NOTA: Sono vietate proposizioni, pubblicazioni, riproduzioni anche parziali e di singole parti di quanto andremo a pubblicare. Eventuali eccezioni potranno essere solo parziali e previa nostra autorizzazione scritta. Si avverte che non saranno tollerate inadempienze. Eventuali deprecabili inosservanze saranno immediatamente perseguite legalmente con il massimo rigore senza preventivi avvertimenti.
Capitolo X – Il lungo silenzio
Non esiste una categoria della scienza alla quale si possa dare il nome di scienza applicata. Ci sono la scienza e le applicazioni della scienza, unite come il frutto all’albero che lo produce (Louis Pasteur).
Il pensionamento di Luigi è accolto con sconforto ed emozione da studenti e specializzandi, molti dei quali gli scriveranno e lo andranno a trovare. All’istituto Deda, diventata professore associato, occupa ora la stanza di Luigi, e fa del suo meglio perché le materie d’insegnamento affidatele seguano gli indirizzi generali del maestro.
Quando tutto il mobilio e le apparecchiature sono sistemate nel laboratorio sopraelevato, lo scienziato organizza un rinfresco, invitando tutto il personale dell’Istituto di Fisiologia, compresi quegli assistenti che anni prima gli avevano voltato le spalle. E’ nel suo stile.
Sul retro del laboratorio si stende l’orto, ed al confine con l’attiguo condominio una tettoia funge da ricovero per la vecchia Bianchina e deposito per la legna; nel giardino antistante l’ingresso fa piantare alcuni peri, roseti, e sistemare la pronipote della menta che profumava l’aria nelle serate di primavera e d’estate. A piano terra, ed affacciato sul giardino, lo studio dove accogliere i pazienti da visitare.
In un altro vano, forzatamente a L per via dello spazio che si é dovuto riservare alle scale, é stato ricavato lo stanzino destinato alle gabbie delle cavie ed un bugigattolo ad uso ripostiglio; la superficie residua ospita la caldaia ed una libreria. I due vani rimanenti – a parte un largo corridoio con il vecchio divano e qualche sedia – sono accatastati quali garage, ma una volta abbassato il soffitto all’altezza regolamentare con pannelli di polistirene, diventeranno l’uno la sua stanza personale, nella quale studiare, sbrigare la corrispondenza e, nella stagione fredda, godersi il tepore della vecchia cucina economica, l’altro l’officina.
Il primo piano comprende la stanza dei microscopi, quella dedicata ad apparecchiature elettroniche, la sala di chimica ed uno studio; il secondo piano ospita l’elettrofisiologia, la camera oscura per sviluppare e stampare fotografie e diapositive scattate a microscopio, un’altra stanza per custodire libri, riviste, raccoglitori bibliografici, e lo studio riservato a Deda o ad altri collaboratori.
Nella mansarda ordinerà gradualmente un’immensa mole di libri, specie quelli di consultazione meno frequente, i suoi lavori, altre riviste. Singolare una anomalia che distingue la costruzione da tutte le altre intorno e della città: non c’è antenna televisiva. Così ne giustificherà l’assenza: “per rimbecillirsi ci sono tanti altri metodi, senza dover ricorrere alla televisione”.
La liquidazione gli ha consentito di saldare fino all’ultima lira gli Schianchi e di poter disporre di qualche risparmio, mentre la pensione basta per vivere decorosamente e mettere da parte qualcosa. Chiede ad un ausiliario dell’Istituto, prossimo alla pensione, di badare ad orto e giardino, tenere puliti i locali, fare lavori vari. E’ Carlo Brusiani, che gli starà accanto per ventun’anni, fino all’ultimo dei suoi giorni, fedele ed intransigente nel far rispettare i suoi voleri come un antico centurione. Sarà l’unica persona a disporre delle chiavi del laboratorio. Era stato notato dallo scienziato per la sua laboriosità ed ingegnosità, sprecate nelle umili mansioni da bidello affidategli in Istituto. Per passare a mansioni superiori occorreva però conseguire un diploma. Luigi lo spinge a rimettersi a studiare e frequentare una scuola serale, e quando cessa l’orario di lavoro gli fa lezione di varie materie nel suo studio. Carlo si diploma e, finalmente, può mettere a frutto le sue qualità. Stabiliscono un compenso settimanale ed il sabato mattina, senza eccezioni, Luigi “fa i conti” con lui. Fra l’altro Carlo ha un’indole fatta apposta per andare d’accordo con il proprietario del laboratorio: di poche parole, attivo, preciso nell’assolvimento dei suoi doveri.
Deda, quando libera dagli impegni didattici, si dedica a mettere ordine tra la corrispondenza ed archivia con cura molti dei casi trattati, come d’altronde ha iniziato a fare da una decina d’anni. Proprio a questo lavoro paziente ed accurato si deve se abbiamo oggi, e in gran copia, non pochi documenti utilizzati in questo libro. La frequente presenza dell’allieva, pur nell’ambito della loro comune laconicità, collabora a rendere meno sofferto il mutamento di abitudini ed il trauma emotivo seguiti al pensionamento.
Ora il percorso per tornare a casa è molto più lungo rispetto a quello che intercorreva tra via Campi e via Don Minzoni. Utilizza spesso la vecchia Bianchina, ancora arzilla ed efficiente, che dopo ventidue anni di onorato servizio avrebbe tutto il diritto di andare in pensione pure lei; ma costituisce un ricordo troppo caro, e sembra si confaccia a meraviglia all’amore dello scienziato per la semplicità, la modestia, la frugalità. Quando il Sig. Cuoghi, della Cuoghi&Arletti, se la trova davanti e si sente chiedere di rivederla da cima a fondo, non può reprimere un’espressione di preoccupazione e sconforto. Ma l’amicizia di tanti anni fa tacere tutte le perplessità, e si mette al lavoro. Ovviamente Luigi si profonde in suggerimenti e gli fa cento domande. Il motore sarà revisionato, tutte le parti da sostituire verranno rimpiazzate da altre nuove, e la scocca é accuratamente sistemata e incatramata da un artigiano specializzato. I quasi cinque chilometri fra via Marianini e via Don Minzoni li percorre due volte, andata e ritorno, sulla fida bicicletta e ogni tanto con la macchinina turchese dal tetto nero, tornata a nuova giovinezza.
Quanto ai pazienti, la maggiore disponibilità di tempo consente di far fronte al numero crescente di richieste di visite. Considerata la totale assenza – per non dire censura – di qualsiasi forma di informazione mediatica sulla sua terapia, sarà unicamente un meccanismo di passaparola a portare alla sua attenzione sette, otto, dieci casi al giorno – tra controlli e nuovi pazienti – domeniche comprese. Difficile pensare che qualcuno possa fare il nome dello scienziato senza aver ricavato beneficio dalle sue prescrizioni: ma per ragioni oscure pochi giungeranno o vorranno giungere in futuro a questa obbligata conclusione.
Fa accomodare l’interessato ed i congiunti che eventualmente lo accompagnano nello studio, siede alla scrivania, chiede di cosa si tratti ed esamina la documentazione con grande attenzione. Posati in un canto gli occhiali da miope, avvicina il viso ai fogli e legge in silenzio ed a lungo, per passare quindi a visionare con cura le lastre. Dopo queste incombenze si avvicina al paziente ed inizia l’esame obiettivo. Come prima cosa misura la pressione con meticolosità, spesso ad entrambe le braccia, qualche volta anche alle gambe, inizia l’auscultazione attenta del cuore, che lo impegna per lunghi minuti, del respiro, la palpazione dell’addome, la percussione del fegato, fino ad accertare riflessi e reazioni nervose. Dedica sempre particolare cura alla percussione del fegato: appoggia due dita della sinistra sulla parte e vi batte sopra, con colpi brevi, staccati e secchi, con altre due dita della destra. Come ha avuto modo di raccomandare a Pippo, occorre procedere in questo modo se si vogliono avere indicazioni utili, non come fanno tanti medici che, appena percossa la zona, lasciano le dita sulla cute. Sarebbe come se un timpanista non sollevasse subito le bacchette, ma le lasciasse posate sulla pelle dello strumento: il suono risulterebbe sordo e di scarsa intelligibilità. Nel silenzio si ode netto il rumore provocato dalla percussione, interrotto a volte quando fa seguire subito una crocetta tracciata con un penna a biro: il più delle volte quando indovina che il paziente prenderà sotto gamba consigli dietetici e terapia. Alla fine il malato guarda un po’ sorpreso e un po’ desolato quel cerchio di segni che assomigliano ad una corona di filo spinato: è il debordo di un fegato compromesso da malattie, anomalie funzionali, errate abitudini alimentari. Un tracciato perfetto, fedele immagine dell’organo e sovrapponibile a quanto risulterebbe da un esame radiografico: con la differenza sostanziale che un simile esame obiettivo fornisce informazioni non solo su forma e dimensioni dell’organo, ma anche sulla sua consistenza. E’ soprattutto un modo di evidenziare la situazione e renderne partecipe il paziente, che si sente rivolgere infinite domande: sulle patologie pregresse, quelle che hanno interessato la famiglia, le abitudini di vita, i costumi alimentari, la composizione del nucleo familiare, il tipo di lavoro svolto; e che, alla fine, sempre più sbalordito e incredulo, si sente descrivere dettagliatamente i propri sintomi. La prescrizione è preceduta da un intervallo anche lungo di silenzio, carico di tensione per chi aspetta, nel corso del quale lo scienziato rimane immobile e col capo chino, e si passa a lungo la mano tra i capelli bianchissimi e setosi tenendo la penna sospesa sul foglio. Poi, di colpo, la stilografica inizia a istoriare il ricettario con una grafia chiarissima, minuta, regolare: nulla a che vedere con i geroglifici ingiustificatamente indecifrabili della tradizione medica.
Una visita può durare due ore o più. Assente qualsiasi cenno di affettazione o posa, emerge una distanza astronomica dalle fulminee e distratte indagini alle quali il malato è stato abituato da parte del medico di famiglia o dei medici ospedalieri. Questa è medicina con la emme maiuscola, che si avvale dei dati analitici, delle immagini o dei più aggiornati strumenti diagnostici, ma è ben consapevole che questi concorrono alla conferma od all’approfondimento della diagnosi, ma non possono né debbono sostituire la mente del medico.
Quando l’interlocutore gli parla di sé, dei propri problemi di vita, di lavoro, di famiglia, la semeiotica diventa anche semeiotica dell’anima, ed il camice si fa tonaca bianca di un sacerdote della medicina. Memorizza le vicende umane e familiari dei suoi pazienti, vi prende parte, le ricorda minutamente a distanza di anni; se interpellato in proposito esterna la sua opinione, dà consigli, instaurando un legame stretto con loro, che solo l’umanità e l’amore hanno il potere di realizzare.
Migliaia di lettere meriterebbero di essere divulgate e pubblicate, per l’esauriente e spesso commovente testimonianza che offrono della missione – termine una volta tanto non abusato – della quale Luigi si sente investito. Il compito del medico è fare del bene, aiutare il corpo e l’anima; è sentire, comunicare, trasmettere il bello che avvolge la natura umana. Sì: il medico deve essere un Poeta della Scienza.
Nell’impossibilità di citare innumerevoli testimonianze, ne scegliamo due, per l’eloquente rappresentazione della magia del cuore che legava Luigi ai suoi pazienti. Una signora, che giunge in condizioni fisiche miserevoli ed un’afflizione infinita per vicende personali, dice: “…è come se mi avessero messo una telecamera dentro al cuore e all’anima. Mi ha letto cose che non sa e non capisce nessun altro, e addirittura mi ha spiegato cose di me stessa che non riuscivo a comprendere. Un’esperienza sconvolgente che non dimenticherò finché avrò vita”.
Un’altra signora arriva in uno stato di sconforto totale, dato che non le è stata data la minima speranza. Luigi non le nasconde lo stato avanzato della malattia, e si limita a dire: “comunque adesso pensi a curarsi, e poi vediamo di volta in volta come andrà”.
La signora, che aveva attirato lo sguardo di solidarietà di altri pazienti seduti nella saletta d’attesa, tanto evidente era la sua desolazione, accompagnata da Luigi esce dallo studio con gli occhi rossi, un sorriso e, ancor più, un’espressione distesa e pacificata. Sembra un’altra persona. Se prima non pronunciava una parola sola, dopo che la porta dello studio si è richiusa ed è iniziata la visita successiva, esclama: “Mi ha ridato la voglia di vivere. Non me ne frega niente se mi salvo o se muoio tra un mese o una settimana. So che ora mi segue lui e so che farà tutto quello che è umanamente possibile per tentare di salvarmi. Avere conosciuto un uomo così vale la vita. Sono serena”.
Spesso viene invitato a tenere conferenze su impulso di quanti lo hanno conosciuto ed apprezzato, si tratti di allievi, di colleghi, di pazienti. Così il 3 giugno 1983 tiene una conferenza a Trento, presso il Centro W. Reich, su: “Orientamenti patogenetici, risultati terapeutici, aspetti sociali di nuove terapie del cancro”.
Ha già curato diversi malati di Trento, che si sono mobilitati perché anche altri possano avere la stessa opportunità. Tra questi un ragazzone, E.R., affetto da linfoma n.H. e sottoposto a chemioterapia con esiti disastrosi. Alto più di un metro e ottanta, si è ridotto a poco più di quaranta chili e la prognosi è infausta a breve termine. Il padre viene informato da conoscenti, che ne avevano beneficiato, dell’esistenza della terapia messa a punto dal fisiologo. Lo va a trovare portando con sé la documentazione clinica necessaria e torna con la prescrizione ed i farmaci. Ne mette al corrente il primario del reparto di ematologia, fiducioso che di fronte ad un quadro che – gli è stato confessato – non lascia speranza, collaborerà; ma questi risponde con arroganza ed una netta chiusura. Il genitore, esasperato, chiude la porta dello studio, afferra per il bavero il medico, lo spinge verso il balcone e con uno sguardo ed un’espressione inequivocabili: “o lei segue la cura o voliamo giù tutti e due!”.
Il ragazzo – che mentre scriviamo gode di eccellente salute – seguirà la terapia e guarirà completamente, rendendo la propria testimonianza quattordici anni dopo in un’intervista televisiva. Un altro trentino, affetto da istiocitosi maligna e dato per spacciato, si salva con la cura dello scienziato, e si attiverà successivamente per aiutare altri malati a salvarsi. Come in tante centinaia di casi, la diagnosi è indiscutibile, confermata anche da esami istologici ed accompagnata da una prognosi infausta; come indiscutibili sono referti ed esami dopo il trattamento del fisiologo eretico.
Pochi giorni dopo, il pomeriggio del 10 giugno, Luigi tiene una conferenza organizzata dall’Istituto di Fisiologia di Modena, retto ora dal nuovo direttore nominato dopo il pensionamento di Girarrosto: “Ruolo biologico della Melatonina”.
Anche il lavoro di ricerca è ripreso subito nel laboratorio, ora dotato di uno strumentario di tutto rispetto, consentendogli di partecipare in agosto a due congressi che si tengono in Australia. Comunica il primo lavoro, completato con la collaborazione di Deda e Scalera, a Melbourne1, e subito dopo si trasferisce a Sydney, dove presenta il secondo2.
Intanto in famiglia ci sono stati fatti nuovi, e non propriamente positivi. Ciccina si è convinta a sottoporsi ad un intervento per rimediare ad un’ernia e ad un prolasso che la affliggono da molto tempo. L’intervento non presenterebbe di per sé rischi o problemi, e infatti riesce molto bene, ma durante l’anestesia ci sono momenti di panico quando il cuore evidenzia serie irregolarità, tanto che ad un certo punto Pippo, notando l’estremo pallore della madre, teme che la situazione sia perduta. E’ il manifestarsi di una debolezza cardiaca congenita, che alcuni anni più tardi la costringerà al massimo risparmio di energie. Luigi comprende la pericolosità del quadro clinico, e formula una terapia con l’intento di mantenere stabile la situazione, ma occorre che Ciccina eviti sforzi eccessivi, per cui la sorella Citta passa a Modena diversi mesi all’anno.
Anche la salute di Deda fa registrare alti e bassi, con febbriciattole a volte prolungate, spossatezza, eritemi che mortificano il suo aspetto e sicuramente la umiliano come donna. Dopo la morte del padre, che l’ha duramente provata, trova ogni tanto riposo e distensione a Fanano, nella casa di famiglia. Nella località montana si incontra spesso con Adolfo, la moglie ed il piccolo Luigi, dato che questi hanno preso in affitto una casetta dove trascorrere il fine settimana. Più di una volta viene a farle visita anche Luigi, con il pretesto di andare a trovare il figlio: pretesto che reggerebbe se non vi fosse la singolare coincidenza con i periodi nei quali la malattia la prostra particolarmente. Deda interpreta ovviamente queste attenzioni per quello che sono: segni di un profondo amore paterno, manifestato sempre con delicatezza attraverso i fatti e non con le parole, che sono sempre rare, e di regola scherzose, a celare da una parte la preoccupazione, dall’altra la commozione.
In questo periodo si verifica una strana visita in via Marianini, riprova che occhi lontani seguono senza sosta lo scienziato. Forse qualcuno – che ben poco dimostra di conoscerlo – cerca di dargli a credere che nessuno lo prende in considerazione o si preoccupa di lui. Ma non è così.
Un giorno si presenta un personaggio enigmatico che viene ricevuto, come tutti, senza appuntamento, cosa che Luigi ritiene un’odiosa formalità. L’ospite inizia a parlare, dilungandosi sull’attività dello scienziato – che dimostra di conoscere con dovizia di particolari – sulle difficoltà da lui incontrate, le tappe recenti del suo operato come ricercatore e come medico. Luigi dopo un po’ lo interrompe per chiedergli cosa voglia, e l’ineffabile signore, senza darsene per inteso e con un sorrisetto di chi la sa lunga, passa a parlare della vita lavorativa di Pippo e di Adolfo e delle loro famiglie, concludendo: “Professore, vuole un buon consiglio? Lasci perdere: così potrà vivere in pace e godersi la vecchiaia con i suoi figli ed i suoi nipotini!”. Luigi non profferisce parola, si alza, apre la porta ed invita l’emissario a liberarlo della sua presenza. Rimarrà fortemente scosso dall’episodio, che rivelerà ad Adolfo soltanto molti anni dopo.
Il 17 maggio 1984 comunica a Firenze il lavoro relativo ad una prima parte delle ricerche condotte sulle relazioni tra la funzionalità tiroidea e l’assunzione di cibo e acqua3; la seconda parte sarà oggetto della comunicazione a Camerino nel luglio successivo4.
L’appuntamento più significativo è però quello di Pécs, in agosto, dove comunica tre lavori relativi a ricerche alle quali hanno collaborato Deda e L. Gualano5. Di particolare importanza il primo, che individua l’attività biologica della Melatonina nella contrazione di melanosomi e melanociti e un effetto sul tessuto nervoso centrale o periferico, che dimostra il suo ruolo importante nel modulare la trasmissione sinaptica. E’ uno dei pilastri del razionale scientifico alla base del suo impiego – insieme ad altri principi attivi – anche in patologie come forme di sclerosi ed il morbo di Alzheimer.
Il 26 settembre, ad Abano Terme, partecipa al Congresso Nazionale della SINU6. In questo inizio d’autunno soffre di febbri reumatiche che lo accasciano e, se non gli impediscono di studiare e visitare pazienti, lo costringono a rinunciare a trasferte congressuali. Il flusso di visite è ancora aumentato e gli consente di esaminare e trattare non solo le più peculiari patologie neoplastiche, ma molte malattie neurologiche, sclerosi in primis. Oltre che a princìpi attivi già richiamati (citicolina, complesso vitaminico B fosforilato, vitamina E, melatonina, acidi grassi polinsaturi), ricorre anche alla “sostanza P”, sulla quale ha compiuto ricerche formalizzate in una tesi di laurea di parecchi anni prima: ma la sostanza è difficile reperirla, nonostante si tratti di un principio fisiologico che dovrebbe essere a disposizione di ogni medico. E’ una delle tante storture, non casuali, con le quali si deve scontrare giornalmente.
Quel Natale sarà uno degli ultimi relativamente sereni. La Vigilia vede riunita tutta la famiglia Di Bella a casa di Adolfo: Luigi, Ciccina e Citta, Pippo e Adolfo con le mogli ed i loro tre figlioli. Il pianoforte accompagna la nostalgica dolcezza degli affetti e dei comuni ricordi, mentre Luigi guarda incantato il grande Presepe che palpita di piccole luci colorate ed ospita le stesse casette di sughero e gli stessi pastorelli dei frugali presepi di via Cucchiari. L’ultimo dell’anno è celebrato nella casa di via Don Minzoni, presente Giovanni Conti – cumpari Surici… – che Ciccina ha chiesto ad Adolfo di invitare a cena.
Il 1985 si apre con nuovi motivi di preoccupazione sia per Ciccina che per Deda. Ciccina inizia ad accusare sbalzi pericolosi della pressione. Le misure adottate vi pongono rimedio, ma Luigi mostra inquietudine per il futuro.
Quanto a Deda, apparentemente sta bene, frequenta ogni giorno il laboratorio e collabora con Luciano Gualano in ricerche finalizzate alla presentazione di comunicazioni scientifiche in autunno. Lavora come sempre senza risparmiarsi, ed a volte proseguirebbe al di là di quanto le consente la grave malattia che l’accompagna: ma è Luigi a fermarla ed imporle di tornare a casa quando le legge sul viso lo sfinimento.
Il malessere le impedirà di essere presente a due conferenze che lo scienziato è stato invitato a tenere nel bergamasco.
La prima, organizzata dalla USSL 25 di Clusone con la collaborazione del Dr. Giancarlo Minuscoli, è stata sollecitata dai pazienti curati, ormai numerosi e testimonianza vivente dei benefici del suo metodo. Il 23 marzo parte con Adolfo e Maria Letizia, pranza a casa di Giancarlo Minuscoli di fronte ad un bucolico camino scoppiettante, ed alle 17,30 tiene una conferenza sul tema “Etica professionale”, successivamente recepita da una pubblicazione sulla quale abbiamo riferito in altre pagine di questo libro. La seconda conferenza si svolge invece a Bratto, su iniziativa del “Lions Club Città di Clusone Valle Seriana Superiore” e verte sul tema “Linee orientative nella terapia dei tumori”. La mattina dopo Adolfo e Maria Letizia, usciti dall’albergo di buon’ora, lo vedono tornare da una lunga passeggiata, incantato dalle vallate e dai boschi ancora brizzolati di neve.
In agosto, mentre Ciccina è a Messina per sfuggire alla canicola estiva emiliana e ritemprarsi, Deda soggiorna a Fanano, tormentata da una febbricola insidiosa ed un penoso affanno. Luigi va a trovarla insieme a Giancarlo Minuscoli, la cui presenza aiuta a camuffare il vero motivo del viaggio. Qualche giorno dopo sembra essersi ripresa, ma poi i disturbi tornano implacabili. Adolfo la raggiunge con prodotti dell’orto di via Marianini ed alcuni medicinali procurati dal suo professore, “il Prof”, come lei è solita chiamarlo, ma alla fine del mese la situazione sembra aggravarsi. Luigi è preoccupato, non riesce a sopportare l’idea che quella creatura tanto ricca di doti umane ed intellettive, e tanto perseguitata dalla sorte, debba soccombere alla malattia. Sono tante le debolezze funzionali delle quali tener conto nell’adottare misure farmacologiche, e spesso occorre intervenire rapidamente nelle contingenze diverse che si presentano. Nonostante un lento e graduale miglioramento, è fuori discussione che possa partecipare al congresso per il quale è già stato spedito il lavoro oggetto della comunicazione.
E’ una riunione di estrema importanza, il primo congresso internazionale sulla Melatonina nell’uomo. Lo scienziato parte solo per Vienna e presenta le ricerche compiute ad un uditorio attento ed estremamente interessato[ì7. Ma non può fermarsi, come d’uso, per scambiare opinioni e rispondere alle domande dei partecipanti: mentre lui era al congresso Deda si è aggravata e si è reso indispensabile il ricovero in ospedale. L’insufficienza cardiaca, non affrontata tempestivamente con adeguate contromisure, ha ingenerato un edema pericoloso. Nel reparto di cardiologia del Policlinico vengono praticati i primi interventi d’urgenza e la situazione, pur grave, sembra accennare a stabilizzarsi. I problemi si presentano quando viene conosciuta la patologia della quale soffre Deda: allora è tutto un accorrere di camici bianchi che si chiamano l’un l’altro, senza farsi scrupolo di esprimere la loro meraviglia, in presenza della ricoverata, per “un caso di lupus eritematosus” in vita da vent’anni. Già ci si appresta ad eseguire biopsie e “studiare” il caso. Un medico del reparto che è stato allievo di Luigi, non esita a dirgli: “Professore, se la porti via. Qui siamo poco più che macellai!”.
Deda presto fa ritorno a casa, ma il quadro che si è presentato non lascia sicuramente tranquilli. E’ lei stessa a comprenderlo bene, e agisce di conseguenza: di lì a poco trova la forza di lasciare l’uomo che da tempo chiama “il mio moroso”. Un rapporto d’altri tempi, fatto di innocenti tenerezze e rari incontri da adolescenti. L’ancora giovane professoressa associata non ritiene giusto vincolarlo a sé e ad un’esistenza continuamente insidiata dal male.
Il mese successivo tutto sembra essere rientrato e Deda e la madre, insieme a tutta la famiglia Di Bella, trascorrono la sera dell’ultimo dell’anno a casa di Adolfo.
Il 1986 non fa registrare eventi personali di particolare rilievo. In febbraio, a testimonianza dell’attenzione, non sempre benevola, riservata allo scienziato dagli ambienti oncologici italiani, arriva un invito, curiosamente tutto in inglese, a partecipare ad un seminario dal titolo “Malignant Melanoma: Open Problems”, che si tiene a Milano il 15 e 16 maggio. La lettera giunge dalla “European School of Oncology” di Milano …ed è firmata da un noto oncologo che dodici anni più tardi affermerà di non avere mai saputo nulla della terapia del Prof. Luigi Di Bella (e non è difficile capire di chi si tratti, n.d.r.).
In maggio Luigi non si reca a Milano, ma a Firenze, dove comunica su un lavoro frutto di ricerche compiute nel suo laboratorio8. All’inizio di luglio parte per gli Stati Uniti per partecipare al 9° Congresso Internazionale sulla fisiologia della nutrizione, comunicando a Seattle9. Da Seattle raggiunge il Canada, a Vancouver, dove si tiene il trentesimo congresso IUPS. Comunica su una importante ricerca ultimata con la collaborazione di Deda e di altri colleghi10. Qui si verifica un episodio emblematico di fatti similari che si ripeteranno anni dopo. In un articolo della stampa locale, segnalatogli da un congressista, un ricercatore, senza fare menzione dello scienziato, parla dei risultati positivi riscontrati con la somministrazione di somatostatina a malati di tumore. Luigi viene consigliato da un collega di pubblicare subito una rettifica sulla stessa testata. Appare quindi la seguente nota:
“Il Professor Luigi Di Bella dell’Università di Modena, uno dei partecipanti alla conferenza, ha dichiarato allo IUPS Daily News di utilizzare da molti anni la somatostatina nella terapia del cancro, avendone riferito la sua efficacia al Secondo Simposio Mondiale di Atene nel 1981. Il Prof. Di Bella ha già trattato più di un migliaio di pazienti affetti da tumore al cervello o da altri tipi di tumore, con grande successo. Secondo la sua esperienza, la sola somatostatina non è sufficiente, ma deve essere accompagnata da una terapia di supporto che comprenda alcuni prodotti vitaminici”
Del preteso “vate” non si sentirà più parlare!
Deda continua ad archiviare con cura la corrispondenza e ad ordinare i casi clinici fino a quel momento trattati. Alcuni pazienti facoltosi si erano consorziati, di fronte al rifiuto dello scienziato di percepire un pur minimo onorario, ed era venuto così un qualche aiuto, specie per gli abbonamenti a riviste scientifiche, estremamente costosi. La strumentazione, reagenti, sostanze chimiche, animali da esperimento hanno sempre avuto costi da capogiro. Una minuta con data 22 ottobre 1986 testimonia di una richiesta di aiuto rivolta da Luigi ad una grossa azienda del milanese, probabilmente sensibilizzata da qualche paziente o amico. Ma il testo, alla luce delle cifre da capogiro oggi gettate disinvoltamente in ricerche dubbie o sterili, fa molto e molto amaramente riflettere, e rimarrà motivo di vergogna per il mondo intero:
“Sono un professore universitario in pensione; mi sono attrezzato con un laboratorio privato di ricerche esclusivamente biologico-sperimentali dove si potrebbero eseguire alcune interessanti indagini, se avessi i mezzi (e personale soprattutto). La ricerca potrebbe avere un elevato finalismo pratico in un relativamente breve volger di tempo. Potreste voi aiutarmi? Distinti saluti Prof. Luigi Di Bella”
La sua vita in questo periodo è intensa come attività, triste nell’anima. Ciccina fa rilevare un lento degrado di condizioni fisiche e richiede continue attenzioni. Quando una volta Adolfo mostra soddisfazione perché i valori pressori sembrano essersi assestati e non si verificano più i picchi pericolosi di qualche anno prima, il padre gli risponde che questo non è un fatto positivo, ma semplicemente uno dei segni che il cuore fatica a svolgere il suo compito. Quanto a Deda, tra intervalli di apparente stabilità e malesseri quando può continua a frequentare il laboratorio e se gli impegni universitari non glielo consentono lo aggiorna telefonicamente sulle sue condizioni. Viene così a mancare un filtro ed un minimo di programmazione nelle visite, che impegnano Luigi per parecchie ore al giorno. Impossibile d’altra parte chiedergli di respingere i malati che suonano al campanello di via Marianini, sicuri di essere ricevuti anche di domenica.
Il nuovo anno vengono compiute ricerche complesse relative a fenomeni inerenti la produzione di piastrine da parte dei megacariociti e l’influenza determinante della melatonina a questo proposito. Grazie alla disponibilità di nuove apparecchiature, è possibile documentare le varie fasi attraverso diapositive temporizzate in successione. E’ una tappa importantissima della ricerca, che apre nuovi orizzonti alla conoscenza di aspetti fondamentali dell’emopoiesi, e Luigi attende un congresso sufficientemente blasonato per comunicarla. Opta per il congresso di Tübingen, annunciato per i primi di settembre. Il testo del lavoro è formalizzato e spedito per la partecipazione al convegno e la successiva pubblicazione.
In maggio tutta la famiglia si troverà riunita in occasione della prima comunione del figlio di Adolfo e di Giulia, la figlia di Pippo. Si ritrovano in una casa di campagna trasformata in calda e suggestiva sede di azienda agrituristica da uno dei fratelli di Valeria. Adolfo riprende con la telecamera un evento di per sé normale e famigliare, ma che, rivisto a distanza di anni, si tinge di nostalgia e di tristezza. Luigi è seduto accanto a Ciccina, Citta, ai suoi figli ed alle loro famiglie, e vicino siede Deda; mentre dalle finestre entra una luce attenuata dalla pioggerella ed inverdita dagli alberi che circondano tutta la casa, le note del pianoforte suonato dal nipote Luigi sembrano proiettare le scene riprese in un’altra dimensione. Sarà l’ultima volta che tutta la famiglia al completo si troverà riunita fuori dalle mura domestiche.
Alla fine di agosto Luigi aiuta l’allieva a preparare la comunicazione da tenere a Tübingen. Ha sempre cercato di agevolarla nella carriera universitaria, aggiungendo il suo nome al proprio in parecchi lavori, ma adesso è arrivata l’occasione di farsi conoscere direttamente da un uditorio che è di altissimo livello. Deda, che ha migliorato il suo inglese e si prepara a partire per l’Inghilterra per affinare ulteriormente la pronuncia, al congresso comunica brillantemente, seguìta dal maestro che interviene per rispondere alle domande più impegnative rivolte da alcuni congressisti. Il lavoro desta una grande impressione e durante la cena organizzata alla conclusione dei lavori, parecchi scienziati di fama internazionale si avvicinano, chiedono, parlano a lungo. A parte alcuni italiani, tra i quali il Prof. Fraschini, dell’università di Milano e già conosciuto in altre occasioni, e Angeli, dell’università di Torino, il Prof. Derek Gupta, accompagnato dal suo più stretto collaboratore, il Prof. Fedor Freyberg, gli esprime ulteriormente la sua ammirazione e interesse, ma anche condivisione nella valutazione del tempo corrente. Gupta, a parte il prestigio internazionale del quale gode – ritenuto concordemente il più illustre neuroendocrinologo del tempo, fa anche parte dei commissari che propongono nominativi e votano per il conferimento dei premi Nobel – è uomo di grande cultura, letterato, appassionato melomane ed amico intimo del grande violinista Yehudi Menuhin. Tra lui e Luigi si è ormai instaurato un forte rapporto di stima e di amicizia, testimoniato da numerosa corrispondenza. Il lavoro in extenso comunicato a Tübingen sarà pubblicato, prevalentemente per iniziativa di un entusiasta Gupta, su una prestigiosa collana scientifica11.
L’autunno trascorre triste, quasi presago dell’incombente tragedia. Deda è tornata da Cambridge con una ostinata forma di bronchite ed una febbriciattola tenace, favorita dal clima umido e piovoso incontrato. Si rifugia per qualche tempo a Fanano, circondata da monti e vallate che rosseggiano di foglie prossime a cadere. Il fine settimana, se Adolfo e la sua famigliola sono saliti, li va a trovare, si sforza di sorridere e scherzare; ma nel suo sguardo c’è solo l’acquerugiola nebbiosa che bagna i muri delle antiche case del paese. Un pomeriggio di fine novembre incontra Adolfo e Maria Letizia al mercatino di libri nuovi e usati organizzato per le vie del centro di Fanano. Vestita senza cura, infreddolita, sciupata, le palpebre gonfie che occultano gli occhi, cammina curva col fiato corto, come avesse il doppio dei suoi anni. Si sforza di sorridere, di interessarsi a questo o a quell’altro libro, interrotta spesso da una tosse secca e stizzosa. Al momento di congedarsi si rivolge ad Adolfo: “tuo padre si ostina a curarmi, ma io sono stanca sai; sono stanca”.
Luigi vive il momento con apprensione ed angoscia e pur consapevole della gravità della malattia non si capacita della scarsa efficacia dei provvedimenti farmacologici adottati. Quando torna a Modena, passa a visitarla la sera, prima di tornare a casa. Sente prima dalla signora Rossi come è trascorsa la serata e poi visita l’allieva, nascondendo la sua preoccupazione dietro qualche battuta. In aprile Deda riesce a tornare all’università ed al lavoro in laboratorio, ma sta sempre peggio: la cardiopatia congestizia la fa soffrire, mentre si accentuano l’astenia ed il calo di tensione muscolare.
Il pomeriggio del 27 aprile vuole egualmente recarsi in laboratorio, ma le mancano le forze per fare qualsiasi cosa: “Prof., non è che mi accompagna a casa con la macchina? Mi sento molto stanca”.
Prega Luigi di fare un percorso più lungo, in modo da poter “guardare gli alberi in fiore”.
La sera la situazione peggiora repentinamente: l’insufficienza cardiaca, aggravata dalle patologie concomitanti, provoca un edema polmonare ed un contemporaneo blocco renale. Non servono a nulla i diuretici che Luigi le inietta. Torna dal bagno pallida, dichiarando che non c’è nemmeno un accenno di diuresi e si stende nuovamente sul suo letto. D’improvviso un fremito, un girar d’occhi ed il capo si reclina sul cuscino.
Nella notte ormai inoltrata una tempesta di dolore investe Luigi, che singhiozza ai piedi del suo letto, mentre ne compone il corpo. Deda non è arrivata a celebrare il suo quarantacinquesimo compleanno.
Buona parte dei farmaci prescritti dal “prof.” vengono ritrovati in uno stanzino: mai aperti o appena iniziati. Poco tempo dopo si toglierà la vita l’uomo al quale era legata.
Gli torna alla mente un’altra notte di ventidue anni prima, quella in cui Vittorio, il bambino leucemico che aveva tentato di salvare, gli era morto tra le braccia.
Riaffiora l’immagine della figura minuta dell’allieva, di quel gracile passerotto infreddolito che con un sorriso gli aveva confessato, al termine di una lezione, di essere affetta da lupus eritematoso, e della prognosi massima di due anni di vita; sfilano le lunghe giornate trascorse al microscopio, a sgusciare il midollo dalle ossa dei ratti, delle pazienti conte, dell’utilitaria francese sulla quale ironizzava; e poi i viaggi in aereo o in macchina con Scalera e Tarozzi: New Delhi, Vancouver, Seattle, Kioto, Uppsala, Amsterdam, Brema, Monaco, Giessen, Tübingen… .
Aveva trasfuso in lei una parte della sua impostazione scientifica e delle sue idee e si sentiva confortato al pensiero che avrebbe continuato almeno a diffondere l’opera di una vita, a spiegarne i principi basilari; l’aveva plasmata, formata, condotta ad un ammirevole grado di preparazione, tenuto conto della sua laurea in scienze naturali. Ma viene a mancare soprattutto quel tratto ineffabile di femminilità, di pur sobria e silenziosa tenerezza che solo una figlia riesce ad esprimere al padre, circondandone l’anima di un’invisibile scialle.
L’abbattimento del padre preoccupa Pippo e Adolfo, che cercano in ogni modo di stargli vicini. Vuole provvedere lui all’acquisto della bara, una bara bianca nella quale la salma viene adagiata coperta di orchidee.
Contatta anche un orafo in cura presso di lui e gli chiede di dorare tutte le lettere ed i numeri destinati ad essere incastonati sulla lapide. Non riesce a darsi pace e l’unica consolazione è prodigarsi per gli ammalati che vengono a farsi visitare. Carlo Brusiani – ora viene giornalmente in via Marianini – viene incaricato di tagliare cornici per i ritratti di Deda, che lui vuole in ogni stanza del laboratorio, e di reperire una teca di cristallo: questa sarà collocata sulla mensola della finestra dello studio, a custodire per sempre il mazzo di rose che era stato sulla bara fino al momento dell’inumazione al cimitero di Fanano. Nell’atrio d’ingresso del laboratorio viene murato un tondo di marmo a ricordo dell’allieva ed un quadro sul cui fondo di velluto rosso Carlo incollerà tutti i “pass” dei congressi ai quali lei ha partecipato. Si mette subito a scrivere un opuscolo in suo ricordo, lo fa stampare e ne distribuisce le copie tra quanti intervengono alla cerimonia religiosa per il trigesimo. Lo darà a tutti i pazienti che hanno conosciuto Deda.
Adolfo e Pippo lo conoscono troppo bene per pensare che questo dolore devastante possa avere termine in breve tempo e vivono il momento con grande apprensione. Passano i giorni, ma Luigi accusa una tale nausea per il cibo da non riuscire a mangiare nemmeno un boccone, e dimagrisce a vista d’occhio. Non è capace di ingerire nemmeno una goccia di latte, che pure era uno degli alimenti che consumava giornalmente in grande quantità: per tutto il resto della vita lo rifiuterà.
Come già accaduto in occasione della perdita dei genitori e di quella successiva dei fratelli, si trova di fronte al mistero della morte, del significato della vita. Una mentalità eminentemente, ma non esclusivamente scientifica, lo ha portato ad una posizione ibrida nei confronti dell’aldilà: da una parte non riesce ad accettare la concezione religiosa di una vita dopo la vita, dall’altra rifiuta il freddo materialismo che vuole finito tutto dopo la morte del corpo. Conserverà sempre in una tasca della giacca il piccolo crocifisso ligneo di mamma Carmela e sulla scrivania ne vorrà sempre un altro, regalatogli da un ammalato. Vede nella vita e nella passione di Cristo una metafora troppo evocativa dell’esistenza umana, e soprattutto troppo vicina ai suoi sofferti ideali umanitari, per non rimanerne conquistato e convinto.
Dobbiamo all’amica Giuliana Salmon, che si terrà a contatto con lui fino all’ultimo giorno di vita, la trascrizione di pensieri e considerazioni emersi nel corso dei loro colloqui. Alcuni si riferiscono proprio alla sua concezione della religione cristiana, delle altre religioni, della fede:
“Quando leggo le pagine di Renan sulla Cena, sull’Agonia, devo essere solo, perché mi commuovo fino alle lacrime”
“Cristo liberatore dell’uomo da ogni legalismo, schiavitù, potere, moralismo. Cristo ‘libero’ dal sabato, dal potere sacerdotale”
“La rovina di tutto sono le religioni sempre in guerra fra loro e i legulei con i loro cavilli giuridici. Quanto sarebbe meglio se il mondo fosse retto dai naturalisti! Il senso religioso, però, inteso come vivere ‘in profondità’, inteso come anelito all’infinito, è innato in ogni uomo”
“Ho l’impressione che le chiese cristiane abbiano, in gran parte, perso il senso del mistero, il silenzio, la contemplazione, in una parola la mistica. Sviluppando la dimensione orizzontale della vita, accentuando gli aspetti assistenziali e politici, hanno impoverito il messaggio, ignorato il nostro ricco patrimonio mistico. La stessa bellezza del culto è spesso trascurata, o ridotta a folklore. Così, non trovando dove dissetarsi, l’uomo occidentale cerca altre sorgenti. Se a ciò si aggiungono le norme morali discutibili che i giovani cristiani si sentono imporre come assolute, non meravigliano le fughe. Basterebbe, forse, che il mondo cristiano riscoprisse i valori del proprio filone mistico, da S. Angela da Foligno a Caterina da Siena, da Teresa d’Avila a Giovanni della Croce, da Taulero a M. Eckart”
“Anche riconoscendo i tesori delle religioni asiatiche, ritengo che mai potranno essere trapiantate nella nostra cultura occidentale così razionale e radicata nella concretezza storica. Le religioni asiatiche sono al di fuori della nostra storia, con tutte le conseguenze pratiche che questo comporta. La tradizione ebraico-cristiana, invece, si muove profondamente nella storia. Ho sempre sognato un incontro fra Occidente e Oriente, nel reciproco scambio di valori: noi occidentali dovremmo imparare il silenzio, l’ascesi, la contemplazione; l’uomo orientale dovrebbe apprendere l’impegno nel sociale a favore di chi soffre”
“L’umiltà vera di papa Giovanni XXIII mi affascina. Basta guardare il suo viso per coglierne tutta la bontà”
“Francesco d’Assisi è così sincero, così autentico! Lui non ha recitato! Francesco che si umilia e fa il giullare per raccogliere offerte per ricostruire San Damiano; Francesco che si riveste di un saio alla presenza di tutti; Francesco che si presenta al Papa stesso… . Il francescanesimo è la parte più sana, più viva della cristianità”
Da un certo angolo di visuale, ci sarebbero state per lui tutte le ragioni per allontanarsi dalla fede e aderire ad una concezione di vita afinalistica ed affidata unicamente alla casualità. Ma proprio il dolore e la sofferenza di tutta la sua vita lo avvicinano non solo ad una concezione astrattamente possibilista, ma ad una visione “religiosa”, seppure aconfessionale. Cristo incoronato di spine, flagellato, proposto per il baratto con un malvivente, deriso, coperto di sputi, crocifisso, non è altro che la rappresentazione metaforica di ogni uomo che, sconfitti egoismo ed egocentrismo, protenda tutto se stesso verso la bellezza del creato ed il bene dell’umanità. Forse non immagina ancora che gli è riservato il privilegio di percorrere il tratto più doloroso di questo itinerario.
San Francesco appare come figura prevalente del suo ideale di cristianità vissuta: ancora piccoli i suoi figlioli, ha fatto legger loro una vita del poverello d’Assisi, commentandone spesso gli episodi salienti. Detesta il clericalismo, e sconcerterà a volte gli interlocutori più superficiali, che non riusciranno a conciliare la sua critica severa alla santa inquisizione, all’educazione clericale, al formalismo religioso, con il rispetto e l’ammirazione per gli ideali religiosi più autentici ed elevati.
Tra gli autori per i quali nutre un’autentica venerazione c’è un grande scrittore cattolico: Alessandro Manzoni. Anche dopo la fine dei loro studi, descriverà a Pippo e Adolfo, con commossa partecipazione, le pagine relative alla conversione dell’Innominato, da lui considerate tra le somme manifestazioni della letteratura mondiale. Non vogliamo improvvisarci psicologi, ma ci sembra che l’attrazione quasi ipnotica che prova per questo ed altri capitoli del capolavoro manzoniano sia rivelatrice del suo travaglio interiore. In lui non è ovviamente il rimorso a costituire motivo di angoscia, ma la tormentosa ricerca della verità suprema. Il suono delle campane, l’osservare folle di fedeli dirigersi verso la chiesa e, infine, l’abbraccio consolatore del cardinale Borromeo descritti nelle pagine manzoniane, evocano dal profondo della sua anima tutta la fame di amore e di pace.
Non manca qualche episodio arcano, pure non raro nella vita di tante persone, che indubbiamente scuote e fa pensare. Un pomeriggio confida ad Adolfo, che lo va a trovare giornalmente, quanto gli è accaduto. Negli ultimi tempi – gli dice – aveva fatto duplicare la chiave della porta d’ingresso per Deda, affinché lei non rimanesse ad aspettare al freddo nel caso in cui si fosse assentato per qualche commissione o, impegnato magari al telefono, non avesse sentito il campanello. Qualche sera prima ha sentito nettamente la chiave girare nella toppa, il pesante portone chiudersi e, accorso, non ha visto nessuno. “Mi sono rizzati i capelli in testa” gli confessa.
Facendo ricorso a tutta la sua forza di volontà partecipa a due congressi. Il primo, a Hong Kong all’inizio dell’estate, è un appuntamento di grande importanza: si tratta del “Satellite Symposium” dell’ottavo congresso mondiale di Endocrinologia, incentrato su melatonina e ghiandola pineale. Nella sua comunicazione12 insiste su concetti altre volte esposti: la melatonina è uno strumento indispensabile ma non sufficiente per contrastare leucemie e tumori, la sua azione è generale. Integra ed é integrata da sostanze come retinoidi, somatostatina, Acth, Alfa-Msh, inibitori della prolattina, in grado di attuare una progressiva riduzione della crescita tumorale ed assicurare una buona qualità di vita senza necessità di altri tipi di trattamento. Inoltre, di per sé, la Mlt favorisce la prevenzione di metastasi. Nel corso dell’esposizione conia il termine di “Terapia Biologica dei Tumori” per il suo Metodo: terminologia che, anche questa, gli verrà disinvoltamente involata per applicarla a strumenti che di biologico hanno assai poco.
Il secondo congresso, il 26 settembre ad Alghero, è una riunione congiunta SIBS, SIF, SINU. La sua comunicazione riguarda l’effetto della Melatonina nella funzione cardio-circolatoria13. Di lì a poco giunge a Luigi il volume editato da Gupta, Attanasio e Reiter nel quale è riportato il suo lavoro di Tübingen “Melatonin in Thrombocytogenesis”. Con riferimento alla comunicazione di Amsterdam, Reiter scrive:
“Di Bella e allievi (1979) in Italia usano da anni la melatonina nell’uomo per curare vari tipi di neoplasie. Nella pubblicazione citata e nel corso di un colloquio personale con questo scienziato egli ha rivendicato notevoli successi specialmente nel trattamento di tumori del sangue. Sfortunatamente questa esperienza è stata raramente studiata serenamente e, per lo più, è stata trascurata dalla comunità scientifica14”
Quest’ultimo inciso si concilia perfettamente con quanto Luigi avrebbe scritto in un libretto stampato in occasione del terzo anniversario della scomparsa di Deda15.
“Dovunque possibile, abbiamo esposto i nostri risultati, notando una diffusa freddezza, incomprensione, addirittura ostilità. Le ragioni di questo atteggiamento sono numerose e non tutte confessabili. Quando al ritorno dai congressi facevo con Deda l’epicrisi dei risultati, spesso rimanevamo dolorosamente meravigliati al constatare l’ignoranza di elementi di Fisiopatologia, da parte delle personalità più in vista per iniziativa, per eleganza di loquela, per complessità di ricerche, purtroppo sterili”
In queste tre frasi sono colte le vere ragioni della crisi che travaglia la scienza contemporanea: ignoranza e mancanza di un orientamento fisiologico associate ad una sofisticazione tecnica magari ammirevole, ma inconcludente.
Nel silenzio del laboratorio, interrotto solo dalle visite del mattino, Luigi ripensa incessantemente alla tragedia appena consumatasi. “Mi adopererò col massimo delle mie forze, nella disperata solitudine che m’incombe ora, almeno per ridare pace, salute e benessere a tanti infelici… .Ringrazio la Provvidenza per avermi dato come figlia adottiva questa meravigliosa creatura” scriverà nel libretto citato.
Quella Vigilia di Natale trascorrerà forzatamente triste, e lo vedrà sforzarsi di apparire loquace come sempre nell’occasione. Pippo e Adolfo fingono di credere ad un superamento del dolore provato, che si intimizzerà gradualmente senza scomparire mai. Ma la preoccupazione più viva, quella di un danno alla sua salute in seguito ad un digiuno totale di un mese intero, è scomparsa.
Gioca un ruolo importante la vicinanza degli amici, dei veri amici, non di quelli che si spacceranno per tali nel periodo della notorietà e scompariranno, o in qualche caso dovranno essere allontanati, dopo averlo ben sprimacciato. Giancarlo Minuscoli lo va a trovare spesso con la moglie Lina. Sono una coppia splendida, splendidamente assortita, e saldata da un meraviglioso amore coniugale allietato da tre figlie: Silvia, Elena e Laura. Entrambi sono “fabbricati” per diventare tra i pochissimi intimi amici di Luigi. Giancarlo ha un carattere schietto, quando il caso impetuoso; è un uomo, un vero uomo, che si batte per le sue idee e non si lascia intimorire da nessuno. Dalla generosità proverbiale e dedito al bene del prossimo, nella sua condotta diventa una figura quasi leggendaria. Gli basta sapere che qualcuno è in difficoltà, ha problemi seri, è avvilito, che senza peli sulla lingua e senza parole inutili chiede e provvede. Salvo poi ringraziare le persone soccorse nella difficoltà per avere accettato il suo aiuto. Come medico appartiene alla razza ormai in estinzione o estinta dei medici che visitano, eccome visitano. Le sue diagnosi sono sempre di grande finezza, i suoi rimedi a lungo ripensati e valutati. Se un paziente lo contatta ad ora avanzata, o nelle giornate festive, o magari quando è a tavola con la famiglia, ha sempre precedenza su tutto e tutti. Non di rado, anche di sera, prende la macchina e affronta magari cento chilometri di strada per raggiungere il malato, con Lina accanto che veglia contro eventuali colpi di sonno. Luigi ammira anche la sua cultura, la condivisa passione per la lirica, il suo limpido italiano.
Lina è l’angelo custode di Giancarlo, che ne tempera l’occasionale impetuosità d’indole. Nasconde l’acuta sensibilità dietro un fare pacato, riflessivo e di grande compostezza. Lo comprende sino in fondo e lui se ne rende perfettamente conto. E’ difficile che Giancarlo, parlando con amici, non faccia parecchie volte il nome di Lina. Luigi ha grandissima stima anche di lei, ne apprezza la finezza d’intelletto, la squisita educazione, il molto fare ed il poco dire. Entrambi considerano lo scienziato un secondo padre e capiscono perfettamente chi abbiano di fronte; a sua volta Luigi ne percepisce la devozione e l’affetto, parla con loro senza remore, confidando i progetti più riservati, le sue idee, le amarezze, le tristezze. Apprezza immensamente anche il loro culto della famiglia, unico rifugio d’amore contro le intrusioni, a volte brutali, del mercantilismo suadente della triste nostra epoca.
Alcuni anni prima Giancarlo è stato colpito da un grave infarto. Lina è riuscita, con la forza d’animo che possiede, a tranquillizzarlo, accompagnandolo all’ospedale, e telefonando subito a Luigi. Dopo qualche giorno, finito il periodo degli interventi d’urgenza, Lina raccoglie diligentemente i dati delle analisi ed i parametri cardiocircolatori, oltre ad annotare i farmaci posti sulla mensola perché Giancarlo li assuma. Esce silenziosamente, raggiunge il telefono pubblico e ragguaglia con precisione lo scienziato della situazione, annotando quali farmaci egli ritiene utili, quali da sostituire, quali da aggiungere. I medici del reparto di cardiologia osservano gongolanti i progressi del collega ricoverato, celando a fatica la soddisfazione per la loro bravura. Non sapranno mai chi, in realtà, è il padre dei miglioramenti registrati da Giancarlo. Tanti, quindi, i tratti che accomunano i due coniugi allo scienziato. Tra questi, basilare, il disinteresse per il denaro.
Molto vicini sono pure Luigi e Liliana M., memori e grati di quanto lo scienziato ha fatto per loro e per uno dei loro figlioli, salvato, come abbiamo avuto occasione di dire in un precedente capitolo, da un linfoma maligno.
Una presenza assai gradita allo scienziato e che costituisce anche un ponte verso il passato, è quella di Gianni Cuoghi e della moglie Angela. Gianni Cuoghi è laureato in scienze agrarie e ha nozioni di chimica che gli consentono di seguire, più di altri, argomenti sui quali Luigi si intrattiene spesso. Lo vanno a trovare nel tardo pomeriggio, quando sono più sicuri di non trovarlo impegnato con pazienti, si siedono sulle poltroncine di velluto amaranto e si trattengono a parlare, sempre attenti alla sua stanchezza e a non interromperlo nello studio, al quale si dedica prevalentemente di sera, quando è solo. Adolfo li incontra spesso quando uscendo dal lavoro va a trovare il padre: appena arriva, Angela e Gianni si alzano ed è difficile convincerli a rimanere. E’ una delicatezza nei confronti dell’amico e del figlio. Al ricordo di quei tempi sono queste, e pochissime altre presenze, a fare dimenticare tanti parassiti e sfruttatori che compariranno tra qualche anno.
La scomparsa di Deda non poteva non incidere sull’attività di ricerca sperimentale. Non si tratta solo di un fattore emotivo, ma di materiale carenza di collaboratori, indispensabili per eseguire le sue direttive. Progetta di scrivere una monografia sul suo Metodo, ormai messo a punto ed ampiamente collaudato. Non riuscirà mai a completarlo. Testimonianza del suo fermo proposito rimangono una settantina di pagine, delle quali ha già curato la versione in inglese, ed una bozza tipografica, con la copertina che recita: “Luigi Di Bella – Maria Teresa Rossi: New Trends in Cancer Therapy”. Un omaggio alla memoria dell’allieva, magari un po’ forzato, dato che Deda, nonostante le sue indubbie qualità, non aveva avuto parte alcuna nell’ideazione del Metodo.
Naturalmente scrivere un libro come questo comporterebbe un lavoro immenso, stante il suo rigore e l’indispensabile consultazione di migliaia di articoli e libri scientifici. Occorrerebbe un aiuto concreto, per ridurre le perdite di tempo nella ricerca di spunti bibliografici e ordinare e catalogare il materiale esistente, da parte di chi avesse almeno una infarinatura scientifica ed una discreta conoscenza dell’inglese tecnico: ma persone che negli anni successivi non esiteranno a presentarsi grottescamente quali “allievi”, “collaboratori”, “continuatori”, si guarderanno bene dal dare una mano.
Prosegue invece la fitta corrispondenza con i ricercatori conosciuti precedentemente nei numerosi congressi internazionali ai quali ha partecipato, ed al tempo stesso gli giungono numerosi inviti a tenere conferenze su diverse tematiche scientifiche. Ad esempio, il 7 maggio 1989 i Lions Club di S. Pietro a Casale (Bo), organizzano per lui una conferenza sul tema “Educazione alimentare, per vivere sani e a lungo”. Sono presenti Pippo, Adolfo e le loro mogli. In quella solare domenica di maggio Luigi si sente meno solo, più sostenuto non solo dall’interesse della gente, ma dall’affetto dei suoi figli, e incanta l’uditorio.
Dopo avere comunicato in un congresso internazionale ad Helsinki16 i primi di luglio, lo attende un ulteriore distacco, quantomeno materiale: Ciccina, che per il periodo estivo era partita con Citta per Messina, versa in cattive condizioni di salute. Il cuore funziona quel tanto che basta per una conduzione di vita eminentemente sedentaria. Luigi la raggiunge in occasione di un convegno Sibs, ed il tre settembre festeggiano insieme i cinquant’anni di matrimonio. Tanti ne sono passati da quella lontana mattina nel villino Runci, quando la vita sembrava offrirgli una quasi infinita messe di allettanti prospettive.
Al ritorno, non nasconde ai figli la delicatezza delle condizioni della madre e le relative preoccupazioni che nutre. Ha lasciato una complessa prescrizione, raccomandando la massima attenzione nell’evitarle ogni tipo di affaticamento: ma di viaggiare, per lei, non è nemmeno il caso di parlare.
La casa di via Don Minzoni diventa così silenziosa, derelitta, avvolta nel buio delle serrande calate tranne i pochi minuti nei quali Luigi, al mattino, rifà il letto, apre la finestra dello studio dove dorme, e si fa la doccia. Impossibile cercare di convincerlo a tenere acceso il riscaldamento. Risponde che non si sentirebbe sicuro, dovendo rimanere assente tutto il giorno. Inforca la bicicletta o, raramente, si serve della vecchia Bianchina, e verso le sei del mattino è già per strada diretto a Marianini. Quando torna, a tarda sera, mette nel letto gelato un cuscino termico e, nelle giornate dal freddo più intenso, accende nello studio un termosifone elettrico e nel bagno un ventilatore ad aria calda. Nulla di più. Solo dopo lunghe insistenze Adolfo riuscirà a strappargli il permesso di andare una volta la settimana nella vecchia casa di famiglia a fare un po’ di pulizia nelle altre stanze: quanto al bagno ed allo studio, Luigi vi provvede giornalmente.
Nell’autunno del 1989 giunge un’indiscrezione clamorosa, proveniente da fonti autorevoli: la sua candidatura al Nobel per la medicina. Purtroppo dal 1946 l’organizzazione del Nobel ha cessato di riportare nei suoi documenti ufficiali le proposte per l’ambito premio ed anche quando, anni dopo, si cercherà di ottenere questa informazione, i responsabili della prestigiosa istituzione si trincereranno dietro al nuovo regolamento. La notizia peraltro giunge anche ai mass media e ad ambienti medici. L’entusiasmo di Gupta, la sua autorevolezza, i suoi contatti internazionali devono essersi fatta strada, senza riuscire – come scontato – ad avere ragione di entità che influenzano chi ha diritto di attribuzione o di veto.
Alla fine di dicembre Luigi viene avvertito che è stato insignito di un premio diverso, ma di particolare valore personale ed etico: il “Premio della Bontà”, destinato annualmente ai modenesi che si distinguono per la loro attività a favore di chi soffre. Ormai sono di dominio pubblico il disinteresse con cui ha sempre svolto la sua opera di medico e l’umanità con la quale si rapporta con i pazienti, e poco possono le laide calunnie, diffuse per contrastare la stima e l’affetto della gente, da ambienti medici e da istituzioni che dovrebbero tutelare ed assicurare l’etica professionale…
La notizia della candidatura al Nobel comunque filtra dall`omertoso olimpo della medicina e giunge anche ad una dinamica televisione regionale, che intervista Luigi venerdì 5 gennaio 1990, il giorno precedente quello stabilito per la cerimonia di conferimento del premio. Destano interesse i punti salienti dell’intervista.
Il giornalista gli chiede di riferire sulla sua terapia “basata su melatonina e …somatostamina(?!, n.d.r.)”, dice, subito fulminato da una smorfia di Luigi.
Luigi Di Bella – “Ho definito la mia terapia come terapia biologica dei tumori all`ultimo congresso ad Hong Kong. Biologica perché si fonda sull`adozione di sostanze che hanno una squisita funzione biologica. Si tratta non solo delle due sostanze da lei citate, ma di un complesso di sostanze, come per esempio vitamina E, retinoidi, vitamina D, inibitori della prolattina, anche se il perno della terapia biologica dei tumori è in certo senso costituito dalla melatonina e dalla somatostatina”
Giornalista – “La melatonina è un ormone, vero Professore?”.
Luigi Di Bella – “La melatonina è un ormone, che si ritiene essere increto dalla pineale, ma che secondo me è formata in tanti altri distretti dell`organismo”.
Giornalista – “E la somatostatina?”.
Luigi Di Bella – “La somatostatina viene formata in una struttura del sistema nervoso centrale, nell`ipotalamo, viene condotta all`ipofisi e blocca la formazione dell`ormone della crescita”.
Gli viene chiesto poi degli esiti rilevati dopo l`applicazione della terapia.
Luigi Di Bella – “I risultati debbo dire che sono buoni, a meno che il paziente non mi venga portato in extrema ratio e comunque migliori, ritengo, di quelli raggiungibili attraverso altri metodi”.
Il giornalista osserva quindi come la principale difficoltà nel seguire la terapia sia il costo elevato.
Luigi Di Bella – “Una delle difficoltà è il costo, ma l`altra sta nella impossibilità di far capire alla classe medica le basi biologiche di questa terapia. Formato, com`è, su basi totalmente diverse, il medico non può che seguire le metodiche tradizionali. Per questo motivo io sono considerato, sotto questo profilo, quasi un fuorilegge”.
L’intervistatore, dopo avere affrontato l`argomento del “Premio della Bontà”, che sarebbe stato conferito il giorno successivo, aggiunge:
Giornalista – “L`ultima domanda è sulla sua candidatura al premio Nobel per la medicina. Si fa il suo nome per questo premio che è il più importante a livello mondiale. Un suo giudizio”.
Luigi Di Bella – “Ritengo che non avrò mai il premio Nobel, per tanti motivi. Sono troppo isolato per poter aspirare ad un riconoscimento tanto prestigioso. Però, che ci siano delle premesse nel senso dell`originalità delle ricerche e delle proposte, e dei risultati ottenibili, come da statuto del Nobel, non lo posso negare”.
La mattina del giorno dopo, sabato 6 gennaio 1990, c`è freddo ed i margini delle vie sono impellicciati dalla neve caduta qualche giorno prima. Luigi invita ad andare con lui il secondo Luigi, figlio di Adolfo, e con la fedele Bianchina si avvia, seguito dallo stesso Adolfo e da Pippo, verso Villanova, una frazione a qualche chilometro da Modena. Nella chiesa affollata assiste alla Messa. Al termine della funzione. Don Sesto Serri motiva il conferimento del premio, che viene consegnato dal Dr. Walter Boni, Procuratore della Repubblica di Modena: si tratta della riproduzione di una Madonna bizantina, incorniciata in argento, tuttora esposta nel laboratorio di via Marianini. Luigi, con il logoro impermeabile d’ogni giorno, una sciarpa antracite al collo, sosta con gli occhi pieni di lacrime, un mazzo di rose sotto braccio e la cornice protesa verso la folla che in piedi applaude, ringraziando con brevi ed impacciati cenni del capo. All`uscita si trattiene qualche minuto con figli e nipoti, con Vigildo Ferrari ed altri ex allievi, e quindi visita la Mostra dei Presepi che è stata allestita nella canonica, un po’ per assaporare la poesia arcana del Natale, un po’ per placare la commozione. Considererà il Premio della Bontà come il riconoscimento più gratificante della sua vita.
Giunge anche uno strano biglietto d’invito, questa volta non in inglese e scritto a penna: è stato vergato da un celebre oncologo milanese, da sempre assai bene introdotto negli ambienti che contano, e sicuramente al corrente della candidatura al Nobel. Il biglietto recita:
“Egregio professor Di Bella, sono lieto di invitarla al party che si terrà a Milano, presso [omissis] il giorno […] alle ore […] . Così lei mi spiegherà come si curano i tumori”.
Da una parte c’è l’interesse a conoscere l’ideatore della terapia prescritta a non pochi pazienti passati per indagini e controlli presso un celebre istituto milanese e le cui remissioni lasciano tutti a bocca aperta (ma ben chiusa quando si tratta di riferirne in ambiti medici); dall’altra la sarcastica degnazione di un personaggio – azzimato, sorridente, ricco e potente – nei confronti dell’anonimo straccione, insieme alla stizza di dover manifestare interesse per la sua terapia.
La risposta di Luigi dimostra che ha compreso bene i contrastanti sentimenti dell’augusto personaggio e colto il suo rancido sarcasmo:
“Egr. Prof. [omissis], la ringrazio per l’invito, ma impegni pregressi non mi consentono di partecipare. Non ho invece difficoltà a rispondere alla sua domanda su come si curino i tumori: i tumori si curano stando chini sul microscopio e non partecipando ai party. Ossequi Luigi Di Bella”.
Una scudisciata che il celebre oncologo, peraltro dotato di britannico self control, è costretto ad incassare.
La vicinanza dei figlioli e dei veri amici, insieme alla volontà di proseguire in un percorso scientifico ed umanitario, consentono la ripresa della ricerca: come possibile, in rapporto alle risorse materiali e personali. Si conducono così esperimenti che sfoceranno in un lavoro importante, relativo alla fisiologia dell’emopoiesi.
Due gruppi di cavie vengono mantenuti per un periodo da 30-45 a 189 giorni all’esposizione della luce, uno per dodici ore al giorno, l’altro in permanenza. Quindi, il sangue dei ratti viene estratto in narcosi dal cuore dell’animale e le misurazioni di piastrine e di sero-proteine sono effettuate grazie ad un strumento elettronico conta-piastrine ed uno spettrofotometro.
Emergono alla fine risultati significativi, specie per gli animali rimasti esposti per il tempo più lungo alla luce, che presentano emorragie a causa della inibizione sulla produzione di melatonina.
Il lavoro viene redatto, corredato di tabelle e materiale dimostrativo e spedito per il congresso internazionale del quale gli è arrivato l’invito a partecipare.
Il primo settembre parte in aereo, insieme a Giancarlo e Lina Minuscoli, diretto a Guildford (contea del Surrey, nel sud-est dell’Inghilterra, n.d.r.), dove si tiene il quinto congresso EPSG. Il 2 settembre la sua comunicazione, presenti Reiter e Gupta, viene accolta con grande interesse e Luigi torna tonificato nell’animo17. Reiter nell’occasione gli tributa pubblici elogi, definendolo davanti all’uditorio “il padre della melatonina”. Poi, mentre i congressisti sono riuniti per la cena prevista, lo prende in braccio senza difficoltà – lui omone di notevole statura e stazza – dicendo ad alta voce “piccolo, grande Luigi”.
Luigi non si sente in verità gratificato da questi slanci confidenziali, incoraggiati forse da qualche libagione di troppo, ma con un sorriso mostra di accettare il gesto di affettuosa amicizia. E dire che poco prima si era verificato un episodio, al quale hanno assistito Giancarlo e Lina, che avrebbe potuto urtare la suscettibilità del ricercatore statunitense! Durante la discussione seguìta alla comunicazione di Luigi, Reiter, seduto accanto ad uno scienziato francese di notevole caratura, dice al suo vicino che vuole intervenire, volendo fare un’obiezione sul merito di una risposta data dal Prof. Di Bella. Il francese lo trattiene mettendogli una mano sulla spalla, e gli dice: “lascia perdere: ‘quello’ è troppo grosso per te!”.
Ma si ingannerebbe chi, leggendo di questi eventi e della legittima soddisfazione che poteva derivarne, pensasse ad un rasserenamento nella sua vita. Una regola alla quale ha intonato l’esistenza (e che ha posto alla base dell’educazione dei suoi figli) potrebbe coagularsi nel motto: “sempre avanti”: mai rimirarsi allo specchio, mai compiacersi del ben fatto, mai accontentarsi di un risultato, per quanto notevole; é non solo possibile ma doveroso fare di più. Casomai, guardare alla strada percorsa serve a coesistere pacificamente con la propria coscienza, il cui ruolo dev’essere quello di severo giudice di se stessi.
Ama la solitudine, anche se ne sente tutto l’amaro. La considera in un certo senso il male minore. Nelle lunghe sere solitarie, pur interrotte da numerose telefonate, gli sfilano davanti il suo passato, le tribolazioni della povertà, l’incomprensione della famiglia d’origine, le prepotenze subìte; ed al tempo stesso Ciccina, il viso dei suoi bimbi, il calore di una casa prima popolata di voci e movimento, ora fredda e silenziosa. Pippo e Adolfo hanno la loro famiglia e lui ha un rispetto ed una discrezione addirittura eccessivi. Non accetta inviti a pranzo per non creare disagio e – secondo il suo punto di vista – disturbare la loro intimità familiare.
La solitudine che percepisce non appena si concede una breve pausa dallo studio o dal lavoro lo avviluppa come per spire di nebbia, e i radi rumori – una macchina che passa, voci per la strada, lo scricchiolio del legno di un mobile – accentuano ulteriormente la tristezza. Unico fuoco, come d’ocra e rosso di camino acceso, l’immagine dei figli circondati dal tepore degli affetti domestici. E’ la cifra della sua vita: medicare la pace negatagli dal destino attingendo tacitamente e a distanza alla serenità altrui.
Le eccezioni a questo rigido senso della discrezione saranno sempre poche e per lo più nel periodo delle festività natalizie. L’amore per i figli è sempre intensissimo e si rivela inevitabilmente in ogni occasione. Eventuali appunti, ove il caso, è lui a muoverli, parlando con i pochi amici intimi: ma guai a chi, amico o conoscente, si azzardasse a fare qualche commento anche vagamente critico; salvo gongolare, senza riuscire a dissimulare la sua soddisfazione, se ne sente tessere le lodi. Ipercritico nei confronti di Pippo, in quanto medico, si gode gli elogi che ne fanno pazienti o colleghi come un gatto fa le fusa alle carezze del padrone. Quando il Prof. Canciullo, prima che Pippo lasciasse l’Ospedale Maggiore per diventare libero professionista, gli ha detto che determinati interventi delicati preferisce affidarli a lui, racconta l’episodio ad amici ed ai pazienti con i quali ha maggiore dimestichezza. Una volta che il figlio maggiore lo aiuta in un intervento su un ratto, si attarderà, parlando con Adolfo, sulla sua perizia chirurgica: “con movimenti delle mani che neanche si vedevano, in quattro e quattr’otto e senza una goccia di sangue ha fatto quello che io sarei riuscito a fare sì e no in mezz’ora, e male”.
Ma, figli a parte, continua a concepire a senso unico la vicinanza con il prossimo: fatta di dare quale avere, di avvicinarsi lui, ma non consentire lo facciano altri.
Dal 1989, il sabato immediatamente antecedente o successivo al 28 aprile, morte di Deda, fissa la data per una cerimonia religiosa in sua memoria a Fanano, alla quale partecipano Pippo con Adolfo e le loro famiglie, amici, pazienti. Ben pochi – osserva con tristezza – gli ex colleghi di Deda. La funzione religiosa si svolge sempre nella chiesetta vicina alla casa dell’allieva, mentre terrà diverse conferenze in una sala messa a disposizione nel Monastero delle Cappuccine, attiguo alla Chiesa Madre. Qui un recinto racchiude la vasta area erbosa, ombreggiata da giganteschi abeti, che sale in direzione della frazione di Fellicarolo. E’ una gioia degli occhi salire per il “fondovalle” rosato a chiazze dalle ultime fioriture primaverili, veder fumare camini di casolari isolati, succedersi vallate fitte di boscaglia. Diventerà l’occasione per ricordare Deda, ma anche per illustrare le sue idee a un uditorio sempre più folto, anno dopo anno. Minuscoli e Lina, come Luigi e Liliana M., i coniugi La Stella e tanti altri amici sono ospiti fissi.
La domenica, bello o cattivo tempo, prende la sua Bianchina o la nuova Fiat Punto che ha acquistato, ed alle sei del mattino parte per Fanano. Porta con sé un fiascone di vetro verde nel quale raccogliere l’acqua pura di sorgente che sgorga dai quattro visi di bronzo, infissi ai lati della fontana nel centro della piazzetta principale. Ha già familiarizzato con la fioraia del paese, la signora Pia che, pur mattiniera, non aprirebbe certo il negozio alle sette del mattino, ora nella quale Luigi posteggia nella piazzetta e viene a comprare i fiori: in genere rametti di orchidee. Poi ripone i fiori in macchina, raccoglie l’acqua e va al cimitero munito di scopa, di una scaletta, del necessario per pulire e lavare la lapide. Ben presto sia i frequentatori del cimitero che i paesani imparano a riconoscere anche da lontano quell’impermeabile sormontato dal candore dei capelli e più d’uno lo avvicina per scambiare qualche parola o chiedere consigli medici, quando non una visita. La risposta classica “venga quando vuole” risuonerà infinite volte tra le pietre dell’antico borgo. L’ultima tappa è dal fornaio, dal quale acquista una ciabatta ancora calda ed un po’ di pecorino. Quando arriva in Marianini il sedile ed i tappetini sono pieni di molliche del pane che sbocconcella guidando.
Queste trasferte domenicali, seppure originate dal cordoglio e dalla volontà di ricordare l’allieva, costituiscono pur sempre una delle poche occasioni per vedere qualcosa di diverso dai solitari muri del laboratorio, ammirare lo splendore della natura, ritrovarsi in un mondo che si è mantenuto più sensato, saggio, riflessivo, poetico di quello ormai artificioso e squallidamente routinario della città. Per quasi quindici anni, salve poche forzate eccezioni, ogni domenica la comoda strada che costeggia il discendente Panaro vedrà la sua macchina grigio scuro sfrecciare verso il paese appenninico.
La monografia alla quale sta lavorando procede lentamente, interrotto com’è dalle visite giornaliere e dalla volontà di farne un’opera inattaccabile da ogni punto di vista. Come confida ai figli, nel corso dei loro frequenti colloqui;
“ […] a volte per scrivere mezza pagina devo leggere per giorni interi e mettermi in testa centinaia e centinaia di pagine. Più si studia, più si scopre quanto siamo ignoranti […] ”.
Forse è per questo motivo che tanti suoi “colleghi” usano la massima diligenza nell’evitare simili traumi…
Parte di questa sfibrante attività di studio e di riflessione viene trasferita nel testo di lavori presentati in congressi internazionali. Così accade nel luglio del 1991, quando, accompagnato dal fedele Minuscoli e da Lina, parte per l’Australia. Al congresso internazionale di Bowral, il 21 luglio, comunica su un tema apparentemente limitato – le correlazioni biologiche tra serotonina e melatonina – ma in realtà occasione per ribadire i fondamenti della sua visione terapeutica18. Alla fine del lavoro presentato si legge infatti:
“L’efficacia della Melatonina nella terapia del cancro è principalmente dipendente dalla regolazione della trascrizione e della traslazione dei fattori di crescita. Sono però due i punti da tenere bene presenti: 1) La Mlt è indispensabile, ma non sufficiente a curare un tumore 2) Essa deve essere supportata dalla somministrazione contemporanea di retinoidi e tocoferoli, da inibitori del Gh e della prolattina. In queste condizioni i risultati sono buoni o persino eccellenti”.
Già, buoni o eccellenti. E a dirlo non è solo lo scienziato. Ormai i pazienti sono tanti, e tra questi sono già capitati personaggi noti al grande pubblico, poco o nulla a lui. Apparentemente – apparentemente, sottolineiamo – è un illustre sconosciuto, in realtà è ben conosciuto negli ambienti di vertice di molti settori della società. Il paziente oncologico considera la sua malattia quasi come una vergogna da nascondere anche agli intimi, quasi fosse un morbo contagioso che suscita paura ed orrore; ma, parlando magari di “un caro amico” o di “un parente” curato e rinato, ha fatto il nome del Prof. Luigi Di Bella. Càpitano e capiteranno attori, imprenditori, professionisti, artisti, politici di ogni schieramento. Italiani e stranieri. Anche personaggi noti in tutto il paese o nel mondo intero, e residenti nella sua stessa città, si rivolgono a lui anche per patologie diverse dal tumore, e ne conserveranno impressioni profonde e stabili nel tempo. La cosa che fa rabbrividire è che queste celebrità temano di vedere compromessa la loro carriera rivelando di essere ricorsi allo scienziato: temere perché? Che estensione e che forza ha questo invisibile controllore dei destini umani? Perché ha tanta influenza? Come può incidere sul potere il fatto che una persona famosa non si curi ricorrendo ai consueti canali, ma rivolgendosi “all’eretico della scienza”? Sono interrogativi logici; ma anche interrogativi che, come vedremo, hanno risposte ancora più logiche. E sconvolgenti.
Sempre in compagnia di Minuscoli, in agosto partecipa ad un congresso mondiale, presentando un “poster”19.
L’anno successivo sembra ripercorrere senza novità il tracciato del precedente, ma in realtà stanno maturando eventi destinati a palesarsi nel breve periodo, e qualcuno non positivo. Se lo sforzo pesante per l’aggiornamento scientifico è alleggerito da un maggior numero di pazienti ed amici che sottoscrivono abbonamenti a riviste o gli fanno recapitare anonimamente libri scientifici, permane la sperequazione tra le risorse disponibili e quelle che occorrerebbero. Sarebbe necessario anche un lavoro di archiviazione, indispensabile per mettere ordine, consentirgli di consultare rapidamente testi ed articoli. La quantità di libri e riviste è veramente impressionante, ma occorre rintracciare i testi necessari senza snervarsi nella loro ricerca.
Il sabato Adolfo viene insieme ad un paio di amici e si inizia così a rubricare ed ordinare la letteratura scientifica ammonticchiata al primo piano. Lentamente si comincia a vedere un minimo di sistemazione, anche se rimangono letteralmente quintali di materiale da decifrare, suddividere, mettere in ordine, a cominciare dalla documentazione clinica riguardante migliaia di malati. La presenza di altre persone in laboratorio consente anche di disciplinare in un qualche modo l’afflusso di pazienti e di loro parenti. C’è chi ha un po’ di buon senso e comprensione e chi si porta dietro amici, conoscenti, colleghi, affetti dalle patologie più diverse, come se l’uomo che viene ad aprire loro a qualsiasi ora ed in qualsiasi giorno avesse energie inesauribili. In non pochi casi si tratta di parassitismo bello e buono: come è piacevole millantare un’amicizia e conquistarsi la gratitudine delle persone curate, che vedono risolti i loro problemi, per giunta gratis et amore! Per fortuna si tratta di una minoranza, anche se piuttosto nutrita. Qualche volta anche la sua pazienza cede, specie quando ha dedicato ore del suo tempo per visitare e prescrivere e si ritrova dopo qualche mese le stesse persone, che si sono ben guardate dal seguire le sue prescrizioni e sono peggiorate. La mancanza di correttezza è la causa di questa incoerenza, ma concorre l’autentico terrorismo attuato da pretesi luminari ai quali ingenuamente si rivolgono i malati, ancora inconsapevoli del degrado della medicina e dell’etica medica.
Le malevolenze riferite a Luigi hanno dell’incredibile e consentirebbero il ricorso alle vie legali: “il Prof. Luigi Di Bella? Non è medico!”; oppure: “è stato radiato dall’ordine dei medici!”; fino a: “sono morti decine di bambini con le sue cure!”.
Particolarmente turpe questa calunnia (che sarà ripetuta dopo la ‘sperimentazione’ del 1998), in quanto bassamente e scientemente studiata per ispirare la comune indignazione.
Nessun ordine professionale interverrà mai a difesa del rispetto dell’etica medica e dell’onorabilità di un collega. Tra gli autori di queste lordure si distingueranno anche personaggi che di lì a qualche anno saranno chiamati ad esprimersi “autorevolmente” sulla validità della terapia. Tanto per garantire serenità ed equanimità di giudizio.
Agli squallidi episodi citati si aggiungono anche tentativi di disconoscere la sua paternità nell’impiego di determinati principi attivi. E’ il caso della somatostatina. Luigi viene avvertito da un giovane pittore romano, Guido Venanzoni, di una conferenza indetta dal Prof. Stolfi per annunciare una “scoperta”: risultati importanti sono stati ottenuti con la sostanza in alcuni tipi di tumore. Parte per Roma e va a sedersi nella sala dove si tiene la comunicazione. Finita l’esposizione dei dati, accolta dagli applausi dell’uditorio, si alza, si presenta, chiede di parlare, e con pacatezza e semplicità cita i lavori ed i congressi nei quali oltre quattordici anni prima aveva informato la comunità scientifica sull’impiego della somatostatina nei tumori. Poi avverte che, senza un contorno di parecchi altri principi attivi, la sostanza può dare risultati magari positivi, ma assolutamente insufficienti, spiegandone i motivi. Senza giri di parole, è una figuraccia per gli organizzatori della conferenza, che balbettano giustificazioni, con l’unico effetto di peggiorare ulteriormente la loro immagine. A Venanzoni, che vedono accanto a Luigi, diranno affranti:
“se il professore ci avesse avvisati, lo avremmo invitato e avremmo detto che il primo a parlare di somatostatina nei tumori è stato lui. Così ci ha fatto fare una figura tremenda!”.
1. L. Di Bella, M.T. Rossi e G. Scalera: A contribution to a correlation between drinking and feeling behaviour – Abstracts Eight International Conference on the Physiology and Food and Fluid Intake, Eighth International Conference on the Physiology of Food and Fluid Intake, Melbourne, August 23d/26th, 1983.
2. L. Di Bella and M.T. Rossi: Molecular aspects of platelet production and function – Proc. of the International Union of Physiological Sciences, vol. XV, Sydney, August 28 to September 3, 1983.
3. Rossi M.T. and Di Bella L.: The role of the thyroid in the regulation of food and fluid intake – Atti della XI Riunione della Soc. It. di Fisiologia, maggio 1984, Idelson Editore, Napoli.
4. M.T. Rossi and L. Di Bella: The influence of the thyroid on the water and food intake – Abstracts Nato advanced Resarch Workshop, Camerino, Iuly 1984.
5. L. Di Bella, Rossi M.T.: Some aspects of the neurothropic action of Melatonin – Abstracts Third Colloquium of European Pineal Study Group (EPSG), Pecs, 1984, pag.55; id: Ten Years experience on the action of Melatonin on humans – ib. pag. 56; Rossi M.T., Di Bella L.,Gualano L.: Bone marrow platelet production after Melatonin i.v. infusion – ib. pag. 68.
6. Luigi Di Bella and Maria Teresa Rossi: Food intake and body weight circadian rhythm changes following subacute partial dehydration – Boll. Sibs, 1984, P70.
7. L. Di Bella, Rossi M.T., L. Gualano, L. Roncone: Melatonin in Thrombocytogenesis – Acta Melatonin in Humans, Novembre 7-9, 1985, Vienna.
8. Luigi Di Bella e M.T. Rossi: Water and fluid intake: the self integrative activities of ingestive behaviour – Pflügger Archiv, European Journal of Physiology/S.I.F, Springer International, 1986,S53.
9. Di Bella L., M.T. Rossi, L. Gualano and A. Ferrari: Dehydration partially simulates some rat circadian behavior appearances – IX International Conference on the Physiology of Food and Fluid Intake, July 7-11, 1986, Seattle, Washington, U.S.A.- pubbl. “Appetite”, vo. 7, n. 3, pg. 251 Ac. Press sept. 1986.
10. L. Di Bella, M.T. Rossi, L. Gualano, L. Roncone, V. Ventura: The bone marrow (BM) and the megacariocytes (Mgc) as substrates of Melatonin (MLT) action – XXX Congress of International Union of Physiological Sciences, Vancouver, Canada, 13 July-19 July 1986.
11. L. Di Bella and M.T. Rossi: Melatonin in Thrombocytogenesis – The Pineal gland and Cancer, Edited by Derek Gupta, Andrea Attanasio, Russel J. Reiter – Brain Research Promotion, Tübingen, 1988, pagg. 183-194.
12. L. Di Bella and M.T. Rossi: Melatonin in cancer therapy – Symposium on Melatonin and the Pineal gland – Hong Kong, 1988, Abstract.
13. L. Di Bella, M.T. Rossi, L. Gualano; Sahba Ahdieh: Cardio-circulatory responses to Melatonin – Boll. Sibs, Alghero, 26-28 settembre 1988.
14. E’ il volume sul quale era comparso il già citato lavoro. Vedi The Pineal Gland and Cancer, 1988, Edited by Derek Gupta, Andrea Attanasio, Russel J. Reiter – Brain Research Promotion, Tübingen, pag. 54, ISBN: 3-9801605 – 0 – 5. Questo il passo originale:
“Di Bella ed al. (1979) in Italy has been using melatonin to treat human subjects with various types of malignancies for a number of years. In the publication cited and in a personal interview with the present author he claimed rather remarkable success in the treatment of blood dyscrasies especially. Unfortunately, his work has rarely been critically reviewed and, for the most part, it has been overlooked by the scientific community”
15. Prof. Luigi Di Bella: “Deda – Terzo anniversario – 28 aprile 1991”; © Famiglia Di Bella.
16. Luigi Di Bella: The role of Melatonin in the photoperiodic control of water intake by rats. XXXI International Congress of Physiological sciences , Helsinki, Finland, 9-14 July, 1989 – P5601.
17. L. Di Bella, L. Gualano, M. Camellini and. G.C. Minuscoli: Photoperiod and rat’s peripheral blood – Ab. 5th Colloquium of the European Pineal Study Group, University of Surrey, Guildford, U.K, September 2-th 1990.
18. L. Di Bella, G.C. Minuscoli: Serotonin/Melatonin biological interrelations – Abs. International Symposium on Pineal Hormones (Satellite Symposium of the Thirtheenth biennial Conference of the International Society for Neurochemistry), Bowral, NSW, Australia, July 21st-24th, 1991.
19. L. Di Bella, G.C. Minuscoli: Light wave length and water intake. Abstracts 3rd International Congress of comparative Physiology and Biochemistry – Tokyo, August 25/30 1991* 1070, 101.