato, contemplato dall’art. 443 del codice penale, è di “somministrazione di medicinali guasti o imperfetti”, punibile con la reclusione fino a tre anni. I quattro dirigenti ricevono “l’avviso di chiusura indagini”, anticamera dell’avviso di garanzia.
A questo punto i difensori degli imputati, appellandosi alla contestata Legge Carotti, ottengono dal Pg della Cassazione Nino Abbate il trasferimento dell’inchiesta a Firenze. Inutile la contestazione di Guariniello, che eccepisce come l’art. 443 non punisca la produzione dei farmaci (eseguita a Firenze), ma la somministrazione, avvenuta – relativamente all’inchiesta da lui condotta – a Torino. A questo punto l’incubo Guariniello è cessato. Il 7 settembre 2000 compare su un diffuso quotidiano nazionale un articolo sull’accaduto, dal titolo assai eloquente e che si sa ispirato dallo stesso magistrato: “Così hanno truffato Di Bella – Guariniello accusa: farmaci scaduti e dosi sballate9”. La vicenda ci richiama alla memoria la famosa inchiesta giornalistica fatta a Corleone, patria di Totò Riina, basata su interviste ai compaesani: “mafia, qua? Ma quale mafia! Tutte chiacchiere di gente maligna!”.
All’inizio del 1999 si aggiunge un’altra grana, e non di poco conto, per chi ha programmato l’esito della sperimentazione. Esce infatti una critica senza appello alla sperimentazione sulla rivista scientifica ritenuta comunemente la più prestigiosa del mondo: il British Medical Journal. L’editoriale, a firma di Marcus Müllner, è intitolato: “Di Bella’s therapy: the last word?” (Terapia Di Bella: l’ultima parola?) e reca, quale sottotitolo “I risultati sarebbero stati più validi se i ricercatori avessero randomizzato i loro studi10”. Nonostante le remore per uno studio commissionato dal governo italiano e la forzata conseguente moderazione dei toni, l’editoriale è una bocciatura a tutto tondo. Riportiamo qualcuno dei passi più significativi, facendo poi seguire il testo integrale perché i lettori possano essi stessi leggere e giudicare:
“ […] lo studio che pubblichiamo oggi e che è stato già riportato dalla stampa, ci dice che il trattamento è inefficace e tossico. Questo studio, tuttavia, avrebbe potuto essere progettato meglio. […] il trattamento è stato interrotto nell’86% dei pazienti a causa di progressione della malattia, tossicità o morte. Il nostro parere è che la maggior parte dei clinici giudicherà convincente questa sperimentazione, ma essa non è perfetta. Noi non siamo in grado di sapere se i pazienti fossero rappresentativi, né sappiamo se i controlli avrebbero risposto meglio oppure peggio. I ricercatori avrebbero dovuto condurre la sperimentazione con studi controllati e randomizzati.
Perché questi studi non sono stati randomizzati? […] I motivi che vengono addotti a giustificazione della non randomizzazione dei pazienti sono la difficoltà del reclutamento, i costi, il tempo e ragioni di ordine etico. Le difficoltà nella randomizzazione-reclutamento sono ragioni deboli […]. Gli autori della ricerca sostengono che i pazienti non sarebbero stati forse d’accordo a far parte di gruppi di controllo-confronto con diversi trattamenti in modo randomizzato. Ma è veramente così? Poiché molte migliaia di pazienti avevano richiesto la multiterapia Di Bella, alcune centinaia avrebbero consentito a partecipare ad una sperimentazione randomizzata e controllata.
Indiscutibilmente sarebbe stato meglio valutare la terapia Di Bella in un minor numero di tipi di cancro, ma c’era evidentemente l’urgenza di valutare l’attività del trattamento in una vasta tipologia di tumori. Gli autori sostengono inoltre che non avrebbero potuto condurre studi randomizzati per ragioni etiche, ma queste ragioni etiche non sono chiare. In realtà, si potrebbe affermare che è proprio il progetto scadente di questo studio a non essere etico. Il tempo è stato forse il fattore più influente, poiché c’era una forte pressione dell’opinione pubblica sul Ministero della sanità italiano affinché fosse chiarito al più presto questo problema. Il progetto di questa sperimentazione è fallace11…”
E’ un parere pesante, con frequenti ed ironici sottintesi e lo sarebbe stato ancor di più se non fossero intervenute, come prima avvertito, ragioni di ordine diplomatico. Ancor più esplicito un altro articolo, comparso sulla edizione on line dello stesso BMJ, a firma J. L. Reyes, dal titolo ”Confrontato con che cosa?” (PhD Physiology, BMJ on line, 22/1/1999: “Compared to what?“). Ne riportiamo la frase conclusiva:
“ […] Tutto porta a pensare che la ricerca tendeva alla erezione di un fantoccio che potesse essere facilmente demolito. La mala scienza vince di nuovo”
Anche in Italia non mancano critiche, seppure non riprese né pubblicizzate12.
ovvero l’originale del BMJ 1999;318:208-209 (23 January Editorials) – Di Bella’s therapy: the last word? The evidence would be stronger if the researchers had randomised their studies. Papers p 224 and Reviews p …268…
Di seguito è visibile il commento originale di J. L. Reyes (PhD Physiology) dal titolo ”Confrontato con che cosa?” (BMJ on line, 22/1/1999: “Compared to what?“).
Si potrebbero riempire centinaia di pagine su avvenimenti, connessioni, concatenazioni che a noi sembrano chiare; ma non vogliamo e possiamo sottrarre spazio all’unico personaggio che ci preme: Luigi Di Bella. Tanto numerose, evidenti e gravi sono state le irregolarità, da comportare, ciascuna autonomamente, la totale inattendibilità della prova; per cui l’unica cosa di scientifico deve essere considerata la sua totale antiscientificità.
Basterebbe citare una sola enormità, che sarebbe suscettibile di provocare il riso, se fosse lecito ridere delle tragiche conseguenze di questa macabra farsa: i Protocolli della sperimentazione firmati dal Prof. Luigi Di Bella non si trovano…! Sono spariti!
E allora chi parla di “prova scientifica” e di avvenuto rispetto delle regole della comunità scientifica …non sa di che parla. O forse lo sa (quindi è in malafede! n.d.r.), ma non se ne cura: in ossequio alle ormai ataviche “linee-guida” del nostro disgraziato Paese, la “colonia-Italia”, di dolore ostello e … successiva rima…
A ragione Luigi Di Bella avrebbe potuto rispondere alla sonagliesca ed ipocrita offerta istituzionale di testare la sua terapia:
« […] Patria mia, non posso spargere il sangue per te, che non esisti più. In che opera, per chi, per qual patria spenderò i sudori, i dolori, il sangue mio?13»
Comunque, in estrema sintesi, a conclusione dell’argomento, citiamo ad esclusivo beneficio del lettore i più plateali motivi di censura.
- Primo fattore di inattendibilità: l’assenza di obiettività. Coloro che, a vario titolo, sono stati coinvolti nella prova e perfino quanti avrebbero dovuto garantirne correttezza e tutela da preconcetti, erano prevenuti e si erano pronunciati negativamente a priori.
Cominciamo dai membri del “Comitato di revisione Internazionale”:
- Paul Calabresi, consigliere oncologo di Bill Clinton: “Non c’è alcuna razionalità scientifica nell’utilizzo della terapia sperimentale a base di somatostatina su malati di cancro portati avanti dal Prof. Di Bella”;
- Prof. Franco Cavalli, oncologo svizzero: “ […] capita spesso nel mondo dei ricercatori che, specie in una persona anziana, subentrino delle fissazioni che portano a credere, dopo anni di lavoro serio, d’aver scoperto chissà cosa”;
- Rita Levi Montalcini: “Nessun paese se non del Terzo Mondo, potrebbe accettare la sperimentazione del suo metodo”, evidentemente considerava appartenere al terzo mondo le persone ed i parenti da lei raccomandati al Prof. Di Bella!
- Prof. Giuseppe Benagiano, Direttore dell’Istituto Superiore di sanità: “Le autorità hanno sbagliato a sottovalutare l’impatto che la faccenda avrebbe avuto, e avrebbero dovuto agire prima per stroncarla sul nascere”.
Ma ci rendiamo conto? Chi si è presentato quale “garante” di obiettività auspicava (prima dell’inizio della sperimentazione, si badi bene) che bisognava stroncare sul nascere …la terapia!
Per quanto riguarda o cosiddetti “sperimentatori”:
- Prof. Dino Amadori: “Non credo minimamente alla sua cura” (17/1/98);
- Prof. Francesco Cognetti: “ […] altri malati vengono attratti da miracolistici metodi di cura di non provata efficacia, eseguiti nella più completa clandestinità ed al di fuori di leggi e regolamenti […] ” (11/10/97).
- Prof. Pierfranco Conte: “Non darei mai questi farmaci ad un congiunto”.
- Prof. Franco Mandelli: “Attraverso false notizie, Di Bella sottrae malati ematologici che hanno, con le vere terapie, la possibilità di avere una valida risposta e ottenere la guarigione” affermazione del 17/7/97. Con una buona dose di cinismo, si provi a chiedere alla moglie del suddetto e al diretto interessato quali sono stati i risultati delle cosiddette “vere terapie attraverso le quali è possibile ottenere una valida risposta finanche la guarigione“.
Affermazione lapalissiana, nessuno si impegna per smentire se stesso. Avevano quindi ampie ragioni, lo scienziato ed i pazienti, quando avevano chiesto di sottoporre i casi di guarigione ad una commissione super partes e non prevenuta!
- Le condizioni terminali degli arruolati. Come già detto, “non trattabili o non più trattabili”, cioè altrimenti destinati a cure palliative o alla terapia del dolore. Diversi arruolati non riuscirono a rimanere vivi dal giorno dell’arruolamento a quello di inizio terapia! Se il malato moriva entro 24 ore dall’inizio della cura il decesso non veniva conteggiato (finiva tra i non valutabili); ma se moriva 24 ore e 1 minuto dopo, la colpa era della cura. Teoricamente i chemiotrattati (più esatto dire, nella maggior parte dei casi, operati, chemiotrattati, irradiati) rappresentavano il 78% del totale; in realtà la quasi totalità (emerse che non era stato possibile …rispettare la percentuale di non pretrattati, senza spiegare perché).
Aspettativa di vita (prognosi) formulata dagli stessi sperimentatori – il lettore valuti quale obiettività/attendibilità c’era da attendersi, viste le dichiarazioni sopra riportate – che andava dagli 11 giorni (avete letto bene: 11 giorni) di un gruppo, ad un massimo di 90, con media ponderata inferiore a 45 giorni. Insomma, quello che si richiedeva al Metodo Di Bella era la replica del miracolo di Lazzaro. - Mancanza di un gruppo di controllo in assenza del quale, se non ci sono interesse genuino ed onestà di intenti, si può dire tutto ed il contrario di tutto.
- Parzialità dei farmaci previsti: tre (nel migliore dei casi, quattro) sui sette/dieci elencati nello schema autografo del Prof. Di Bella.
- Mediocre o pessima qualità dei farmaci: soluzione di retinoidi con gravi carenze (accertate dai Nas) nella percentuale dei componenti ed inficiata da quantità altamente tossiche di acetone; melatonina con anomalie di lavorazione; partite di somatostatina di diversi produttori, molte delle quali con principio attivo di infima qualità, inattivo o tossico.
- Galenici somministrati scaduti: rimandiamo qui al citato rapporto dei Nas.
- Errata somministrazione dei farmaci: somatostatina prevalentemente iniettata in pochi minuti e senza l’impiego previsto di siringa temporizzata, con seria e nota sintomatologia avversa (vomito, diarrea, dolori addominali ecc.) e drastico calo di efficacia, data la ridotta emivita della sostanza.
- L’86% dei pazienti (anche questo dato è riportato dai rapporti Istisan) ha interrotto il trattamento per progressione (indipendentemente dal fatto che questa potesse essere stata rallentata, anche significativamente, dalla cura) o per pretesa tossicità, dipendente dall’infima qualità dei galenici e da infedeltà nelle modalità di somministrazione. Senza citare la prevalente pretestuosa sopravvalutazione di fenomeni avversi. In media, i malati si sono curati con Mdb per poche settimane quando – come precisato più volte pubblicamente dall’ideatore della terapia – la cura avrebbe dovuto essere ininterrottamente seguita per anni e in ogni caso per almeno 18 mesi prima di azzardare una valutazione (cfr. dichiarazioni alla Conferenza presso il Parl. Europeo a Bruxelles).
Soffermiamoci un istante a beneficio di una esatta comprensione del lettore. Se, ad esempio, la massa tumorale (che il più delle volte progredisce a velocità ed entità logaritmiche) fosse passata da un aumento mensile del 10% ad uno del 5%, poi del 4% e infine del 3% in seguito alla terapia – chiaro segno di efficace contrasto alla malattia – il paziente sarebbe stato rubricato tra quelli in progressione, gli sarebbe stato interrotto il trattamento ed avrebbe rimpinguato i casi presentati quali prova di fallimento della cura. - Frequenti pressioni psicologiche sugli arruolati (documentati da numerose testimonianze), con dichiarazioni spregiative e di scetticismo sull’efficacia del trattamento.
- I criteri di valutazione. Questi, almeno sotto il profilo logico, costituiscono forse l’anomalia più grossolana. Si sono voluti applicare ad una terapia biologica criteri propri della concezione citotossica e non quelli codificati dall’oncologia più progredita: sopravvivenza, qualità di vita, ripristino funzionale, diminuzione/arresto del processo di crescita e di diffusione del tumore e, “last but not least”, riduzione della volumetria dopo congruo periodo di cura. Invece la solita incolta fissazione maniacale e da pitecantropi che una cura sia efficace unicamente quando riduce in breve termine il volume del tumore: indipendentemente dal fatto che in seguito il male metastatizzi violentemente ed il malato muoia. Sorvolando sul concetto di “guarigione”, la massima di certi chemioterapeuti potrebbe essere: “pazienza se il malato muore: l’importante è che muoia guarito!” (e.g. Prof. Mandelli e consorte. n.d.r.).
Solo episodicamente il MDB, pur prescritto magistralmente, diligentemente seguito, supportato da galenici perfetti e specialità di elevata qualità, applicato su pazienti vergini di altre terapie e con diagnosi fresca, avrebbe potuto dare una “risposta parziale” – più del 50% di riduzione della massa – in meno di tre mesi. - La totale assenza di qualsivoglia concreta possibilità di controllo, in corso d’opera, da parte dell’ideatore della terapia o di suoi fiduciari.
Il tutto senza dimenticare il citato gigantesco “vizio” di base: che il Prof. Luigi Di Bella non si era mai sognato di approvare protocolli, criteri e tempi di valutazione.
Ma per concludere l’argomento, è doveroso ribadire ancora una realtà clamorosa, imperdonabilmente mai comunicata all’opinione pubblica, desunta dagli stessi rapporti ufficiali, eppure sotto gli occhi di tutti.
Nonostante le riserve sopra elencate, a fronte di una previsione di vita inferiore ai tre mesi:
- Alla data del 31 ottobre 1998, chiusura della “sperimentazione”, risultavano in vita 167 pazienti su 347 valutabili (48%)!
- Al 15 giugno 1999 (nel cosiddetto Follow up), e cioè ad oltre 14 mesi dall’inizio della sperimentazione, risultavano in vita ottantotto pazienti, il 25% del totale (calcolato ovviamente sui “valutabili”).
Per essere più chiari: rispetto allo zero per cento di possibilità di arrivare vivi a tre mesi dall’arruolamento (45 giorni di sopravvivenza media prevista), dopo un anno e due mesi 88 malati su 347 erano in vita! Non si tratta di fole o di interpretazioni forzate, ma di numeri di tutta evidenza desunti – giova ripeterlo ancora – dalle stesse fonti che hanno dichiarato il MDB privo di qualsiasi attività terapeutica. Ad evitare una sottovalutazione della sopravvivenza riferita, è bene sapere che si spendono milioni di euro per somministrare anticorpi monoclonali, quando il range di allungamento della vita che, si dice, apporterebbero, andrebbe da una settimana ad un picco massimo di sei mesi.
Abbiamo fondato motivo di credere che alcuni dei malati della sperimentazione siano ancora in vita, avendone avuto diretta notizia fino a pochi anni or sono.
In sostanza, l’annuncio ufficiale il 13 novembre 1998 avrebbe dovuto essere il seguente:
“Nonostante le condizioni critiche degli arruolati, definiti dagli sperimentatori stessi non trattabili o non più trattabili; nonostante l’interruzione del trattamento nell’86% dei casi (Rapporti Istisan); nonostante l’impiego di meno della metà dei princìpi attivi previsti dal Mdb; nonostante quanto premesso, per la prima volta nella storia dell’oncologia e della medicina una metodologia é riuscita a prolungare di alcuni mesi la sopravvivenza del 48% dei malati (terminali), e di oltre un anno quella del 25% degli stessi”
Non è forse la verità? Qualcuno osa contestare dati comunicati dagli stessi sperimentatori? E allora, visto che é così, quale giudizio si dovrebbe dare su quanti – sanitari, rappresentanti di istituzioni sanitarie e del Paese, politici, mezzi di informazione, hanno dichiarato fallimentari i risultati del trattamento applicato?
Ribadiamo: c’è qualche bugia o esagerazione o forzata interpretazione in quanto detto sopra? E’ bugiardo, esagerato o forzato l’editoriale del British Medical Journal prima richiamato, che conclude la disamina parlando di “…progetto scadente di questo studio” e dichiarando che “…il progetto di questa sperimentazione è fallace […] ”?
Come mai di fronte a tali e tante evidenze é stato possibile ricondurre nell’alveo melmoso di prima il fiume di protesta e di risveglio che s’era andato ingrossato sempre più?
Bisognerebbe scrivere a lungo; oltre il limite entro il quale i più sono abituati a informarsi autonomamente, controllare le notizie, trarne le logiche deduzioni. Nel giro di mezzo secolo e più il torpore della mente di grandi masse di popolazione é stato aiutato e incentivato in mille modi. Come avviene in campi sicuramente lontani e diversi, il pre-confezionato é una sirena irresistibile, specie là dove asseconda una pigrizia mentale ormai avvilente.
Quale la “colpa” della concezione dibelliana? Da cosa derivava (e – ahimè – deriva) una reazione ringhiosa e rabbiosa nei confronti di uno strumento che può salvare milioni di vite ed evitare le sofferenze più atroci? Deriva dal fatto che un’affermazione, anche delimitata, del Metodo, avrebbe minato alle fondamenta la piramide di falsificazioni in campo storico, culturale, politico, scientifico, sulla quale poggia la medicina istituzionalizzata e l’intero “ordine mondiale” seguito al dopoguerra.
Non parliamo poi di situazioni, come quella di cui ci siamo occupati, che toccano gangli vitali dei poteri forti, da tempo padroni dei più importanti mezzi d’informazione. In un contesto simile, aggravato dall’indotta desuetudine alla lettura ed alla riflessione, denunce circostanziate e pur basate su documentazione autentica degli stessi ambienti chiamati in causa corrono il rischio di essere interpretate quali tentativi di arrampicarsi sugli specchi da parte di impostori colti sul fatto. Proprio su questa rinuncia a volere approfondire e formarsi un’opinione autonoma, si fonda la capillare e suadente tirannia del nostro tempo, prostituta immonda negli abiti di candida vergine. Sapere è libertà; ignorare servitù. E gli invisibili pupari, che ne sono perfettamente consapevoli, sanno di poter dormire sonni tranquilli; insieme ai loro pupi.
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E’ chiaro, a questo punto, che la sperimentazione è un “fantoccio” – per adottare un’espressione usata da altri – da erigere a mo’ di filo spinato contro qualsiasi futura minaccia al sistema. Se si vuole falsificare la realtà, occorre falsificarne ogni aspetto e faccia ed erigere un idolo di fronte al quale tutti siano costretti o persuasi a genuflettersi. Questo idolo, che si assicura essere d’oro massiccio, mentre è solo spennellato di porporina, deve prendere il posto della verità senza che nessuno se ne accorga. Come fanno i ladri di certi racconti polizieschi che, per guadagnare tempo e non essere braccati dalle forze dell’ordine, sostituiscono a preziosi gioielli trafugati qualche abile riproduzione.
Oggi un talmud zeppo di incredibili sciocchezze, truffe concettuali, e pretenziosi, complicati, oscuri passi e versetti, ha soffocato la scienza, ne ha obnubilato l’accezione sostituendola con dogmi falsi e inverificabili presentati quali certezze. Come ci è capitato di osservare in capitoli precedenti di questo libro, la mentalità scientifica è una conquista assoluta dell’umanità, che attraverso questa è riuscita a liberarsi delle lusinghe e degli inganni dell’apparenza, approdando ad una vetta di valore assoluto: la certezza della conoscenza. Dopo centinaia di secoli nei quali fantasia ed immaginazione – cioè ipotesi – coprivano l’ignoranza del creato e della sua fenomenologia, il ripetersi sistematico di un evento precisamente riprodotto ha liberato l’umanità dai vincoli della sua intrinseca finitezza. Questa è scienza.
Per ragioni storiche che non è qui il caso di esaminare ed esporre, alla progressiva affermazione della mentalità scientifica se ne è venuta affiancando un’altra, ignobile, mendace, artificiosa: quella speculativa, sterilizzatrice di ogni anelito ideale ed umanitario. E la mentalità speculativa presuppone, di per sé, la menzogna e l’inganno. Grazie all’indotta permeabilità degli Stati, imbellettata di aneliti libertari, e il dissolversi di ogni ostacolo all’invasività di un cinico disegno finanziario, grazie all’organizzazione capillare dei vertici della speculazione – gli usurai di un tempo si sono costituiti in una società per azioni internazionale – nel giro di un secolo si è realizzato un disegno che sta portando alla fine della civiltà. Di ogni civiltà. Un disegno articolato, complesso, capillare, che ha riguardato ogni aspetto della società: dall’anestesia di menti e coscienze alla subdola distruzione della vera cultura, dall’incentivazione dell’egoismo alla dissoluzione della famiglia, dall’esaltazione della depravazione alla ridicolizzazione degli ideali, dallo stravolgimento della storia alla distruzione delle tradizioni. Su questo devastato terreno, su questa plaga spoglia di ogni bellezza, poesia, verità e rigurgitante di repellenti re nudi, si è costruito gradualmente l’orrido moloch dell’oggi.
Ad evitare che il lettore ci scambi per predicatori dell’apocalisse, punteremo direttamente al nucleo di questa immensa cellula neoplastica che domina il mondo della medicina. Se ne è preparato il terreno in più fasi, talvolta abbinate. La scuola, di riforma in riforma, ha cessato di veicolare cultura, addestrare alla logica, formare la personalità, sviluppare potenzialità individuali. L’università, già minata da un’arrogante presunzione e dalla sete di potere – vecchie quanto il mondo – ha imbarcato greggi di studenti privi di nozioni basilari e dell’educazione ricevuta dai loro predecessori. Al resto ha pensato un’attenta e inflessibile regia, che ha insediato una incolta classe di docenti, sovvertito i programmi di studio, frammentato il sapere, eliminato gradualmente la base della cultura medica: fisiologia, chimica, biologia, fisica. Come nel finale della “Sinfonia degli addii” di Haydn, dove è previsto che gli strumentisti, uno ad uno, si alzino ed escano dal palcoscenico, così le uniche discipline che possono donare al medico la consapevolezza del proprio operare sono state eliminate o depauperate.
L’ignoranza rende servi ed i servi obbediscono sempre. Nello sconfortante panorama così procurato, è stato facile mettere in moto un meccanismo che sostituisse l’intellighenzia di un tempo con plenipotenziari, più o meno consapevoli, di ambienti della speculazione internazionale, che nulla avevano a che vedere con scienza e medicina. La cernita è stata sempre attenta e basata su cinque immancabili requisiti: mediocrità, ignoranza, immoralità, ricattabilità, avidità. Non dovunque, non sempre, ma in percentuale sconfortante. Così che non solo i medici, ma anche giornalisti, opinionisti, semplici cittadini, trovandosi di fronte a personaggi celebrati, pluripremiati, che rivestono cariche prestigiose, ed alla ovvia unanimità dei loro pareri e del loro agire, li scambino per luminari, per oracoli, li considerino punta di diamante del Paese. E, di conseguenza, ritengano millantatori, esagitati, incolti tutti coloro che, eventualmente, additano alla collettività i tanti re nudi.
Il medico, burocratizzato, umiliato e reso incapace di reagire e contestare per la sua stessa indotta impreparazione, è stato espropriato delle proprie prerogative da linee guida più inderogabili delle leggi dello Stato e da commissioni ministeriali che gli impongono cosa prescrivere e cosa non prescrivere, indipendentemente dalla dimostrata valenza terapeutica di farmaci e principi attivi: censurati perché non remunerativi.
E’ quindi obbligato a sottostare a burocrati e farmacologi corrotti fino al midollo e ottemperare ad una pubblicità forzosa, in quanto, a differenza del privato cittadino che di fronte alle decantate proprietà di un frigorifero, di un’automobile, di una bevanda, di un alimento, può gettare nel pattume i depliant che gli stipano la cassetta della posta o cambiare canale, non può sottrarsi: deve obbedire, se vuole continuare ad esercitare e sostentare la sua famiglia.
Il picco negativo, che coinvolge la vita e la sofferenza dei cittadini, si è toccato nel settore delle malattie tumorali: quelle che, prima dell’avvento della lucrosa paranoia vaccinatoria, assicuravano una domanda inesauribile, sempre crescente e disposta ad accettare qualsiasi condizione; in grado, quindi, di garantire utili sconosciuti alla maggior parte delle attività produttive. La teca, apparentemente infrangibile, per tutelare questa inesauribile cascata di profitti, riposa su un potere che è stato eretto e rafforzato in decenni di penetrazioni negli ingranaggi degli apparati governativi. Un potere così forte da costituire stato nello Stato ed assicurare autonomia e, addirittura, capacità impositiva, agli “addetti ai lavori”. Questa teca è costituita da intoccabili commissioni ministeriali, ampie partecipazioni nell’editoria scientifica e non, canali privilegiati per i finanziamenti alla ricerca e dalla potenza di santuari dell’ortodossia oncologica. Qui è il ganglio vitale di tutto il meccanismo. Se si contestassero statistiche inverificabili, propinate quali verità dogmatiche, opponendo dati e risultati genuinamente scientifici, accorrerebbero forsennatamente come anticorpi soloni di ogni disciplina, negando l’evidenza. Ma anche si riuscisse a superare il primo sbarramento, ci si scontrerebbe con il moloch che ha sostituito il concetto di scientificità: scientifico è solo quanto viene decretato come tale dal sinedrio. Non conta nulla la palese evidenza, non giovano dati incontrovertibili e concordanti.
Quando sono apparsi lavori clinici che dimostravano l’efficacia del MDB in diverse patologie tumorali – prodotti e pubblicati dopo inenarrabili difficoltà – la risposta dell’associazione oncologica nazionale è stata: non sono significativi, solo studi randomizzati su grandi numeri, eseguiti e ripetuti, possono costituire prova di efficacia. Per fare un esempio chiaro: Luigi Di Bella dimostra che la melatonina incrementa in misura eclatante le piastrine in circolo. E’ una verità scientifica? Sissignore, tanto che chiunque può ripetere l’esperimento (lo è stato fatto…) e riscontrare il sistematico verificarsi del fenomeno. Si può contestare questa asserzione? Teoricamente sì, a condizione che si dimostri, scientificamente, che è falsa. Non potendolo dimostrare, perché si tratta di verità assoluta, allora si oppone il dogma alla scienza: lo “studio clinico randomizzato”.
E sia, allora facciamolo! Nossignore, non ci sono elementi che lo giustifichino (ciò è a dire: lo possiamo fare solo noi, ma non vogliamo). E lo stesso esempio può ripetersi per la somatostatina, i retinoidi eccetera. Ma chi può organizzare uno studio clinico randomizzato su grandi numeri? Ovvio: solo chi ha a disposizione risorse, ospedali, autorizzazioni governative a procedere.
Dopo millenni di barbarie e superstizioni, la conquista della scienza: e sono bastati pochi decenni per surrogare il principio di scientificità con dogmatismi autoritari. Questo è il cancro che perpetua il cancro. E’ un’abnormità concettuale e morale considerare scientifico solo ciò che si autorizza a provare (anche se già provato esaurientemente).
Se alla scienza si toglie lo strumento principe per dimostrare l’esistenza di una costante, cioè di un risultato sistematico emergente da premesse omogenee e meticolosamente applicate, si toglie all’umanità, insieme alla conquista di un dato conoscitivo, anche la possibilità di salvarsi e di non soffrire.
A questo punto si presenta l’altra faccia di questo paradosso, legata anch’essa alla disponibilità di strumenti e risorse. Come noto, uno degli ostacoli frapposti ad una nuova concezione terapeutica del cancro è l’obiezione, sostenuta con ogni mezzo ed in spregio all’opposta esperienza personale di ogni cittadino, che esistono già terapie efficaci e convalidate. Ma, si volesse dimostrare la pretestuosità dell’ostacolo, ecco comparirne un altro, plinto della tenuta stagna del dogma: come è negata la possibilità di dimostrare la valenza di una nuova terapia, così è negata quella di provare l’inefficacia delle vecchie, dato che il monopolio di reparti ospedalieri e della facoltà di arruolare pazienti è nelle mani di chi le sostiene. Il denaro quale valvola della prova scientifica. In poche parole, viene meno il principio cardine del consolidato concetto di scientificità, che è tanto provare le proprie tesi quanto di controllare e contestare quelle altrui. Non si può provare il vero, non si può provare il falso. Esisterebbero ampie ragioni, basate su numerose, concordanti e provate conoscenze, che porterebbero obbligatoriamente e con sicurezza assoluta a naturali ed ovvi risultati clinici, ma questo procedimento, che pure è l’anima del pensiero scientifico, non è riconosciuto, detronizzato com’è dall’inverificabile dogma statistico. Così muore la scienza, muore la verità, muore la civiltà e muoiono i malati.
E’, in sostanza, una lotta tra il Bene ed il Male. Una lotta che si è sempre svolta nella storia dell’umanità e che è destinata a vedere il Male vincere tutte le battaglie, tranne l’ultima, quella decisiva, quella che risolve una guerra. La nostra non è una visione catastrofista ed estremistica, perché il mondo, pur soffocato dalle erbe infestanti di Shylock, non è inerte. Il male prevale spesso sul bene perché meglio organizzato: gli aderenti alla Davidsbündler hanno scarsa attitudine alla sinergia, mentre i Filistei possiedono un talento raro nell’associarsi e nel collaborare. L’uomo di valore è quasi sempre un solitario; il mediocre un socializzatore nato. Ma sono ormai chiari i segni del tramonto per il mondo che Luigi Di Bella ha combattuto: un tramonto rosso come il sangue, seppure ancor lontano, poco più che pennellata su un cielo cupo e livido. L’avidità, sempre sfrenata, esagerata, senza limiti, porta a ritenersi invincibili: e questo è il limite fatale e la ragione della sua inevitabile rovina. Come zecche che dissanguano e abbattono l’animale parassitato, come cellule neoplastiche che devastano e uccidono l’ospite – e, di conseguenza, condannano se stesse a morire – così gli avidi non riescono a fermarsi. A dimostrazione che l’immoralità non è che una manifestazione dell’ottusità. L’editoria scientifica ha mostrato segni di reazione, e non importa che studi osservazionali pubblicati da riviste scientifiche di rango assoluto, che hanno smascherato e ridicolizzato inesistenti successi terapeutici, non abbiano fatto notizia e non siano stati comunicati alle collettività. Il dato importante è che siano stati condotti e pubblicati e che – senza necessità di ciclopici e costosi apparati – si siano sbugiardati i risultati oncologici ricorrendo unicamente alla diagnosi ed allo stato civile: due dati non falsificabili e che hanno dimostrato, ricorrendo unicamente al dato della sopravvivenza, che non esistono vere “terapie efficaci e convalidate”, dato che non si è ancora riusciti a far accettare il concetto di “morti-guariti”!. Ma molti altri sono i segni di un affanno che contrappunta quello dell’avidità senza limite.
L’insegnamento che, al di là della grandezza dell’uomo e del suo sacrificio, si trae dalla vita e dalle opere del Poeta della Scienza, è che questa commistione di nobiltà e infamia, stupidità e intelligenza, virtù e abiezione che è l’umanità, ha in sé la forza di superare lunghi bui, redimersi e, prima della sua estinzione, salire molti gradini di quella scala illuminata da Chi ha creato l’universo.
1. In un’intervista del 2 agosto, rilasciata a “il Giornale”, il Dr. Madaro dichiara fra l’altro: “Le mie risultanze sono in contrasto con quelle della sperimentazione”.
2. L. Di Bella et al.: “Cytochalasin B influence on megakaryocyte patch-clamp” – Melatonin after Four Decades, edited by James Olcese*Kluver Academic/Plenum Publishers, New York, 2000.
3. Luigi Di Bella: dalla premessa di “Cancro, siamo sulla strada giusta?” – 1997.
4. Aveva scritto Guglielmo Pepe nell’inserto ‘Salute’ di Repubblica dell’agosto ’98, dopo la comunicazione dei risultati relativi ai primi quattro protocolli: “E’ possibile che tutte le persone che hanno dichiarato la propria guarigione dal tumore grazie alla terapia Di Bella siano bugiardi? E’ davvero sostenibile che la terapia vale meno di zero, nonostante le numerose testimonianze a favore?”.
5. Lo svolgimento dettagliato della discussione è reperibile nel citato libro di V. Brancatisano “Un po’ di verità sulla terapia Di Bella”.
6. Nel Manuale Merck la sostanza è classificata tra “i veleni specifici”.
7. Dalla nota citata: “…ha sviluppato di propria iniziativa una serie di indagini in relazione alle quali non era stato delegato, esprimendo tra l’altro apprezzamenti che non competono all’organo di polizia giudiziaria […]. Poiché tali investigazioni non rientrano nell’ambito delle direttive impartite, codesto Comando vorrà preventivamente informare lo scrivente di ogni eventuale iniziativa di indagine onde consentire allo scrivente di valutarne la utilità e concludenza”.
8. Da “La Nazione” del 6/1/2000, pag. 3, a firma Amadore Agostini: “Guai a chi difende il Metodo Di Bella: due marescialli del Nas troppo scrupolosi, dopo aver segnalato anomalie nelle cure hanno rischiato il trasferimento”.
9. Repubblica 7/09/2000, pag. 2, articolo di Marco Travaglio.
10. BMJ, 1999; 318:208.
11. Le sottolineature sono nostre.
12. Dr. Giuseppe Fariselli, oncologo e dirigente presso l`Istituto dei Tumori di Milano, a proposito dei primi quattro protocolli: “Faccio l`oncologo da molti anni e cerco di curare i miei pazienti in tutti i modi che mi sembrano giusti per ciascuno di loro …in molti casi già trattati con radio e chemioterapia l`evoluzione della malattia viene rallentata dalla terapia Di Bella; le condizioni fisiche sono discrete, i dolori assenti o nettamente ridotti, l`aspetto generale è quello di un essere umano cosciente della gravità della sua malattia, ma ottimista; vuole anche dire che la sperimentazione della terapia Di Bella, seppure fatta con tutti i crismi della scienza, è stata un bluff. Se è vero infatti che in nessun caso il diametro del tumore è diminuito, nel 9 per cento dei casi è però rimasto invariato perché si è ottenuta, pur in stadio avanzatissimo di malattia e dopo che tutti gli altri trattamenti avevano fallito, la distruzione di una parte di tumore uguale a quella di accrescimento. Queste 12 persone vivono contro e al di là di ogni previsione e continuano le cure in attesa di una Di Bella 2 o di qualunque nuova terapia che faccia rinascere la speranza in tutti noi. Scusate se è poco“. Da “L’idea vegetariana” – Medicina e Dietetica – 16.
13. Citazione da una lettera di Giacomo Leopardi risalente al 1818.