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Capitolo V – Agnus inter lupos
“L’anima, quando è forte, ingigantisce tra le tempeste”
(Giuseppe Mazzini)
Lentamente Modena va riprendendosi dalle distruzioni e dalle privazioni del conflitto. Sorgono un po’ dappertutto cantieri per riparare, demolire e ricostruire case e palazzi sventrati dalle bombe e ricomincia l’attività delle poche fabbriche rimaste in piedi. Termina anche il poco lusinghiero periodo dei diplomi e delle lauree di guerra ed una parvenza di serietà torna nelle scuole e negli atenei. Citta e Sara sono tornate a Messina a riabbracciare i loro cari e la famiglia Di Bella cerca di ritrovare un minimo di serenità e normalità di vita. Giungono finalmente notizie sui fratelli e su papà Giuseppe: stanno tutti bene, e rientrano anche gli ultimi timori relativi a Giovannino, che non dava nuove di sé da qualche tempo. Maria sta finendo gli esami per la facoltà di farmacia, aiutata da Gino che le ha procurato alcuni testi. Anche Filomena, dagli Stati Uniti, si fa sentire e spedisce alle sorelle qualche pacco con capi di vestiario.
Il 6 giugno Luigi presenta alle stampe un suo lungo lavoro, conclusione di ricerche precedenti ed organizza un nuovo programma di attività sperimentale1. Ha fatto molte conoscenze e stretto alcune amicizie: oltre a quella, rinnovata, con Antonio De Carlo, del quale si è fatto cenno nelle pagine precedenti, frequenta Ruggero Montanari ed i suoi famigliari, la famiglia Artioli e si affeziona particolarmente ad un allievo, Vigildo Ferrari, che avrà un ruolo importante nella sua vita di uomo e di scienziato. Nella tarda estate del 1945 Ciccina e Pippo partono per Messina e Luigi li raggiunge a settembre, cogliendo l’occasione per salire a Linguaglossa, rivedere il babbo e sostare davanti alla tomba di mamma Carmela.
Anche Giostra ha subito le offese della guerra, che rimarranno visibili ancora per cinque o sei anni: case sventrate o ridotte a cumuli di macerie, aree irriconoscibili per lo sconvolgimento operato dalle bombe, strade frettolosamente riattate coprendo con terra le voragini dei bombardamenti. Una fotografia a colori di quel periodo, scattata da Tonuccio, ritrae Pippo sullo sfondo del mare e di un relitto: si tratta di un piroscafo – il ‘Piemonte’ – che, centrato da aerei alleati, è andato ad incagliarsi sui bassi fondali per evitare l’affondamento, e rimane lì tutto inclinato da un lato, corroso dalla salsedine e flagellato dalle mareggiate, segno sinistro della guerra appena conclusa.
Tornati a Modena, Luigi ricomincia con regolarità l’insegnamento universitario ed il lavoro di ricerca.
Il mondo universitario sta subendo intanto profonde trasformazioni. Conformismo e malcostume hanno sempre inquinato qualsiasi istituzione culturale, per quanto prestigiosa: anche l’università significa quindi, oggi più di allora, potere, distribuzione del potere, compromessi. Specie se la corruzione e lo smarrimento morale sono la cifra del tempo. Il sovrapporsi di una nuova generazione istituzionale alla precedente – in buona parte si tratta unicamente di riproposizioni imbellettate – porta alla neocolonizzazione, alla sostituzione dei vecchi organici, alla premiazione di chi dimostra inaffidabilità morale e, quindi, affidabilità servile. Mentre i vecchi cattedratici, con i loro pregi e le loro ombre, scivolano lentamente verso la pensione e l’oblio, già preme una generazione di sostituti assai meno attendibili.
L’istantanea di questa transizione vede i capolista subentrare ai federali, i parlamentari ai gerarchi, la Rai all’Eiar, la retorica resistenziale a quella patriottarda; e così via. Per dirla con l’ultimo grande scrittore italiano del secolo, Tomasi di Lampedusa, tutto deve cambiare perché tutto resti lo stesso: o meglio, cambiano le apparenze perché, senza migliorare, cambiano i tempi. Già palpita una nursery di flaccide larve biancastre, mentre si assiepano plotoni di cottimisti della penna, di osannati pervertiti, di guitti di ogni genere, la cui fede è non avere alcuna fede ed il cui ordine religioso quello che rende di più. Ognuno è libero di pensarla a suo modo, ma noi preferiamo un diavolo serio, che si presenti con tanto di corna e piedi di capra, a certi ibridi pronti ad esibire, a seconda delle convenienze, ali d’angelo o code di Belzebù.
Ora che Tullio non c’è più, Luigi è ridiventato il “figlio di nessuno”. Non gli è sfuggito di certo il cambio generazionale, ma fidandosi di qualche caso di plausibilità sfuggito alle purghe in atto, spera che un residuo di decenza sia sopravvissuto al marasma morale del dopoguerra. Ciò che invece non coglie è che il distinguersi per ingegno e cultura è una referenza negativa. Anche all’interno dell’Università italiana si muovono nell’ombra orditi di congiure e si fronteggiano diverse “scuole”: con esibizione di bicipiti e minacciose voci stentoree. E’ tutta una stagione di veleni alla quale rifiuta di partecipare. Ma non basta starvi lontano. Non è la giovane età a fargli ignorare che evitare di schierarsi con qualcuno o contro qualcuno, significa schierarsi contro tutti, ma un senso morale assoluto, fonte di ribrezzo per qualsiasi strategia. Questo disgusto, che non riesce a dissimulare, è un’aggravante agli occhi di chi muove le cattedre come pedine sulla scacchiera: Di Bella è un asociale, non parla, non partecipa a pettegoli crocchi, pensa solo a studiare, insegnare, fare esercitazioni ed esperimenti; non ha capito niente del galateo accademico. Tra tutte queste doti positive, una, in particolare, non può essere tollerata: fare il proprio dovere, unitamente al possedere ingegno e cultura, fa risaltare ancor di più la fannulloneria e la mediocrità altrui. Naturalmente deve pagare il pedaggio, ed è un pedaggio pesante: come vedremo più avanti, nel periodo 1943-1948, sarebbe stato costretto ad insegnare Fisiologia Umana sulla traccia di programmi limitati e prefissati, che si confacessero a certe dispense – men che mediocri – sulle quali gli studenti erano di fatto costretti a preparare la materia.
Il direttore dell’Istituto, che fra meno di tre anni scadrà, non ha interesse né a contrastare né ad appoggiare il suo aiuto: ancora può contare sul formale ossequio delle sfere accademiche e sulla rete di amicizie intessute in anni di regno, ma, senza rendersene interamente conto, è su quella parte del mappamondo che ruota fatalmente verso l’oscurità della notte. Di questo non è facile rendersi conto se si sono goduti i privilegi e i toni del potere, come facile non è cambiare abitudini e stile di vita. Tra una manciata di mesi, quanti un tempo gli si precipitavano incontro con sorrisi studiati per apparire veri sorrisi, a malapena gli faranno un freddo cenno di saluto incontrandolo sotto i Portici del Collegio.
Per il momento Luigi riesce a sopravvivere e – ciò che più gli interessa – a continuare le ricerche, anche se i fondi a disposizione sono in partenza scarsi e una disinvolta amministrazione invola anche quelle poche briciole. Accumula lavori su lavori, che potrebbero essergli preziosi quando, conseguita la docenza, potrà aspirare ad una cattedra. La ricerca comporta oneri cospicui che non sono alla portata delle sue tasche e, ancor più, esige la disponibilità di collaboratori. Conseguire la cattedra non è solo il desiderio legittimo di coronare la carriera universitaria, ma una necessità scientifica. Solo così potrà liberarsi da condizionamenti e limitazioni, fare vera ricerca, disporre di un valido team di collaboratori. Senza ombra di presunzione, sa di valere ed ha fiducia nelle proprie capacità: finora si è aggiudicato tutti i concorsi ai quali ha preso parte, è stato il più giovane assistente e poi il più giovane aiuto d’Italia; ha maturato inoltre una capacità di lavoro che nessuno riesce nemmeno lontanamente ad emulare; quindi, se è consapevole che le proprie umili origini e l’idiosincrasia nei confronti di rapporti sociali utilitaristici e diplomatici gli negheranno probabilmente le sedi più ambite, non ha ragione di disperare per il raggiungimento della sua meta.
Il 1946 è un anno difficile sia per problemi di salute, che lo vedono frequentemente assalito da violente febbri – retaggio della malaria contratta in Grecia – sia per le ristrettezze accennate.
A parte il lavoro pubblicato2, la penuria di reagenti ed apparecchiature gli consentirà solo nel 1947 una copiosa produzione scientifica: nove nuovi lavori3. Nel frattempo si verifica un evento che potrebbe cambiare la sua vita in modo decisivo e che testimonia quale reputazione lo circondi.
L’azienda farmaceutica Recordati, di Correggio, viene a trovarsi in una situazione di emergenza: una ingentissima quantità di insulina si altera per cause sconosciute e nessuno, né tra i chimici interni, né tra altri consultati, riesce a far nulla. Il Dr. Recordati, al quale viene fatto il nome di Luigi Di Bella, gli scrive chiedendo il suo aiuto. Sono tutti col fiato sospeso, perché dalla salvezza dell’insulina dipende il destino dell’azienda: pur dotata di capitali di rischio robusti per l’epoca, la giovane ditta dovrebbe chiudere e mandare a casa i dipendenti, visto che si è investita la maggior parte del patrimonio su questa benedetta partita di merce.
Luigi si informa, osserva e valuta le alterazioni del prodotto, vuole ispezionare i serbatoi nei quali questo è contenuto ed ogni punto della catena di attrezzature deputate alla produzione. Lavora zitto e senza fermarsi, facendo la spola tra il laboratorio della ditta e lo stabilimento, ed alla fine comunica al titolare causa del fenomeno e rimedi: si tratta di una colonia di miceti che si sono annidati in alcune serpentine e che possono essere eliminati facendo uso di una soluzione che ha approntato. L’insulina si salva, e con questa l’azienda. La proprietà si prepara ad un esborso ingente e ad una serrata contrattazione sul compenso, ma alla richiesta di fare cifre il giovane docente risponde: “niente”. Rimangono tutti a bocca aperta e, soprattutto, convengono che un uomo simile è prezioso per l’avvenire dell’azienda. Recordati insiste e – in alcune lettere giunte a noi – lo sollecita a definire l’entità della sua prestazione. Niente da fare: solo risposte dilatorie. Come fare ad assicurarsi la sua collaborazione? Se solitamente è facile mettersi d’accordo a suon di banconote, lo è molto di meno quando la controparte si dimostra poco interessata a questo universale strumento di persuasione. Che si tratti di una tattica sottile? Del gioco al rialzo di persona ben consapevole del proprio valore e, quindi, dell’appetibilità della sua opera? Recordati ha conoscenze presso il mondo accademico e viene a sapere che Luigi si sta attivando per trovare un posto di lavoro alla sorella Maria, che si è appena laureata in farmacia. Adesso che l’azienda è salva, occorre fare programmi per l’avvenire e rimpinguare lo staff tecnico. L’occasione arriva come cacio sui maccheroni: Maria rappresenta inoltre il mezzo migliore per convincere l’ancora Dottor Di Bella a lavorare per la Recordati. Luigi si rende conto di avere il timone in mano, ma non sarebbe quello che è se cercasse di manovrare. Quando nel corso di un colloquio emerge il nome della sorella, si dimostra felice di aver potuto, ancora una volta, aiutare la famiglia. Ma Recordati insiste. L’assunzione di Maria non è una controprestazione, visto che c’era già un programma di nuovi ingressi, se il problema dell’insulina fosse stato risolto. No, occorre trovare un vincolo più saldo per assicurarsi la sua collaborazione: Di Bella non ha voluto un centesimo, ma non intende sottrarre tempo alla sua attività e non si fa vivo. In una lettera datata 14 aprile 1947, l’imprenditore da una parte cerca di ridimensionare l’entità del beneficio ricevuto citando nuove difficoltà (“…..c’è il problema di fabbricare un’insulina stabile, che pure bisogna risolvere..”), dall’altra, incapace di dissimulare la sua stima, si sbilancia con un “ ho sempre fidato nella Sua collaborazione e così è passato il tempo senza trovare quella conclusione che io cercavo”. Poi prevale la mentalità dell’uomo d’affari, convinto che tutto ha un prezzo: “Avrei avuto piacere che m’esprimesse apertamente il Suo pensiero sulla forma e sulla entità della sua retribuzione e che mi desse anche una sicurezza sulla intensità e continuità della Sua collaborazione. La prego di farlo ora tenendo presente l’urgenza di risolvere il problema in modo definitivo ed inequivocabile. Le mando intanto un assegno di L. 50.000 e resto in attesa di una cortese Sua risposta”.
Ciccina non si è mai intromessa nelle decisioni del marito, ma ora che ha appena scoperto di essere in attesa del secondo figlio, non può rimanere silenziosa di fronte alla sua impacciata timidezza. Per quello che ha fatto, Gino potrebbe pretendere e, sicuramente, ottenere, una somma sufficiente ad acquistare un appartamento; ma, adesso che gli viene chiesto di continuare a dare la sua collaborazione – perbacco! – accetti almeno qualcosa. Recordati, non credendo quasi ai suoi occhi, riceve una lettera nella quale Luigi accetta l’assegno e chiede se fosse possibile avere….un motorino, precisamente un Mosquito 48 di cilindrata. Passato lo sbalordimento, il 26 aprile indirizza allo scienziato un biglietto nel quale assicura che “…provvedo subito a cercare una moto, che possa servire al Suo scopo”.
Il rapporto del Prof. Luigi Di Bella con le due ruote è sempre stato felice, a meno che non ci si mettesse un motore per lo mezzo. La sensazione di vitalità e l’ebbrezza della velocità lo portano a sfrecciare come un razzo e ad affrontare percorsi che, specie in quel tempo, sarebbero stati affrontati con perplessità anche in automobile. “Ero un vero e proprio pericolo pubblico” dichiarerà compunto e sorridendo sotto i baffi.
Un bozzetto dello scienziato, ritratto in quell’estate, è tracciato da Giovanni De Carlo, figlio del vecchio amico e collega di liceo Antonio, e per la sua immediatezza val la pena citarne alcuni passi.
“Quel giorno il centro era deserto. Solo lo sferragliare di un tram verso via Farini di fronte alla facciata bianca dell’Accademia. Facevo i capricci per avere un gelato. Da quindici lire (già un gran bel gelato per quei tempi!), poi saremmo andati a casa. Ma, proprio nel momento in cui capivo che sarei stato accontentato, mio padre fu distratto da un distinto signore in sella a una bicicletta nera. Nonostante i trenta gradi e oltre vestiva un abito scuro a righe, con giacca, cravatta e cappello. Mi colpì proprio il cappello. Era sistemato sul capo in modo bizzarro. Piegava leggermente sul lato sinistro, ma era ben calzato e di singolare presentava falde strette e …’cupola’, se tale può essere definita, dalle forme incerte.
’Gino!’, gridò mio padre con lo stesso tono che avrebbe usato per il ‘presentat arm’. L’uomo in bicicletta scosse il capo, come fosse stato distratto dai suoi pensieri. Guardò verso chi l’aveva chiamato e si avvicinò.
‘Gino – ripeté – sono Antonio, cosa fai qua a Modena?’
‘Antonio? Sono io che ti chiedo come mai sei da queste parti’ rispose a voce bassa.
La bicicletta, l’abito scuro, quel cappello che mostrava di trattenere a fatica una capigliatura abbondante, tutte queste cose avevano colpito la mia giovanissima fantasia.
‘Da quanto tempo sei a Modena?’ chiese ancora mio padre’
‘Da quasi otto anni’ rispose il professore.
‘E tu? – chiese a sua volta – vedo che sei in divisa. Dove presti servizio?’.
‘Fino a qualche anno fa in Accademia: adesso al quinto centro di addestramento reclute, alla caserma Pisacane’.
Un abbraccio, una stretta di mano, con la promessa di vedersi presto. Gino, che non era sceso dalla bicicletta, staccò il piede dal marciapiede e riprese a pedalare.
‘Maria sai chi ho incontrato? – disse a mia madre, appena a casa – Gino, quel mio compagno di scuola di Messina, quel cervellone che prendeva sempre dieci. Ricordi? Ti raccontai della sua bravura, dei sacrifici che ha fatto per studiare, dell’ammirazione che noi tutti avevamo per lui’.
Da quel giorno i contatti fra mio padre e il professore di infittirono. Fu lui a prendersi cura della salute di tutta la famiglia. Se qualcuno si ammalava, inforcava la bicicletta e arrivava sempre e comunque, premuroso. Le visite erano attente, meticolose; le prescrizioni vergate con una grafia minuta e regolare. Alla professione di medico vero e proprio, nel senso di colui che cura i malati, dedicava ben poco tempo. La sua vita erano l’università, lo studio, l’insegnamento, la ricerca alla quale si applicava con caparbietà, con tenacia, con genialità. La sua ‘casa’, l’istituto di fisiologia di via sant’Eufemia. Vi passava gran parte della giornata e qualche volta anche la notte”.
Alla fine di luglio del 1947, quando Ciccina e Pippo sono appena arrivati a Messina per rimanervi qualche settimana, gli giunge notizia che il suo piccolo sta male, in preda ad una febbre refrattaria ai consueti antipiretici. Dopo qualche giorno la situazione sembra precipitare: un telegramma lo avverte che si tratta di polmonite e che si teme per la vita di Pippo. Indicibile l’angoscia che si impossessa di Luigi. La penicillina disponibile in Sicilia è di difficile reperibilità ma, soprattutto, di purezza dubbia. Non bisogna perdere tempo. In breve riesce a procurarsi alcune fiale di sicura qualità e, per la prima volta nella sua vita, si imbarca su un aereo con destinazione Reggio Calabria. E’ un vecchio bombardiere riattato ad aereo passeggeri: non c’è nulla di meglio. Ricorderà più volte l’alternarsi di terrore e di speranza che accompagneranno il volo, lo spasimo che lo pervade durante la sosta a Roma e l’attesa snervante per il ferry boat che lo deve condurre a Messina. Trova una situazione estremamente critica e tutta la famiglia Costa in preda alla disperazione. Dopo le prime iniezioni di penicillina e l’assunzione di altri farmaci coadiuvanti, gli accessi febbrili si placano e Pippo migliora di giorno in giorno. Luigi si tratterrà per quasi un mese, continuando a seguire il suo piccolo e visitando molti pazienti che, in farmacia, si rivolgono a Tonuccio od a Peppino. Faticherà, verso la fine di agosto, a ripartire per Modena, tante saranno le persone che hanno richiesto la sua opera.
Superato il momento difficile, in questa fase della sua vita, tutto sommato, togliendo gli scarsi mezzi a disposizione del lavoro sperimentale, qualche peso altrui da portare sulle spalle, chiacchiere poco belle su certo agire del direttore dell’Istituto di Fisiologia e le meschinità dell’ambiente accademico, l’orizzonte non sembra poi troppo cupo. Dopo la docenza parteciperà a qualche concorso e potrà disporre finalmente di collaboratori e di mezzi adeguati.
La gravidanza di Ciccina procede serena senza alcun problema e all’inizio dell’autunno arriva da Messina Citta, per assistere ed aiutare la sorella, visto che si avvicina il lieto evento. Le doglie si presentano poco prima dell’alba del 30 dicembre 1947. Come ricorderà Ciccina, Luigi la tranquillizza, le dà qualche suggerimento, riattizza il fuoco nella cucina economica e comincia a preparare quanto può servire. Non appena inizia a sollevare le tapparelle, rimane colpito dalla luce, insolita per l’ora acerba: tetti e strade sono bianchi di neve, che cade ancora in abbondanza; più esattamente, c’è una mezza tormenta. Ciccina è serena e non ha timori con il marito seduto accanto che segue la progressiva riduzione degli intervalli tra una doglia e l’altra. Tutto è pronto per accogliere Carmela Di Bella: in un angolo c’è già la culla e vicino questa il primo abitino rosa. Ma alle nove del mattino, mentre grossi fiocchi sferzano i muri delle case, Luigi annuncia al colmo della felicità che Carmela…è un Carmelo. Ciccina non ha quasi sofferto e presto si trova accanto il bambino, che Luigi ha già provveduto a lavare, asciugare, vestire provvisoriamente di rosa e …che ha già fatto la prima colazione, visto che il papà gli ha fatto scivolare in bocca qualche goccia di caffè. Così venne alla luce l’autore di questo libro, che dal giorno della nascita non ha più lasciato l’amato caffè e successivamente rinnegato l’imbarazzante ingresso nel mondo in panni equivoci.
Il secondo figlio dello scienziato viene battezzato nella chiesa di S. Agnese: il compare Runci gongola quando apprende che gli è stato dato il suo nome e ancor di più papà Giuseppe, visto che saranno due i maschi a tramandare il cognome …pur non accompagnato da quello Curreri. Luigi è felice, passa ogni ora libera accanto al piccolo, che appare di costituzione sana e di pelle olivastra come lui, mentre Pippo si cova il fratellino con lo sguardo. Il nuovo anno si apre dunque con le migliori prospettive. Ora bisogna andare avanti e puntare alto. Proseguono il lavoro di ricerca sperimentale e l’impegno didattico, e appaiono nuove pubblicazioni4, mentre comincia a manifestarsi un crescente interesse per alcune delle precedenti. A testimoniarlo sono diverse richieste di “reprint” da parte di ricercatori, prevalentemente esteri e proposte di collaborazione da parte di riviste scientifiche internazionali. Richiamano particolare interesse le sue vedute su funzioni e intercorrelazioni di ipotalamo e ipofisi (cfr. il già citato lavoro Nuove vedute sui rapporti fra ipotalamo, ipofisi e termoregolazione, Arch. Fisiol., 1947, 47, 1-23) e le ricerche sui retinoidi, che portano a fargli indirizzare corrispondenza non solo da parte di studiosi, ma anche di istituzioni scientifiche (Royal Netherl. Academy of Sciences) e di riviste. Con una lettera del 14 giugno 1948, lo “Editorial Board” della rivista olandese Excerpta Medica gli comunica: “Our Editors wish to say that they would like to publish a synopsis of your article on ‘Cromogeni del carotene’ published in Journal Bollettino della Società Italiana di Biologia, volume 23/12…”.
All’interno dell’istituto di Fisiologia si è creato un piccolo nucleo di ricerca che segue le sue direttive e collabora fattivamente con lui. Non può essere diversamente: con chi dovrebbero collaborare? Nessun altro fa lavoro sperimentale e grava una cappa di torpida inattività, se si eccettuano ripetitive lezioni agli studenti e le solite grandi manovre. Già, le grandi manovre. Chi non è venuto mai a contatto con gli ambienti universitari italiani, specie quelli della facoltà di medicina, non può avere un’idea nemmeno lontana di costumi e consuetudini che, dopo un’ossidazione di decenni e decenni, vengono considerati ovvi, naturali e quindi legittimi. Risulta difficile, complice l’omertà, accettare che determinati comportamenti costituiscano la regola e non l’eccezione e ancora di più che si tratti di una regola alla quale o si obbedisce o si soccombe. Nella maggioranza degli uomini l’individuazione di ciò che è vero e morale non è autonoma, ma come delegata al risultato di elezioni: quanto e chi riceverà più voti stabilirà quello che dobbiamo pensare e sentire. Non conta che sia palesemente distorto o abominevole, perché la sordità all’intima disapprovazione si accompagna all’ossequio ed alle autoassoluzioni: fino a quando, col tempo, di voci interiori, vere o false, non se ne sentiranno proprio più.
Il nucleo è costituito in quel tempo da allievi interni come Pietro Bianchini, Bruna Osima, Luisa Guidotti, Vigildo Ferrari.
Vigildo è originario del mantovano, provenendo da Bondeno di Gonzaga. Provato dalla guerra – ha subito una menomazione ad una gamba per le ferite riportate nel corso di un mitragliamento – è venuto a Modena iscrivendosi alla facoltà di farmacia. Povero in canna, vive e studia in ristrettezze, ma con immenso interesse e passione. Rimane folgorato, tra tanti professori più o meno capaci ma comunque di ordinaria ordinarietà, dal docente di Fisiologia Generale e Chimica Biologica, “capace di spiegare cose che non riuscivamo a trovare in nessun libro”: durante le lezioni non distoglie mai lo sguardo da quell’uomo così particolare, che addestra la mente degli studenti, oltre che esporre nozioni con una chiarezza spettacolare. Interviene, chiede chiarimenti, espone dubbi, dimostrando la genuinità del suo interesse ed un’intelligenza vivida. Così nasce una delle più belle amicizie della vita di Luigi Di Bella. Nel 1946 Vigildo ha chiesto di diventare allievo interno di Fisiologia, iniziando una collaborazione destinata a durare una vita. Sono tutti fortemente motivati e ammirati di fronte a quell’uomo che li sorprende sempre e sembra quasi si diverta a prenderli in giro. Infatti capita spesso che mentre gli descrivono un problema che si frappone all’iter delle ricerche apparentemente irresolubile, lo vedano ascoltare in silenzio e, dopo un’occhiata un po’ divertita sposata ad un impercettibile sorrisetto sotto i baffi, tirar fuori la soluzione: il più delle volte semplice semplice, a portata di mano, sotto gli occhi di tutti – si direbbe – ma che nessuno prima aveva scorto. Ci sono stati chiesti spesso, con febbrile curiosità, aneddoti dai quali emergesse l’eccezionalità della mente di Luigi Di Bella e quale sia la vita accanto ad un genio. Certo, di episodi eclatanti se ne potrebbero raccontare molti, ma l’iconografia comune del genio ci sembra artefatta, segno che a formarla sono state persone che non conoscono il significato del vocabolo. Non è possibile definire il genio con una breve frase, ma crediamo che una delle sue caratteristiche sia la capacità di scoprire interi mondi là dove tutti gli altri non vedono che informe grigiore.
Inevitabile che negli allievi nasca un’autentica venerazione per quell’uomo che non si stanca mai, ha modi sempre signorili ma semplici, sembra sappia tutto e trovi il tempo per fare tutto.
Quanto a Vigildo, che alloggia nella camera spoglia di una pensioncina, spesso la domenica è invitato a pranzo. Ricorderà le prelibate cotolette di Ciccina, cotolette magiche…visto che, per quante ne mandi giù, ricompaiono sempre nel piatto: non estranei al prodigio il suo professore, che lo distrae con discussioni coinvolgenti e la “mano lesta” della padrona di casa. E invariabilmente si ritrova in mano un sacchetto con la cena all’atto di salutare i coniugi. Inutile opporsi. Tra i suoi ricordi anche la risoluzione di un problema di salute che affliggeva una sorella. Questa era vittima di frequenti mancamenti, dei quali nessun clinico era riuscito a venire a capo. Una volta, assai preoccupato, ne parla a Luigi. “Se vuole, posso darle un’occhiata” è la risposta. La domenica successiva i due fratelli sono ospiti in via Cucchiari e Vigildo assiste con gli occhi sgranati alla visita: una lunga, meticolosa visita, fatta di accurata auscultazione, percussione, palpazione. Alla fine la prescrizione: “Vada da un fabbro e gli chieda un poco di limatura di ferro minutissima. Poi la metta a bagno con acqua e limone, filtri e la beva regolarmente”. Vigildo non esita un istante. Come amerà ripetere sempre, “se il Professore mi dice di buttarmi dal tetto di casa io mi butto, perché sicuramente ci sarà una ragione”! Comunque sia, l’empirico rimedio prescritto per la diagnosticata carenza di ferro funzionò a meraviglia: gli svenimenti cessarono e non si ripresentarono più. Se questo aneddoto è ricorso alla memoria parlando dell’allievo, molti altri si succedettero con regolarità, diffondendo la fama di quel giovane professore universitario. Presto si trovò con richieste di visite continue, per lo più per casi dei quali nessun medico riusciva a venire a capo, o sotto il profilo diagnostico, o sotto quello terapeutico o per entrambi. Non era certo l’ideale per accattivargli le simpatie dei colleghi e, in particolar modo, di clinici universitari, che si sentivano sgonfiati nella loro endemica spocchia e umiliati professionalmente. Ed il peggio era che non mancavano pazienti che, recuperata la salute, andavano a dirgliene quattro, magari davanti ad aiuti e assistenti. Un particolare malanimo, tutto unilaterale, proveniva dal clinico medico di riferimento, che era giunto preceduto dalla fama di allievo di un grande medico, il Prof. Frugoni. Pochi sapevano che questi aveva un’opinione contrastante del discepolo: lo stimava per l’erudizione e la parola forbita possedute, non per le attitudini mediche, sulle quali così era solito esprimersi: “…C. è l’ultimo ad andare via la sera ed il primo ad arrivare al mattino: purtroppo, ciò cui non riesce ad arrivare è la diagnosi”. E questo, riferito ad un clinico medico, la dice proprio tutta.
Un caso, in particolare, originò un tenace rancore. Luigi, congiuntamente al noto clinico, fu chiamato da un amico disperato per la salute della moglie, che sembrava condannata. Il forbitissimo collega visitò la donna con gesti eleganti da pianista in frac, che sembravano scaturire da una maestria inarrivabile e riferì al marito sconsolato che non c’era proprio nulla da fare: si trattava di una paralisi progressiva e inarrestabile, che presto l’avrebbe portata a morte. Il tutto concluso da un gesto inequivocabile, una sorta di “ipse dixit”, seguìto alla domanda del marito se non vi fosse possibilità alcuna. All’amico in lacrime Luigi chiese di poter visitare a sua volta la signora. Lo fece al suo solito, soffermandosi particolarmente sulle reazioni agli stimoli cutanei e la compressione di fasci nervosi. Il suo responso fu assai diverso: la donna non aveva nulla, era perfettamente sana e l’unica sua affezione era un pronunciato isterismo. Nonostante la stima, l’amico era però incredulo, per cui lo scienziato escogitò un efficace strumento di convincimento: gli raccomandò di tenere a stecchetto la signora, riferendole che si trattava di una tassativa prescrizione medica. L’indomani sarebbe tornato, mettendolo in condizione di constatare l’esattezza della diagnosi. Così fece. Su un tavolino nella camera dell’inferma, distesa su un letto con un’espressione di infinita afflizione, venne posto un piatto ricolmo di dolci, destinati, le fu detto, ad essere offerti ad amici che sarebbero giunti di lì a poco. Il marito avvertì che usciva per una mezz’ora, prima di salutarla e richiudere la porta della stanza. Dal buco della serratura, invitato da Luigi a guardare, vide con l’occhio sbarrato dalla meraviglia la donna alzarsi rapidamente e, con l’agilità di una gazzella, prendere alcuni dolci e lesta tornare tra le coltri a gustarli con aria beata.
Il caso si riseppe, il luminare notò che gli assistenti, incrociandolo, diventavano paonazzi, si coprivano la bocca come per tic contagioso e nel corso di cene conviviali tra docenti universitari qualcuno rischiò di soffocare per le risate. Se avere molti nemici significa avere molto onore, Luigi poteva considerarsi onoratissimo.
Nel settembre 1948 consegue la docenza in Fisiologia Umana, classificandosi primo fra sessanta concorrenti, nel novembre successivo in Chimica Biologica, risultando ancora primo tra ventotto concorrenti5. Con un curriculum accademico come il suo – tre lauree, due docenze, i giudizi di Tullio, il riconoscimento di Marconi, i premi vinti e parecchi lavori pubblicati – è tempo di mettersi in moto e partecipare ai concorsi a cattedra. Anche l’amico Pompeo Spoto ha conseguito la docenza, e da Novara si tiene in corrispondenza con lui. A differenza di Gino, ha un maestro che lo sostiene e si batte per lui. Per il momento le grandi manovre si concentrano sul far indire in questo o in quest’altro ateneo un concorso a cattedra e sul concordare la composizione delle commissioni. Scorrendo la corrispondenza che gli indirizza Pompeo, spesso accompagnata da copie di illuminanti lettere inviate e ricevute dal suo maestro, emerge un fitto intrico di accordi e contrasti, l’esibizione di bicipiti ed appoggi altolocati, un tale formicolìo di baratti e promesse, acquisizioni e dismissioni, veti e consensi da far invidia all’arte sottile degli uomini in feluca. E’ ovvio che il cattedratico che fa parte di una commissione è per ciò stesso investito di un grande potere, che amministrerà con moderazione o arroganza a seconda del proprio peso e dei propri appoggi, politici o non politici che siano. La tappa successiva alla istituzione del concorso è costituita quindi dal riuscire a entrare a far parte della commissione; e qui il sistema dei veti incrociati o, viceversa, del reciproco benestare, richiede molto tempo, molte trasferte e tanti, tantissimi discorsi e lunghi pranzi o lunghe cene di…lavoro: scripta manent. La contrattazione si sposta quindi al numero di protetti che ogni cattedratico si porta dietro, essendo ovvio che più allievi piazza, più sale la sua quotazione nella borsa accademica. Succede un po’ quel febbrile alternarsi di mugugni e sorrisi, digrignar di denti e andare a braccetto, metter bombe e disinnescarle, che richiama le intese parlamentari o, salendo di livello, il folcloristico accordarsi tra venditori di bestiame: raggiunto il compromesso, i parlamentari che prima declamavano sacri ideali e dipingevano a fosche tinte gli avversari, li intrattengono amabilmente raccontando barzellette davanti ad una tavola imbandita, mentre gli allevatori si stringono calorosamente e ripetutamente le mani dopo averci sputato sopra. Che poi questa procedura assicuri al paese una classe di ricercatori, clinici e docenti valida o deprimente, è un altro paio di maniche. Non è maligna illazione convenire come nessuno sia tanto autolesionista da fornire le ali a colleghi di valore e consentire quindi un confronto destinato a rimarcare la propria mediocrità. E su questa verità abbiamo insistito ed insisteremo.
Sul finire del 1948, da uno di questi eclatanti grovigli di serpi esce la nomina di un “professore straordinario” presso l’università di Modena, destinato a sostituire il cattedratico precedente, posto fuori ruolo dal 1 novembre. Ricorrendo alla più stantia tradizione popolare dei proverbi, potremmo dire che, come cane non mangia cane, così è impossibile la coesistenza di due galli nel pollaio. Il vecchio cattedratico non si rassegna alla perdita dei suoi privilegi, visto anche che ha alcuni sospesi da sistemare.
Se ci attarderemo su questa vicenda lo faremo sia per l’incidenza che gli eventi avranno sulla vita dello scienziato, sia per il ritratto fedele che offre dell’ambiente universitario, qual’era al tempo e qual è, ovviamente peggiorato, oggi. Abbiamo a disposizione una documentazione originale che consentirebbe di fare nomi e riferire circostanze senza tema di smentite, ma questa è una biografia, non il dispositivo di una sentenza di condanna; inoltre, come precisato già nella prefazione, non intendiamo riversare sui figli il disdoro delle azioni paterne. Coerentemente a questa impostazione e nonostante siano passati settant’anni dagli eventi evocati alla stesura di questo libro, eviteremo di fare i nomi dei protagonisti, identificando con una Z il cattedratico scaduto e con lo pseudonimo di “Girarrosto” il professore straordinario. Il conio di questo nomignolo non è nostro, ma dello stesso scienziato, ispirato da un omonimo personaggio del “Corriere dei Piccoli” che comprava ogni domenica a Pippo: si trattava di un prepotente che ne faceva passare di tutti i colori al mite Ciclamino.
Ed ora che abbiamo fatto precisazioni e presentazioni, possiamo continuare.
Uno scritto di Girarrosto descrive il primo incontro tra i due, avvenuto alla stazione di Modena il 14 dicembre 1948: Z sta partendo per Rapallo, mentre il rampante professore straordinario viene a prender visione del futuro feudo, accompagnato da due “aspiranti volontari presso la Clinica Chirurgica”, plausibilmente prima moneta da pagare per disobbligarsi dell’aiuto ricevuto: non mancherà – si intuisce – di raccomandarli. Z avverte di volata Girarrosto che vuole una “delega finanziaria”. Ma non ha tempo di essere più chiaro mentre sale sul vagone: si rechi dal Preside di facoltà che gli spiegherà tutto. Questi gli precisa trattarsi di una delega per continuare ad amministrare i fondi dell’istituto. Girarrosto deve rinunciare al corso ufficiale di Fisiologia per “lasciare il campo libero al Prof. Z.”. In caso contrario – ammonisce il preside – Z, che mantiene rapporti stretti con molti membri della Facoltà, potrebbe togliersi il sassolino dalla scarpa quando, tre anni dopo la nomina, la Facoltà dovrà giudicare la sua attività per la promozione all’ordinariato.
G. deve sentirsi con le spalle sufficientemente coperte da poter impiparsene altamente di questi avvertimenti. E inizia una faida senza esclusione di colpi. Qual’era, per non andare per le lunghe, la verità? Abbiamo a disposizione la copia di un memoriale scritto e firmato dal nuovo arrivato, e sulla cui obiettività non possiamo metter la mano sul fuoco. L’impressione che se ne trae è che Z facesse beatamente i comodi e gli interessi suoi. Come tanti. Sposatosi con giudizio, proprietario di fondi agricoli, cascinali e case, come spesso accade alle persone facoltose oltre che ricco è risparmioso. L’istituto funge da recapito amministrativo dei suoi affari; ma non solo. Pare vengano acquistati strumenti ed apparecchiature scientifiche, registrati (e pagati dall’economato) come modelli molto più complessi e costosi; e che, fra l’altro, anche il carbone per il riscaldamento dell’istituto venga parzialmente riciclato ad uso domestico; senza tener conto del fatto che l’officina di fisiologia …ripara anche attrezzi agricoli. Siccome nessuno meglio di un pesce sa come si fa a nuotare, G. ha scoperto gli altarini. Per il momento ha bisogno di appoggio, perché se Z è un vecchio brontosauro in disarmo, lui è un tirannosauro ancora imberbe e, con i tre anni che deve attendere, potrebbe soccombere a qualche colpo gobbo della nutrita concorrenza. Fa quindi mostra di sentimenti amichevoli nei confronti di Luigi, promette il suo interessamento presso il potente maestro per i prossimi concorsi e, intanto, gli chiede diversi favori. Il tutto per corrispondenza, visto che un’incredibile serie di iatture sembra colpirlo. In lettere del gennaio 1949 gli chiede di interessarsi per una casa signorile e nel centro di Modena da occupare in affitto; di vedere se qualcuno può venire a ritirare a domicilio la biancheria da lavare; se un bar vicino gli può portare la prima colazione; e poi bisognerebbe pensare ai cuscini ed alle federe per il letto, alla tappezzeria, a qualche tappeto. Lui purtroppo non si può muovere dalla sua residenza. Prima parla di un lutto, quindi di ascesso epatico amebico, poi della complicazione di una colecistite. In febbraio la moglie ha presentato “…segni di squilibrio mentale” e lo ha lasciato senza assistenza. Ma rientrerà entro fine mese, assicura. Intanto Luigi dica al Preside della facoltà di Scienze, il Prof. Negodi, apparso ostile al barone rampante, che stia tranquillo: tanto, ci penserà Luigi a sostituirlo, no? Ai primi di marzo subentra un ascesso all’ombelico: Luigi porti pazienza, vada avanti con le sue lezioni ed esercitazioni.
Lutti, ascessi epatici amebici, colecistiti, consorti squilibrate ed ascessi ombelicali non frenano però tutta una serie di lettere e telegrammi, micidiali siluri lanciati contro il brontosauro. Il direttore amministrativo, molto intimo di Z, viene diffidato dal pagare una nota di 250.000 lire per apparecchi e di approvare una proposta d’acquisto di 427.585 lire relativa a vetreria. Nel frattempo G. scrive a Luigi e assicura che si sta attivando perché venga inserito in qualche terna e che, in ogni caso “…con tutte le mie forze ti aiuterò fino all’impossibile…”. Gli consiglia anche di adoperarsi per fare indire un concorso per Chimica Biologica: come proponente porrebbe una seria ipoteca sull’aggiudicazione. Intanto non consenta a Z di portar via nemmeno una matita. Non mancano scontri epistolari tra il sovrano deposto e il nuovo, con mostra di dignitosa indignazione del primo e ossequio formale del secondo, che insinua sottilmente sia stato Luigi a rivelargli certe irregolarità. Ed in una lettera si apprende che i rapporti con il clinico che non arrivava alla diagnosi sono assai cordiali.
Non che lo scienziato si fidi del barone in pectore, ma un poco stenta a credere che finga fino a questo punto. La pensa diversamente Pompeo, che gli raccomanda ripetutamente di non fidarsi. Ed ha ragione, visto che G., tanto per cominciare, trova un accordo con il direttore amministrativo, tanto distratto nei confronti delle marachelle di Z, quanto comprensivo per le improrogabili esigenze scientifiche comunicate dal nuovo porporato: una rete matrimoniale più due materassi più due cuscini – lire sessantamila – ed alcune sedie per ospiti di riguardo – lire cinquantamila. E’ morto il re, viva il re.
A marzo si rifà vivo Recordati, con una lettera al Rettore nella quale si offre di finanziare una cattedra di Fisiologia Generale o di Chimica Biologica presso la facoltà di Scienze. Probabilmente ha intuito che Luigi, sfruttato in ogni modo, ha bisogno di autonomia per continuare nel lavoro di ricerca e, se questa autonomia raggiungerà, non mancherà di manifestargli la sua gratitudine. Così pensa.
Nel frattempo in istituto la situazione si fa anche più pesante quando emergono ulteriori gravi irregolarità sui registri inventariali, tra cui la mancata indicazione delle pagine complessive, presenza di abrasioni, specie in coincidenza di acquisti per cifre tonde, fatture senza indicazione della prestazione, originali mancanti. Alla fine di marzo Luigi viene convocato dal preside di facoltà, perché riferisca intorno alle irregolarità riscontrate e G. chiede il sequestro di tutti i documenti conservati in istituto, indirizzando anche una relazione al Ministero: “…Ho constatato gravi evidenti cancellature e variazioni nei registri inventariali di questo Istituto, mi sono state segnalate irregolarità amministrative ed alle mie ripetute richieste di confrontare i registri inventariali …mi è stato risposto che non ne esiste copia …ritengo doveroso pregare di voler inviare con urgenza sul posto un competente funzionario che svolga opportuna inchiesta amministrativa e sistemi ogni cosa”. In realtà non ha constatato un bel nulla, in quanto “per ragioni familiari e precisamente per una pratica riguardante il posto occupato da mia moglie al Municipio, sono costretto a rimandare di qualche giorno la partenza”. Z nel frattempo scrive una lettera risentita a Luigi, che gli risponde con misura ma molta chiarezza, precisando alla fine dello scritto che “non rancori, interessi, calcoli mi guidano nella condotta attuale, ma solo la visione superiore di un rigido attaccamento al dovere e di una onesta ed intemerata lealtà“.
Finalmente Girarrosto arriva e il 20 giugno 1949 ha luogo in istituto una perquisizione disposta dall’autorità giudiziaria. E’ il trionfo del barone in pectore che, nei confronti del Ministero, si presenta quale integerrimo servitore dello Stato. Ma bisogna pensare alla comunità accademica, che poco gradisce le si alzino le gonne per sbirciarci sotto. Z esce di scena senza gravi conseguenze personali (si sa, con i bombardamenti sono andate perdute tante carte), direttore amministrativo e preside di facoltà possono, con calma, far sgocciolare via le loro connivenze e G. non ha più motivo di temere – ora che è un benemerito e che c’è stata un’inchiesta – per la conferma dei tre anni: qualsiasi ritorsione equivarrebbe ad un’autodenuncia. Ma rimane un problema serio, la cui risoluzione, peraltro, G. ha già da tempo attentamente programmato: un cattedratico, uno degli “Immortali”, uno che sa tanto di tanti e si è sempre attenuto al modello comune, è stato pubblicamente svergognato, nonostante la solidaristica minimizzazione dispiegata dal senato accademico. E’ una cosa molto grave, un precedente pericoloso, un sacrilegio che non bisogna lasciare impunito. Chi ha sollevato lo scandalo e messo in pericolo un’affiatata confraternita? A questa domanda risponde G. con insinuanti argomentazioni: lui non ha fatto altro che prendere atto delle segnalazioni che gli erano state fatte – non poteva certo esimersi – e d’altra parte non c’era, era lontano, trattenuto da malanni e mille contrattempi. Allora chi è stato? Non è difficile individuarlo: basta pensare a chi non si è adeguato alle regole, vuol fare il primo della classe, ostenta laboriosità e senso del dovere, non è – insomma – uno di loro. Un tam tam discreto di segnali Morse si diffonde nella notte che avvolge la giungla accademica e giunge lontano, fino alle orecchie dei programmatori di terne, delle sfingi baronali, fino ai magnanimi lombi assisi in cattedra. Uno dei prìncipi, che le natiche se le sprimaccia anche su un seggio parlamentare, sentenzia: “Di Bella in cattedra? Mai! Ha tradito il suo maestro”. G. può complimentarsi con se stesso. Ha fatto fuori il brontosauro che non voleva farsi da parte, ipotecato la conferma dell’ordinariato e non solo ha eliminato un pericoloso concorrente, ma può ora impiegarlo come galeotto alla voga.
Questa vicenda è emblematica della moralità accademica e ricorda la trama di un celebre romanzo di Dumas, “il conte di Montecristo”, quantomeno a proposito delle ingiustizie subìte dal protagonista e dei sepolcri imbiancati che vi compaiono. La differenza sostanziale è nella reazione di Edmond Dantès, molto diversa da quella di Luigi Di Bella, geneticamente incapace di rispondere con il male al male. Questi non ha avuto alcuna parte nella genesi dello scandalo, non era al corrente di tante magagne e di tante altre non in grado di fornire le prove. Si fosse anche “macchiato” della colpa addebitatagli, avrebbe fatto unicamente il suo dovere, evitando di incorrere nel reato penale e morale di complicità. Ma in quel mondo, chi non è complice è reo.
Ben diversa la valutazione dei lessicali colleghi. In una comunità di ladri, il collega arrestato riceve una silenziosa solidarietà (poteva capitare benissimo agli altri associati), mentre l’onesto viene considerato un infiltrato, un delatore e trattato da ladro: uno “sbirro” insomma… La disonestà, per i disonesti, è l’onestà; il valore, per i mediocri, la mediocrità; l’ignoranza, per gli ignoranti, la cultura. L’episodio narrato succintamente è il ritratto fedele, anche se edulcorato, della mafia accademica e costituisce una eloquente spiegazione di tanti perché. Spiega perché tanto sia diffusa l’impunità in campo medico, perché la diagnosi sia oggi un’evanescente utopia, perché protocolli uguali per tutti siano prescritti pedissequamente, perché una mentalità lucrativa abbia sostituito coscienza professionale ed umana; perché, in una parola, l’arte medica sia oggi raffigurabile più come corrotta cortigiana che come dea pagana.
A questo punto G. può iniziare una lunga sequela di prepotenze e cattiverie nei confronti di Luigi, sicuro che nessuno alzerà un dito per difendere la vittima.
Mentre si svolgono questi eventi, non mancano preoccupazioni domestiche nella famiglia Di Bella. Adolfo ha contratto una violenta tosse convulsiva che lo sfibra. Quando di notte è assalito da qualche crisi, il padre se lo tiene stretto fra le braccia, senza avvertire stanchezza, senza lasciarlo un attimo. Non ha voluto che fosse vaccinato. Abituato a dire la verità, si reca dall’ufficiale sanitario e consegnandogli il certificato di vaccinazione gli dice con disarmante franchezza: “te lo dico subito: è un falso, perché non ho vaccinato mio figlio e mi rifiuto di farlo. Il rischio di farne un infelice per tutta la vita è molto superiore a quello che si vorrebbe prevenire”.
Sopraggiunge anche una epidemia di poliomielite che aumenta ulteriormente l’ansia di Luigi. E’ quindi una grazia l’invito rivolto dalla famiglia Costa perché la famigliola trascorra l’estate a Messina. Luigi deve però tornare presto a Modena, sia per la situazione descritta che per mantenere e intensificare i contatti utili per i concorsi che avranno inizio di lì a poco. La corrispondenza con Ciccina e con l’amico Pompeo Spoto, gelosamente conservata, risulta preziosa per seguire gli eventi.
Deve essere stato duro tornare e ritrovarsi solo nella città appisolata nel caldo torpore del mese di agosto, annichilito dal silenzio della casa. Anche economicamente le cose non vanno bene. A parte l’affitto e il mantenimento della famiglia, gli eventi descritti hanno ridotto a zero le magre sovvenzioni per la ricerca e Luigi, che non ha alcuna intenzione di starsene con le mani in mano, deve affrontare personalmente parecchie spese. Per giunta ha anticipato di tasca propria somme non irrilevanti su richiesta di G., che ha promesso una pronta rifusione non appena passata la buriana. Non avrà un centesimo. C’è da chiedersi come sia stata registrata la contabilità d’istituto; forse “donazione del Prof. Luigi Di Bella?”: non ce ne meraviglieremmo, se non sospettassimo diverse sistemazioni ragionieristiche.
Da una lettera di Pompeo del 13 settembre apprendiamo che l’attività dello scienziato è incessante. Ha “messo magistralmente a posto”…alcuni lavori per conto di due nominativi “in”, che manco lo hanno ringraziato. Tutto dovuto, da quel piccolo sorcio traditore, ma …che fa tanto comodo! Pompeo gli chiede di spiegargli le ragioni di impiego “…delle vitamine B1, B6 e PP..” e chiede se “..la Roche ti ha spedito il betacarotene”; testimonianza indiretta della direzione seguìta dallo scienziato nelle sue ricerche.
Qualche giorno dopo Luigi raggiunge i suoi a Messina. Pippo era oppresso dalla malinconia, mentre Adolfo, che spiccica solo qualche vaga parola, manifestava la nostalgia del papà serrando con le braccine il collo di Giovannino – corso a vedere il nuovo nipotino – la cui aria di famiglia è assai pronunciata. Tonuccio ha adibito una stanzetta attigua alla farmacia a laboratorio di analisi, mentre Peppino lavora in farmacia, visto che papà Giovanni, che soffre di calcolosi vescicale, si è ritirato e passa le giornate a leggere nel suo studio. E’ sufficiente che si diffonda la notizia dell’arrivo di Gino perché piovano richieste in farmacia e nel laboratorio. Si tratta per lo più di diagnosi mancate o di casi per i quali i medici non sanno che pesci pigliare. Si è confidato con Tonuccio, gli ha parlato delle difficoltà, anche di ordine economico, che sta incontrando e quando l’ex Spasciamunnu apprende che poco ci manca ringrazi i pazienti dopo averli visitati, senza dirgli nulla li ricontatta e fa capire loro che persino Gino ha esigenze materiali. Dopo quell’esperienza Peppino e Tonuccio saranno assillati da richieste di visite e frequentemente, per anni, si sentiranno chiedere quando “torna il professore di Modena”.
Non mancano casi clamorosi, come quello di un padre di famiglia che piange disperato tutto il giorno perché gli è stato diagnosticato un cancro intestinale e detto che non c’è niente da fare. Luigi lo visita a lungo e rassicura il poveretto, dicendogli di rivolgersi ad un chirurgo di sua fiducia e di consegnargli una sua nota. Quando il chirurgo incide, zampilla un getto di pus: è un ascesso e non un cancro. Le benedizioni del malato e della sua famiglia fanno da contraltare alla stizza del mediocre e catastrofico diagnosticatore: un medico può perdonare l’ingiuria, ma non che si sveli la sua mediocrità professionale.
Rivede anche babbo Giuseppe, che soggiorna da Maddalena e non manca qualche serata spensierata nel villino Runci, tra il suono del pianoforte e del mandolino. Poi il giorno della partenza, lo strazio del congedo da Ciccina, dai suoi piccoli, il distacco da quella terra che sembra tenerlo abbracciato fino a quando il ferry boat non spegne i motori nel porto di Villa San Giovanni. L’ultimo sguardo è per la città amata, mentre nuvole porporine corrono alte sui Peloritani, frementi delle nenie fiabesche che si levano dai pini e dagli eucalipti dei colli. Sa sempre di addio, mai di arrivederci, il saluto alla propria terra.
Come prevedibile, i rapporti con G. sono sempre più difficili e in una lettera a Ciccina si legge di “mascalzonate di Girarrosto”. No, bisogna muoversi, cercare di andare via da Modena, sfuggire a quel prepotente che vorrebbe annullarlo, impedirgli di lavorare, sfruttarlo in tutti i modi. Partecipa ad un congresso a Siena e cerca di trovare il modo di continuare la ricerca con i suoi collaboratori, per l’avvenire dei quali si sente investito di grandi responsabilità. Alla fine si presenta un’occasione favorevole.
In seguito al formale impegno di Recordati, la Facoltà di Scienze aveva accettato di istituire una cattedra di Fisiologia Generale, con l’unica condizione che fosse preventivamente creato un laboratorio autonomo. Il Ministero, ovviamente contattato, aveva espresso il suo consenso. Le difficoltà erano fioccate subito e senza risparmio, principalmente per iniziativa del direttore amministrativo. Questi che, come abbiamo visto, era di pasta simile al neo-barone ed a lui ora devoto, anche in dispregio a disposizioni in vigore aveva accampato l’indispensabile assolvimento di capziosità di ogni genere.
Luigi si dà da fare e apprende che in pieno centro, all’interno del complesso del collegio San Carlo, dove è alloggiata anche la facoltà di fisica, sarebbe disponibile un ampio locale inutilizzato, ideale per svolgere lavoro sperimentale e didattico. Se dalla facoltà di medicina non c’è da aspettarsi altro che ostilità, da altri gli giungono appoggi: un parlamentare, l’On. A. Bartole, si interessa presso il consiglio d’amministrazione del S. Carlo perché conceda in locazione l’unità, mentre il direttore dell’Istituto di fisica, il Prof. M. Pierucci, che nutre grande stima per il fisiologo, consente l’uso del proprio ingresso. A fare da scudo agli strali della baronia medica ci penserà il Prof. Negodi, Preside della facoltà di Scienze. D’altra parte questa sembra essere l’unica via d’uscita per non venire stritolato dalle manovre in atto. Occorrono subito 250.000 lire – per eseguire diversi lavori e dotare il locale di impianti di acqua, gas ed elettricità – che Negodi ottiene siano anticipate dall’università, in attesa dell’oblazione per pari cifra di Recordati. Ma gli aiuti economici finiscono qua. Tra gli arieti del baronale gregge medico preso alla sprovvista, nessuno mostra di prendere sul serio l’iniziativa, un po’ per non abbassarsi a guardare verso faccende della servitù, un po’ nella fiducia che la cosa si esaurirà da sola; quel morto di fame non riuscirà a mettere insieme altro che qualche pipetta ed un paio di gabbie e, anzi, darà l’occasione per ridere un poco di lui. Questi sa bene che non si tratta solo di rimboccarsi le maniche, ma anche di provvedere in proprio ad attrezzare il laboratorio, sia perché nessuno è disposto a tollerare la bizzarria che fondi per la ricerca siano usati per la ricerca, sia perché, in ogni caso, si tratterebbe di intaccare lo jus pecuniae riservato ai glutei di sangue blu.
I locali sono ampi a sufficienza – circa 260 metri quadrati – e, soprattutto, a più di mezzo chilometro dal luogo dove G. già imperversa. In una lettera spedita al Ministero, Luigi chiede sia dato “…suggello di ufficialità al nuovo Istituto”, la cui nascita “oltre a dare nuovo lustro all’Università, contribuirebbe ad incrementare la ricerca scientifica ed a conferire la dovuta serietà ad un insegnamento di fondamentale importanza…”.
E scrive ancora:
Pur avendo avuto il sottoscritto negli anni 1943/1948 l’incarico della Fisiologia generale, fu costretto a svolgere programmi obbligati su testi di Fisiologia Umana obbligati, escluso o dominato nelle commissioni d’esami della materia d’insegnamento: addirittura negli anni 1946-47 fu escluso totalmente dall’insegnamento della Fisiologia Generale ed obbligato invece a svolgere il corso di Chimica Biologica, di cui non era incaricato. Il sopruso, per quanto grave, si è verificato, e nulla vieta pensare che altri, peggiori anche, se ne verificheranno, sempre che la Fisiologia Generale non venga insegnata in un laboratorio autonomo. Nell’anno accademico 1948-49 il sottoscritto fu obbligato a lasciare l’incarico della Fisiologia Generale, già conferitogli, ad anno accademico inoltrato. Il nuovo titolare impartì nell’anno solo sette lezioni, nelle quali svolse tutta la Fisiologia Umana (non Generale) della circolazione e della digestione. In tutto l’anno le lezioni di Fisiologia Generale del sistema nervoso furono impartite dal sottoscritto. Ne è risultato un tale sconvolgimento di programmi, di testi, di orientamenti, con una tale confusione e mediocrità nella preparazione degli studenti, che si ripercuote dannosamente purtroppo ancora oggi nella preparazione stessa. A parere del sottoscritto un insegnamento dell’importanza della Fisiologia Generale – che è l’anima delle Scienze Biologiche – non può costituire la cenerentola di un Istituto di Fisiologia Umana, appartenente ad una Facoltà diversa totalmente, dove verrebbe, per necessità di cose, sempre impartito mediocremente, con mentalità e metodi inadeguati, come un semplice riassunto della Fisiologia Umana. Non trattasi di pura questione di prestigio di Facoltà, ma di precisa ed inderogabile necessità didattica e scientifica; sia per l’integrazione ed il completamento armonico e proporzionato degli insegnamenti della Facoltà di Scienze, come per la disponibilità nell’ambito della Facoltà stessa di un Laboratorio specificamente orientato. Fin quando l’insegnamento della Fisiologia Generale verrà impartito in un Istituto di Fisiologia Umana, esso sarà di necessità trascurato, svolto insufficientemente, considerato come semplice mezzo per aumentare le entrate del Laboratorio.
L’investimento, tra mobili, vetrerie, apparecchi scientifici, libri, prodotti chimici supera largamente i tre milioni di lire, somma al tempo cospicua. Come scrive lo stesso Luigi “Di questa somma l’Università non ha sentito alcun aggravio, essendo stata completamente sostenuta dall’attuale incaricato Prof. Luigi Di Bella”. Ben consapevole che, se già è rischioso fare il proprio dovere in un ambiente da tiraccampà, lavorare con entusiasmo tra fannulloni è mera temerarietà, pensa che rendere pubblica l’iniziativa costituisca una misura di tutela da malevolenze. Scriverà quindi e pubblicherà un libricino, nel quale vengono descritte le finalità del laboratorio, la genesi della sua creazione, le numerose apparecchiature a corredo6. Una delle linee-guida è che, senza la padronanza della fisiologia generale, la fisiologia umana abbia ben poco senso: sarebbe come pretendere di scrivere con efficacia ed eleganza senza conoscere ortografia, grammatica e sintassi. Assai eloquenti le citazioni riportate sulla prima pagina, tra le quali spiccano tre versi tratti dal XIII Canto del Paradiso dantesco: “ch’i’ ho veduto tutto il verno prima/lo prun mostrarsi rigido e feroce,/poscia portar la rosa in su la cima”.
Con il suo piccolo gruppo di collaboratori Luigi si butta a capofitto nel lavoro, pur senza farsi soverchie illusioni per il futuro. Le sue doti intellettuali e culturali, unite ad una capacità innata di organizzatore, potrebbero trasformare questo laboratorio in un autentico faro scientifico per l’Italia. I primi frutti non tardano comunque ad arrivare: attività didattica a parte, sono approntati due lavori sperimentali ed altri tre vengono inviati a riviste estere che li accettano per la pubblicazione7.
Pompeo si offre anche di aiutarlo economicamente ed in una lettera del 25 ottobre accenna ad un brevetto per il “Nitrito sodico”, aggiungendo: “a condizione che tutti gli emolumenti vadano a costituire il fondo cassa del tuo istituto; l’idea è tua; tu hai impostato le ricerche, io sono stato un esecutore materiale e non altro”.
A metà novembre Luigi fa una scappata a Messina, si rinfranca nello spirito a contatto con Ciccina ed i bambini, visita il suocero e gli prescrive una terapia. La manciata di giorni vola via e deve ripartire. Ciccina gli scrive: “…provavo sollievo al pensiero di averti visto e nello stesso tempo grande sconforto nel non vederti più accanto a me. Pippo ha provato tanto dispiacere. Quando siamo arrivati a casa si è gettato nelle braccia della zia Rosalia mettendosi a singhiozzare forte e facendo commuovere tutti. Adolfuccio, mentre eravamo a letto, sentendo rumore nella stanza vicina e credendo che fossi tu ti chiamava:’ papà veni, veni papà’ ”.
Tornato nell’ambiente di lavoro, si ritrova come in un campo di battaglia, sul quale piovono proiettili sparati da cannoni mimetizzati nella boscaglia, che fanno fuoco senza rumore né vampa né fumo.
Nella seduta del 26 novembre la Facoltà di Scienze propone sia bandito il concorso per l’istituzione di una cattedra di fisiologia generale. A questo punto, sembra che le cose siano avviate per il meglio.
Pompeo lo spinge ad essere guardingo e diffidente e senza giri di parole gli scrive “Il tuo più acerrimo nemico è Girarrosto”, e gli consiglia di “fare tutto il contrario di quello che ti suggerisce”. Già, perché l’individuo recita anche la parte di chi dà suggerimenti fraterni e gli ha comunicato di essersi “..legato assai intimamente” con un potente personaggio, al quale si è prima fatto cenno, che divide i glutei tra cattedra e seggio parlamentare: come dire che ha …i mezzi giusti per aiutarlo.
Il 29 novembre arriva il classico fulmine a ciel sereno sotto forma di lettera al rettore.
Al Magnifico Rettore U.M.
Mi riferisco alla mia lettera del 26 marzo scorso, per parteciparLe che, per motivi sopravvenuti da quella data, non mi è più possibile provvedere al finanziamento per l’istituzione presso codesta Università di una Cattedra di Fisiologia Generale o di Chimica Biologica e La prego pertanto di considerare nulla la proposta allora avanzata.
Con ossequio, mi creda
Dr. Comm. Giovanni Recordati
Luigi viene avvisato con un biglietto, ma a cose già fatte. Non fa polemiche, ma risponde :
La ringrazio della Sua, mentre vivamente deploro la lettera inviata al Rettorato, senza preavvisarmi, e che mi danneggia moralmente. Io non discuto la sua decisione; ma credo non ci volesse molto a capire essere più onorevole tacere, anziché scrivere sulla smentita ad un impegno spontaneamente assunto e per il quale aveva ricevuto un ringraziamento dalle Autorità Accademiche. La Facoltà di Scienze mi sembra giustamente indignata, ed io con Essa. L’avvenire le dirà se la Sua decisione abbia servito al prestigio ed agli interessi Suoi.
Presto appare chiaro cosa c’è sotto. G. attira più disprezzo che altro, ma porta pur sempre la “greca” sul cappello: è “uno di loro”. Non importa se certe chiacchiere maligne ricollegano la sua ternazione all’avere prontamente impalmato l’amante del “maestro”, fattasi troppo invadente: nell’unta e sudicia storia delle vicende universitarie s’è visto ben altro. G. ha talento per le convivialità, specie se aromatizzate dagli effluvi della tavola, e per la vita di relazione in genere. Senza dar l’aria di tirar l’acqua al proprio mulino – quasi pour parler – fa qualche salace osservazione sul quel pezzente che li ha messi tutti nel sacco. Sì, messi nel sacco: perché ha snobbato l’autorità dei vertici accademici e ostentato che se ne infischia altamente. In quattro e quattr’otto si è trovato un imprenditore che lo finanzia, un laboratorio, ha fatto un inciucio con la facoltà di scienze e, alla faccia loro, si è preparato la cattedra. Certo, se tutti lo prendono a esempio e cominciano a fare così …si viene a creare un precedente pericoloso! Dove va a finire la ritualità, la tradizionale notte passata digiuni a pregare stesi sul pavimento e davanti l’effigie del Maestro, l’investitura solenne con l’apposizione simbolica dello spiedo sulla spalla? No, davvero non c’è più religione.
Sono semi velenosi gettati con non chalance tra una fetta di cotechino ed una cucchiaiata di fagioli bianchi, e sono semi che faranno germogliare les fleurs du mal, o che, quantomeno eccitano, per assonanza di pensieri, la crescita di diversi motivi di preoccupazione. Già c’è qualcuno che, come abbiamo visto, non ha digerito le magre figure di diagnosticatore che gli è toccato fare; se aggiungiamo che a nessun altro sorride l’idea di trovarsi un termine di paragone troppo scomodo, sia per capacità che per rigore morale, possiamo facilmente immaginare quali sogni inquieti comincino ad agitare le notti di non pochi P.U.R.I (ironico acronimo creato dallo scienziato: Professori Universitari (di) Ruolo Italiani…).
Le finalità di G. sono chiare: invidia a parte, non reagire significherebbe, per lui, rimanere nudo, con i riflettori puntati sulla sua nullità scientifica, dover svolgere un minimo di attività didattica invece di accollarla a Luigi e – soprattutto – non essendo capace nemmeno di tenere in mano una beuta, trovarsi in difficoltà o in imbarazzo a chiedere e ottenere fondi per istituto. Ed il ruolo di ministro senza portafoglio non gli va proprio.
Luigi accusa il colpo, senza comunque alzare ancora le mani in segno di resa. Ciccina cerca di rincuorarlo e scrive, a proposito dell’imprenditore “…non credevo che fosse tanto variabile…”. G. gongola dentro di sé, ma finge sorpresa e il 29 dicembre scrive a Luigi, il quale parla chiaramente di “…un’azione partita da Modena”, che “forse qualche piccolo errore hai commesso senza accorgertene…”, e lo informa – raccomandandogli discrezione – di una voce che corre: sarebbe stato Luigi stesso a consigliare a Recordati di ritirarsi…!! Intanto, per non perder tempo, veda di trovargli la casa, acquistare un materasso di crine e cuscini di lana “della migliore qualità”.
A Luigi tocca pure la beffa di dover assicurare al preside della facoltà di scienze che lui, con la retromarcia di Recordati, non c’entra proprio, scrivendogli, nell’imminenza delle festività natalizie, una lettera della quale abbiamo rintracciato la minuta: “Sono vivamente spiacente sia pervenuta a Lei, a quanto m’informa …(segue il nome di Girarrosto), la voce che sia stato proprio io a sabotare la convenzione per il finanziamento della Cattedra di Fisiologia Generale da parte del Dr. Recordati…”. Segue una precisa ricostruzione degli eventi, dai quali si apprende che Luigi aveva colto, in un colloquio con l’industriale farmaceutico, alcuni “fatti nuovi”, che questi non aveva ritenuto opportuno palesare: “…dalle sue frasi colsi spunti che mi fecero chiaramente insospettire circa influenze estranee sopravvenute dal precedente colloquio, in seguito ai noti eventi nella nostra Università …Io porto la personale convinzione che il Dr. Recordati si sia ritirato…perché fattori estranei diversi siano sfavorevolmente giunti al suo orecchio. E di ciò non credo portarne la colpa, essendone proprio io la vittima di situazioni torbide e incerte, di mene, chiacchiere e calunnie dolorose”.
Stando così le cose, l’amico cerca di inventarsi nuove fonti di finanziamento del laboratorio: ancora non è detta l’ultima parola.
Ma la situazione economica si è fatta critica, perché Luigi non solo non ha più una lira, ma è indebitato fino al collo. Ciccina gli scrive insistendo perché la raggiunga: potrebbe metter da parte qualcosa visitando …idea che trova sordo lo scienziato, visto che gli ripugna l’idea di farsi remunerare per la sua attività di medico. Ma la tentazione di scendere a Messina per qualche giorno viene vanificata da una febbre violenta che lo coglie, complici senz’altro le tante amarezze e l’economia spietata, anche sull’alimentazione, che è costretto a fare. Passa la Vigilia da solo e tra cupi pensieri. Ripresosi, viene informato circa manovre in atto per alcuni concorsi da Pompeo, che gli chiede di aiutarlo a imbastire un lavoro da presentare e lo informa di essere riuscito ad ottenere un finanziamento per l’istituto di 50.000 lire. Occorre molto di più per mandare avanti un minimo di ricerca: i reagenti costano, le cavie non sono da meno e l’unica soluzione è un prestito offerto a Luigi dall’amico, con l’intesa che lo restituirà in un paio d’anni.
Due giorni a Messina accanto ai suoi e poi da capo a combattere questa dura battaglia: e non è certo un’espressione convenzionale.
L’unica cosa positiva è che a Vigildo Ferrari è stato concesso lo stipendio per tutto l’anno 1950, notizia che rinfranca Luigi, in pena per l’avvenire dell’allievo, al quale è grato per la devozione e la lealtà che gli dimostra continuamente.
Il nuovo anno si apre su uno scenario di difficoltà e incertezze. Luigi pensa di vendere un quadro e un prezioso corno istoriato che ha portato dalla Grecia. Sul fronte accademico è tempo di grande manovre. L’amico gli scrive il 13 gennaio:
Iniziata propaganda elettorale per la votazione dei nomi per la commissione del Concorso di Clin. Ost. e Ginec. dell’Università di Perugia. …diversi colloqui …il principale si porta con la seguente terna e sono partite già circa 300 circolari!! Io sono fra i papabili, ma tutto dipende dalla Commissione e dalle sorprese che si possono avere all’ultimo momento!! Già abbiamo esperienza. Comunque il Maestro ha fatto sapere che se non mi “ternano” non prenderanno mai Novara né Vercelli. Quindi abbiamo in mano qualche cosa da barattare per i più giovani. Se tu vuoi fare qualche cosa per me..Io poi sto cercando di scrivere qualche lavoretto da presentare al Concorso e in ciò conto nel tuo appoggio sempre nei limiti delle tue possibilità di tempo e di serenità di spirito.
In questo periodo lo scienziato cercherà con tutte le sue forze di uscire dalla situazione difficile nella quale si trova partecipando a concorsi per cattedra. Alla fine di gennaio decide di andare a Roma a conferire con il già citato barone onorevole, versione aggiornata del Conte Zio di manzoniana memoria, che nelle aule parlamentari ha ulteriormente affinato l’arte del sorriso propedeutico alla pugnalata e della profusione di promesse destinate a rimaner tali.
Per quanto riguarda Spoto, la coscienza del valore dell’amico traspare in tutte le numerose lettere di cui disponiamo, ricche di squarci di estremo interesse, decisive per comprendere quali siano i “giochi” caratteristici dell’ambiente accademico ed i riti di un mondo, sfumato sempre dal velo dell’omertà, che pochi profani conoscono o riescono ad immaginare.
Nel sollecitare uno scritto dell’amico Gino sul tema delle malformazioni del feto, Pompeo scrive:
Le case farmaceutiche premono per esporre le loro bancarelle …in presenza dei papaveri debbo salvare la faccia e non fare cattiva figura …dimmi se ci si potrà vedere a Modena o altrove per qualche giorno per la Pasqua …se tu credi di spuntarcela con le malformazioni; se si può fare a meno di quelle indagini sui sordomuti, sui malformati oculari ecc. in quanto incontro dappertutto difficoltà.
Intanto la situazione economica si è ulteriormente appesantita in seguito all’acquisto di apparecchiature per il laboratorio e Luigi non sa come venirne fuori. Pompeo gli presta 300.000 lire (cifra vicina a quella degli stipendi annuali), che gli consentono di affrontare le pendenze più improrogabili. Per giunta sopravviene una otite dolorosa che lo tormenta e gli nega anche il poco riposo che si concede. Né le cose vanno meglio a Messina, dove Ciccina patisce i primi pesanti disturbi di una colite che la tormenterà per buona parte della vita. Ma bisogna tirare avanti e, per il momento, l’unica prospettiva può venire dal concorso a cattedra per il quale ha appena sostenuto le prove prescritte.
Per le festività della Pasqua va a Messina a rivedere i suoi cari, preceduto da un regalo dei suoi studenti che, in qualche modo al corrente delle difficoltà contingenti, hanno appreso l’indirizzo di Ciccina da un bidello compiacente e spedito un uovo di cioccolata per Pippo e Adolfo. Il 12 è già di ritorno a Modena per ultimare lavori da spedire a riviste in Belgio e Spagna, mentre di un altro lavoro, inviato precedentemente ad una importante testata scientifica inglese, gli viene preannunciata la pubblicazione.
Ma in maggio arriva l’esito del concorso, come prevedibile, negativo: i giudizi sono lusinghieri ed unanimi, ma il suo nome non viene ricompreso nella terna.
Lo sconforto trapela dalle lettere di Pompeo e di Ciccina. Il primo scrive il 16: “…essa ti è stata negata perché una elemosina a te concessa non rende nell’ambito della legge del ‘dare e dell’avere’. Ti trovi quindi in un vicolo chiuso. Sono pessimista nella valutazione degli appoggi che attendi da quelle pochissime persone che ritieni ti siano amiche …non seguire i consigli di nessuno …presentati sistematicamente da isolato in tutti i concorsi di Fisiologia Umana, Fisiologia Generale, Chimica Biologica presenti e futuri …non mollare per nessun motivo il tuo posto di aiuto di ruolo a Modena che è l’unica forza che ti rimane; potenzia il tuo laboratorio di Fisiologia Generale difendendolo a tutti i costi …cercando di non urtare i componenti della Facoltà di medicina (potenzialmente tuoi nemici) e di dimostrare che non esiste incompatibilità tra aiuto di ruolo e incaricato del laboratorio di Fis. Gen …pubblica in riviste a larga diffusione. Fatti conoscere dai tuoi nemici e da coloro che non sanno che esisti …sino a quando si decideranno a ternarti”.
Ciccina, che Gino ha informato della cosa, nascondendo in parte l’abbattimento, e che ha un talento innato nell’avvertire la negatività delle persone (lo ha messo più volte in guardia nei confronti di G.), non può comunque immaginare a quale sofisticata bassezza arrivi l’ambiente accademico. Lo rincuora, gli fa avvertire il suo amore e gli ricorda che non è solo, ma ha lei ed i bambini, ottimista sul fatto che il valore del marito avrà ragione delle difficoltà del presente. Gli descrive scene e comportamenti dei loro piccoli, sicura che saranno motivo di conforto e di rinnovata fiducia nell’avvenire: “…Adolfuccio …gli piace suonare il piano …dopo che suona si batte le mani lui stesso dicendo ‘bavo Aoffo, bavo Aoffo’ …Pippo mentre scrivo sta leggendo un libro di racconti…il sole se ne sta andando, lontano si sente qualche tocco di campana: tutto ciò inonda l’animo di tristezza infinita, causata dalla tua lontananza, dal pensiero di cosa farai in questo momento, dove ti troverai, come starai …sono commossa per l’affetto che mi esprimi, sento di volerti bene come marito, ma anche …come figlio, perché provo per te la stessa tenerezza che ho per Adolfuccio e Pippo”.
Sono le parole giuste, che lo aiutano ad affrontare scoramento e difficoltà. G. comincia a togliersi la maschera e da una lettera apprendiamo che c’è stata una “violenta discussione”. Facile risalire ai motivi. G. pretende che Luigi faccia anche le lezioni e le esercitazioni che sarebbe tenuto lui a svolgere, è spesso insolente ed arrogante, cerca in tutti i modi di umiliarlo e sta conducendo una lotta senza quartiere al laboratorio avviato presso il collegio San Carlo. Non mancavano che queste ulteriori tensioni, insieme alle economie feroci finalizzate a fronteggiare le esigenze del momento, per incidere negativamente sulla sua salute. Sviene durante una lezione e riceve una bella lavata di capo da Pompeo, consapevole che l’amico preferisce patire la fame che rinunciare al lavoro scientifico.
Luigi è pervaso dalla nausea per le squallide contrattazioni intorno alle cattedre, ma non ha scelta: o subire G. e le sue prepotenze e dire addio alla ricerca o tentare, dovunque sia, di raggiungere l’indipendenza. Una lettera di Ciccina del 27 giugno si rivela…profetica. Dopo avergli detto che dovrebbe, prima o poi, scrivere una sua autobiografia, aggiunge: “…se non lo farai tu, la farò scrivere ad uno dei nostri figli quando sarà grande …il tuo nome resterà nella storia”.
Quanto a G., accessi di rabbia e di invidia lo portano ad azioni controproducenti per lui stesso. Cerca infatti di prendere a pretesto il lavoro didattico e sperimentale che Luigi svolge presso il laboratorio, per diffondere la voce che diserta l’istituto di fisiologia, per dipingerlo quale docente non ligio ai suoi doveri ed arriva a proporre il suo allontanamento dall’incarico di aiuto. Poco lo squassa il fatto che la moglie lo lasci: d’altronde si trattava di un mero contratto matrimoniale – è il caso di definirlo così – e non di una unione coniugale.
In Luigi si alternano momenti di depressione cupa, nei quali gli capita di pensare agli scenari più tragici, e di determinata volontà di lottare; di rassegnazione e di accessi di collera che lo porterebbero a trascendere a vie di fatto con quel guappo analfabeta che gli tormenta l’esistenza. In una lettera a Ciccina di questo periodo, Luigi descrive le emozioni provate un tristissimo pomeriggio, quando è entrato nel Duomo a cercare conforto: di fronte alla solennità delle arcate, alla semioscurità dell’interno, alle note dell’organo, tutti i motivi di angoscia sembrano immiserirsi e le meschinità umane perdere qualsiasi rilevanza.
Però, passati questi comprensibili spasimi di smarrimento e depressione, lo possiede nuovamente l’indole del lottatore, esaltata dalla passione per la ricerca. Partecipa ad altri concorsi e si ingegna nel frattempo per finire di attrezzare il laboratorio e pagare i debiti. In luglio accetta di presiedere gli esami di maturità a Mantova per raggranellare qualche lira. E’ un’ulteriore dispendio di energie che Spoto gli rimprovera in una lettera del 22 luglio, nella quale lo informa che il suo “maestro” è riuscito ad assemblare una commissione favorevole, mentre Luigi, senza alcuno che si preoccupi per lui, si trova schiacciato tra personaggi insignificanti, ma assai ben sostenuti; gli chiede poi aiuto per lavori che sta scrivendo e promette l’invio di una centrifuga, indispensabile per il lavoro sperimentale.
All’inizio di agosto Luigi è a Roma, per far visita al Conte zio e capire che aria tira. Mille parole, ripetute espressioni di degnazione e cordialità, tra un “caro amico” ed un altro: ma è chiaro che la commissione è stata formata per obbedire ed eseguire, non per valutare. Tornato a Modena si butta a capofitto nel lavoro, affiancato dagli allievi Ferrari e Bianchini, in quanto occorre prepararsi per un importante congresso che si terrà a Taormina. Pompeo capisce bene che l’amico non può andare avanti per molto in queste condizioni: “…il tuo espresso di ieri mi ha costernato …sei al limite estremo …hai bisogno di una vita regolata e di nutrirti bene… Ricordati che io debbo molto a te per il successo del mio concorso …tu mi hai aiutato da fratello a superare il mio fardello di negatività accumulato negli anni di prigionia…”.
A Taormina parla con estrema efficacia e chiarezza, corroborato dalla presenza di Ciccina e Tonuccio. Il suo intervento è seguito ed applaudito ed in tanti si congratulano con lui. Andrà a Linguaglossa, prima di passare alcuni giorni a Messina, dove i Costa ospitano con cordialità Vigildo Ferrari, Bianchini e Luisa Guidotti. Un poco rinfrancato, torna a Modena ad affrontare la difficile situazione: l’esperienza di vita lo porta ad un prudente e disilluso realismo, per cui dà scarsa importanza pratica all’accoglienza ricevuta a Taormina. Anzi, si rende conto che il successo registrato, che ha monopolizzato l’attenzione degli intervenuti a scapito di tanti azzimati e inconcludenti tromboni, può più nuocergli che giovargli.
Subito dopo, i sacrifici ed il superlavoro affrontati presentano il conto sotto forma di una febbre, accompagnata da dolori articolari assai acuti, che lo sfibra ulteriormente. Non che l’indisposizione fermi la sua attività: nel giro di una settimana rivede un lavoro, già suggerito all’amico Spoto, e glielo rispedisce. Questi lo ringrazia, aggiornandolo sulle voci relative ai rispettivi concorsi. 25/10: “…ti sono grato, nessuno meglio di te poteva rimaneggiare il testo onde mettermi al riparo da eventuali critiche”; 27/10: “…grazie a Dio ed a Luigi è andata bene […] Hanno già deciso tutto per il concorso: …il primo e il secondo posto sono cosa ormai definita; esiste ancora un barlume di speranza per te per il terzo posto qualora non riuscissero le cricche a mettersi d’accordo”.
E’ un modo prudente per informare l’amico che i giochi sono fatti e che può togliersi dalla testa di essere “ternato”. Il Prof. Delle Piane ha scritto al Conte zio, nella speranza che un minimo di moralità sia in lui sopravvissuta : “…ti chiedo scusa se ardisco troppo, ma ti prego di prendere sotto la tua protezione il Prof. Luigi Di Bella, vero martire ed eroe della Scienza pura, che io ho avuto modo di apprezzare come studioso e come Uomo. Appoggiandolo compirai una grande opera di giustizia e di umanità […] Non è colpa di Di Bella di non avere oggi un Maestro che possa occuparsi di lui. Egli a mio avviso ha un solo torto: quello di fare la fame nel senso più vegetativo della parola pur di mettere da parte quel tanto che serve a coprire le spese per la ricerca scientifica e per le pubblicazioni. E’ da un anno che tiene lontana la famiglia (presso i suoceri) perché non può mantenerla. E la famiglia dei fisiologi è a conoscenza di tutto ciò!”.
Probabilmente la lettera avrà fatto sorridere l’augusto personaggio, ed ulteriormente convinto del potenziale sovversivismo del pretendente: fare la fame per la ricerca…? Roba da pazzi. E dovremmo dare la cattedra ad un fanatico come questo e nutrirci la serpe in seno?
Alla fine Pompeo, sostenuto dal maestro, ce la fa ad essere ternato. Luigi invece, quando si reca a Roma il 4 novembre, apprende di essere stato escluso. L’amico, sinceramente affranto per lui, gli scrive: “…i commissari hanno creduto opportuno accelerare i tempi ad evitare che potesse essere forzata la cassaforte delle loro malefatte”. Anche il Prof. Moruzzi, direttore dell’Istituto di Fisiologia di Pisa, considerato allora il più autorevole fisiologo italiano ed estimatore da sempre di Luigi, è indignato e gli scrive per dargli alcuni consigli, visto che nulla può contro il Conte zio ed i suoi, fra l’altro affiliati all’esoterica società del compasso e dei triangoli…: “…a) lasciare Modena in modo assoluto b) abbandonare l’idea di incarico ad Urbino e laboratorio a Modena in forma privata. Tre possibilità in ordine di precedenza: 1) Abbandonare la carriera scientifica passando all’industria farmaceutica come biologo 2) Passare alla Clinica venendo con me o andando da Delle Piane 3) andare aiuto di Clementi con il programma di sostituirti un giorno con incarico a R. Nessuna possibilità vi è per te nella Fisiologia Umana”.
Gli fa eco Pompeo, il cui maestro ha lungamente parlato con Moruzzi: “ […] Figurati che lui prevede già la prossima terna per la fisiologia umana che sarà fatta quando Lombroso (1953), Amantea (1955), Clementi (1957), Spadolini (1959), saranno raggiunti dai limiti di età”.
Fermiamoci un istante per intervallare una breve riflessione. Nel 1950 sono già fissati i nomi di coloro che, fra tre, cinque, sette, nove anni, sostituiranno i titolari “in scadenza”. Settant’anni fa, quando il Paese non era precipitato ancora nell’odierna cloaca di vendutismo, immoralità e mediocrità, questa era l’università, questa la prassi nel lotto delle cattedre, questi erano i criteri ispiratori nella designazione dei docenti dei futuri medici; questi i riferimenti della medicina nazionale; questi gli uomini guida: gli uomini, per essere più espliciti, ai quali affidare la sorte di migliaia di malati e della ricerca scientifica. Quasi quarant’anni dopo lo scienziato, riferendosi ai concorsi a cattedra ed alla propria amara esperienza, dirà: “Naturalmente, poiché si era verificato qualche risultato ‘spiacevole’, i cattedratici – che sono gli unici a poter essere commissari – si incontrano di persona. In genere non si scrivono e non si telefonano perché non deve restar traccia di quel che si dicono. Allora le cose funzionavano così: i cinque commissari facevano finta di riunirsi, i concorrenti dovevano spedire i loro lavori ai singoli commissari, i quali facevano finta di leggerli. Quando si bandiva un concorso, infatti, si sapeva in anticipo chi ne sarebbe stato il vincitore. Anzi, il concorso si bandiva perché si sapeva quale terna di candidati sarebbe stata scelta”8.
L’uomo del quale Pietro Tullio aveva scritto dodici anni prima “…….se il Di Bella raggiungerà la meta ne guadagnerà certamente la Fisiologia italiana”, l’uomo premiato da Guglielmo Marconi, che lo voleva al CNR, l’uomo che aveva vinto tutti i concorsi nazionali ai quali aveva partecipato, conseguito tre lauree e due docenze, quell’uomo, non è stato ritenuto dai detentori di cattedra possedere i requisiti per diventare un loro “pari”: valutazione indubbiamente esatta…
Nessuna alterazione, nessuna enfasi, nessuna generalizzazione nella nostra esposizione. I fatti parlano chiaro e sono documentati nei minimi particolari. Ad eterna memoria e vergogna della mafia universitario-baronale, fedelissima sosia dello storico marciume in ogni campo del nostro Paese della/dalla seconda metà del secolo passato, tutta la corrispondenza in originale, i carteggi, i documenti relativi a quanto prima descritto sono e saranno scrupolosamente custoditi a cura nostra e dei nostri figli e nipoti. Sarà una questione di onore per una famiglia come la nostra, che all’onore ha sempre ha conformato la propria condotta. Non si tratta di nutrire sentimenti rancorosi, che di per sé sarebbero sterili, poco nobili e non ci appartengono; e – tutto sommato – nemmeno del sacrosanto diritto (e dovere) di esecrare l’immenso male che è stato fatto ad uno dei più grandi geni di tutti i tempi e la grande sofferenza che gli si è stata causata; ma principalmente del voler fare quanto possibile per favorire la ripresa del cammino della civiltà umana e tutelare il bene di tutti. Perché solo indagando, operando chirurgicamente i più orrendi mali della società umana e facendone “l’istologico”, si può sperare, un domani, di impedire che si ripetano tanto male, tanta bassezza e – permetteteci il termine – tanto schifo.
Nonostante il trauma, lo studio, il lavoro e la vicinanza di allievi devoti lo sostengono. Pompeo gli ha procurato alcune apparecchiature per il laboratorio, ma Luigi, che pure tanto ha fatto per l’amico, non intende ricevere senza dare, se questi scrive: “…non mi devi inviare somme di nessun genere; così facendo mi costringeresti ad aprire un libretto di deposito nominativo a te intestato. Perché, mi chiedo, vuoi fare così? Debbo considerare ciò come l’inizio di una frattura nei nostri rapporti? Io non ho bisogno di soldi; tu ne hai bisogno in questo momento.
Il dispiacere è stato grande e non solo per lui. Il 22 novembre Ciccina, in ansia, gli scrive: “…tante volte, la notte mi sveglio, penso a tutto quello che è successo ed alzo gli occhi al cielo pregando Dio di difenderci ed aiutarci …tu sei l’albero della nostra famigliola, dipendiamo da te e per questo motivo almeno devi avere riguardo per te stesso”.
In questo periodo, nel quale Luigi parla di “momento critico in cui sono assalito dagli sciacalli”, l’unica risorsa economica sulla quale può contare, a parte lo stipendio, è lavorare per altri. Per il momento si tratta di ricerche commissionate; più in là dovrà scrivere di sana pianta lavori per i suoi aguzzini. Appariranno comunque tre suoi lavori, l’ultimo dei quali pubblicato da una rivista scientifica estera di notevole prestigio9. E’ il caso di osservare come la produzione scientifica del Prof. Luigi Di Bella fosse seguita ed unanimemente apprezzata, specie all’estero. Ne sono testimonianza numerose lettere e, come già osservato, richieste di “reprint” di ricercatori ed istituti di ricerca internazionali, particolarmente eloquenti in quanto relative anche a lavori pubblicati su stampa scientifica locale (bollettino della Società Medico Chirurgica di Modena): segno chiaro che i lavori del Prof. Di Bella erano seguiti con interesse assolutamente eccezionale dai vertici della scienza mondiale10. I lavori apparsi nel 1950 saranno seguiti da un lungo silenzio di dieci anni. Apprenderemo più avanti le cause di questo evento.
Ma riprendiamo a scorrere gli eventi di questo periodo.
Bisogna economizzare al massimo, anche perché cominciano a profilarsi all’orizzonte ulteriori nubi. Deve perciò rinunciare a passare le festività natalizie con la sua famiglia. Pompeo lo va a trovare la settimana che precede il Natale e, come gli scriverà, “…temevo di vedere un rudere d’uomo e invece ti ho trovato bene fisicamente e ancora forte nello spirito. E’ la rassegnazione che segue alla disperazione”. Giovannino passa da Modena e si trattiene qualche giorno. La sera della Vigilia i due fratelli vengono invitati dalla famiglia Montanari: è tra amici che gli vogliono bene e che lo aiuteranno a sentirsi meno solo in una ricorrenza tanto evocativa degli affetti familiari.
***
Sono passati dieci anni dalla partenza per la Grecia e dalla morte di Tullio. Luigi non aveva mai riposato sugli allori, né si era arrischiato a considerare scontato il raggiungimento delle mete che si era prefissato, viste le premesse. Ma nemmeno avrebbe ipotizzato di doversi trovare, ancora una volta nella sua vita, a patire freddo, fame, ingiustizie e prepotenze di ogni genere. Quelle passate, comunque, lo avevano allenato, penoso ma efficace mitridatismo, a sopportare di tutto: dolore e sacrificio insegnano molto di più della serenità.
Come avevamo anticipato, cominciano ad avvicinarsi, uno ad uno, vampiri d’ateneo in cerca di lavori per sé ed i propri futuri feudatari, uno sciame di calabroni parassiti che per decenni lo tormenteranno. Luigi ne parla con l’amico di Sassari, che gli raccomanda “…non farti soffiare le idee frutto delle tue fatiche diurne e notturne…“. Occorrerebbe così adattare un celebre detto: “chi disprezza ruba”. Quanto ai concorsi, la stagione venatoria è in pieno svolgimento ed i pochi amici, tra i quali Moruzzi, cercano di individuare qualche spazio libero praticabile. Il 29 marzo è a Messina: confida sarà uno degli ultimi viaggi, visto che, una volta finita la scuola di Pippo, Ciccina ed i bambini torneranno a Modena. Certo, bisognerà stringere i denti, ma i debiti per le apparecchiature di laboratorio sono stati in gran parte pagati, grazie alle economie all’osso ed ai pur magri introiti di una impressionante mole di lavoro supplementare che si è procurato.
Non mancano giorni nei quali viene colto da recidive malariche e da dolori reumatici ed articolari che lo lasciano senza forze, ma ormai questa è diventata una evenienza ricorrente alla quale fa l’abitudine.
Intanto pensa con sempre maggior realismo ad un laboratorio di sua proprietà, per il quale disporrebbe già dello strumentario base, quello impiegato nel locale del collegio San Carlo e totalmente suo. Coglie segnali poco rassicuranti per il futuro e l’unica possibilità di non farsi annichilire e proseguire con il lavoro sperimentale è questa. Ne parla con Pompeo che, per non umiliarlo con l’offerta di aiuti, si propone inizialmente come socio del nuovo laboratorio. Luigi gli vuole bene, ma desidera – se proprio dovrà rinunciare a quello che gli sarebbe dovuto – non dipendere più da nulla e da nessuno. Pompeo lo capirà, limitandosi a prestargli le somme necessarie. Tra maggio e giugno i due si incontrano prima a Pisa e poi a Modena. Dalla corrispondenza di questo periodo si apprende che Luigi ha lavorato anche per il maestro di Pompeo: “…abbiamo potuto realizzare lavoro in breve tempo. Ho scritto al Maestro ed ho parlato di te …è probabile ti mandi copia della sua relazione sulla trasfusione (dove tu hai messo a suo tempo lo zampino …magico) …“.
I primi di luglio si verifica un evento preoccupante, che ipoteca il ritorno a Modena della sua famigliola: compare febbriciattola insistente accompagnata da affanno. Luigi pensa subito ad un focolaio di tubercolosi, diagnosi presto confermata dalle analisi. Spoto gli scrive il 16 luglio 1951: “…ho sempre temuto che la corda tesa avrebbe dovuto fatalmente spezzarsi ma pensavo nel senso di un esaurimento nervoso…..per il momento non parlerò con nessuno di ciò”. Gli raccomanda cure “climatiche ed antibiotiche”, aggiungendo “..se vuoi salvare la tua salute per te e per i tuoi pianta ogni cosa e non pensare per ora a realizzazioni che non servirebbero a nulla senza la tua persona”.
Luigi sa che la notizia della malattia potrebbe essere cinicamente usata contro di lui e rifiuta di affidarsi a chiunque per curarsi. A Pompeo non rimane che prenderne atto, ben consapevole di come sia fermo l’amico nelle sue decisioni: “…mi spiace vivamente che tu debba curarti da solo; le iniezioni di p. aminosalicilato di calcio trombizzano le vene ed io non so sino a quando senza l’ausilio di terzi tu potrai realizzare il ciclo completo di endovenose; da una parte vuoi realizzare il tuo laboratorio e dall’altra non pensi a metterti nelle condizioni fisiche per realizzarlo. Le fatiche di questi ultimi tempi, i dispiaceri, le restrizioni alimentari (a scopo di errate economie), la vita in locali freddi e non riscaldati d’inverno, tutto ha contribuito a creare questa situazione”.
A luglio Luigi individua un’area fabbricabile all’estrema periferia di Modena, località “Madonnina”, in una solitaria traversa della via Emilia intitolata ad un grande fisico: Stefano Marianini. Dal lato opposto della statale, l’autodromo, dove provano le Ferrari e le Maserati e si disputano gare di formula uno. Di abitazioni, in via Marianini ce ne sono ben poche; dall’altro lato della strada, i capannoni delle Carrozzerie Orlandi, che fabbricano pullman su telai di varie marche. La decisione di acquistare il terreno e costruirvi un laboratorio è presto presa. Solo il coraggio della disperazione ed una forza d’animo più unica che rara possono spiegarla. Ha visto naufragare quello per cui ha lavorato per anni, è povero in canna, con la famiglia lontana, malato ed in un estremo stato di prostrazione fisica ed emotiva. Ma non si piega, non si arrende, non rinuncia. Una potenza di volizione e di decisione da leone.
Il 24 luglio Pompeo scrive: “Per l’acquisto del terreno” (via Marianini) posso inviarti subito mezzo milione, a condizione però che questo non costituisca un’altra preoccupazione da aggiungere alle altre; a suo tempo ci metteremo d’accordo se la cosa andrà secondo i tuoi piani. Io sto zitto; non dico a nessuno delle tue condizioni. Mi fai assumere però una responsabilità e un giorno mi si potrà fare la colpa di essere stato zitto non di fronte agli uomini ma di fronte a Dio”.
Per giunta dovrà attendere la prova di non poter risultare contagioso, prima di rivedere i suoi cari. Altro grande sacrificio, altra grande pena della quale rende partecipe l’amico, che bene comprende quale peso debba sorreggere: “…mi dirai che le circostanze te lo impongono ed io penso alla sofferenza intima che proverai, giacché appartieni alla categoria delle persone che lavorano e vivono per la famiglia, nella quale noi troviamo tutto il conforto di cui abbiamo bisogno”.
Il 21 agosto gli giunge una raccomandata del Rettorato che conferma la fondatezza dei suoi timori. Il Collegio San Carlo – gli annuncia la missiva – chiede la restituzione dei locali! Si sbrighi quindi a “sgombrare detto salone da persone e da cose non oltre il 31 corrente, restituendolo all’amministrazione del collegio nello stato in cui lo ebbe in consegna”; quanto alle apparecchiature….potrà trasferirle nell’istituto di fisiologia, “…come d’accordo col prof. (G.)”.
Proprio un paio di giorni prima gli era giunta una cartolina postale di G., che, insieme a qualche confidenza familiare (“…purtroppo la persona a contatto con la prole è diventata più pazza del solito…”), che sembra quasi un alibi non richiesto, contiene i soliti ordini alla..servitù: “…prega Berto di provvedere a far lavare a mie spese tutta la biancheria dei letti subito per trovarla pulita e già pronta”.
Ovviamente, di portare lo strumentario all’istituto non se ne parla nemmeno. Quella è tutta roba sua: i Montanari lo custodiranno fino a quando il nuovo laboratorio non sarà pronto. La sua attività a “S. Eufemia” segue ormai un canovaccio immutabile. G. tra iatture di ogni genere, malanni inopinati, “male a capa” e varie, gli addossa tutto il lavoro didattico. Dall’istituto non esce un solo lavoro sperimentale da due anni. Ma neanche Luigi può fare nulla, visto che si verificano misteriose morìe tra le cavie da esperimento; non tra quelle destinate alle esercitazioni degli studenti. Chissà: forse allergie alimentari selettive…
La vicenda del laboratorio di Fisiologia Generale presso il collegio san Carlo merita di essere annoverata tra le cose più assurde e più turpi della ben poco edificante storia dell’università e della ricerca italiane. Un docente – del calibro poi di Luigi Di Bella – reperisce, progetta, organizza, attrezza – completamente a proprie spese – un laboratorio sperimentale, formando futuri ricercatori, svolgendo nel contempo l’attività didattica che gli compete oltre a quella che il direttore dell’istituto non compie; nonostante il breve periodo di attività, escono lavori che suscitano vivo e documentato interesse negli ambienti scientifici internazionali: ebbene, di fronte a questa autentica grazia – e tutta grazia gratis – l’unica risposta delle…istituzioni accademico-scientifiche è brigare a livelli infimi, in preda a invidie e rancori, per sabotare ogni cosa. E poi, oggi, si ha la sfacciataggine di fare o far fare questue mielose, patetiche, suadenti, insistenti, perché la collettività finanzi la ricerca!
Fortunatamente le cure praticate contro la tbc consentono di constatare una incoraggiante remissione ed anche lo stato generale di salute migliora. Ragione di più per aumentare i ritmi di lavoro che le insistenze di Pompeo erano riuscite a far moderare. Bisogna dedicarsi al nuovo laboratorio, per il quale l’amico gli ha già prestato un milione e mezzo di lire. Inizialmente pensa ad una costruzione a due piani, il secondo dei quali da adibire ad abitazione, ma appare presto chiaro che non può sostenere un onere simile: rendere agibile ed attivo il laboratorio richiede circa sei milioni: qualcuno di coloro per i quali Luigi ha scritto lavori li guadagna in tre mesi, ma per lui occorrerebbero anni.
Per le festività natalizie parte per Messina. L’idea di poter avere qualcosa di suo e di affrancarsi parzialmente dal giogo, lo aiuta a trascorrere con una parvenza di serenità i pochi giorni di permanenza.
Il nuovo anno lo vede impegnato come non mai. Si tratta principalmente, ma non esclusivamente, di lavori approntati per Pompeo, che invia un allievo, Lolli, con il compito di aiutarlo nella stesura. Per quanto riguarda il laboratorio, Luigi lo progetta da solo, dopo avere ultimato i calcoli che – non si sa quando – è riuscito ad elaborare. E’ un ulteriore e consistente risparmio. L’ingegnere al quale sottopone il progetto lo esamina ammirato ed incredulo, lo firma e avanza un’unica osservazione: la costruzione, avuto riguardo soprattutto al diametro dei ferri ed alla quantità di cemento, appare surdimensionata, e studiata più per un bunker che per uso civile. Ma Luigi ha rinunciato solo per il presente, non per il futuro, a sopraelevare.
L’amico, in una lettera del 26 febbraio 1952, definisce con grande efficacia il significato di questa iniziativa: “…qualche cosa di tuo, che serva a te ed ai tuoi figli e che si tramandi alla discendenza quale attestato di indomita lotta contro le avversità degli uomini…”. Sono parole belle e profonde.
All’inizio della primavera Moruzzi si attiva per fare indire un concorso per una cattedra di chimica biologica a Milano. Ma l’incaricato pro tempore sembrerebbe il candidato più appoggiato. Luigi accetta di presentare i documenti utili alla partecipazione al concorso, senza farsi illusioni e continuando a lavorare nella costruzione del laboratorio di via Marianini.
Progettista e manovale insieme. Una piccola impastatrice, una carriola e pochi altri attrezzi basilari gli sono sufficienti. Non ci sono altri modi per risparmiare. Come in ogni cosa della sua vita, ha messo nella realizzazione tutta la razionalità e tutto l’amore che sono dentro di lui. L’interno è percorso da un corridoio che unisce l’ingresso principale a quello sul retro. Ai lati sei stanze, quattro più grandi, due più piccole: lo studio, un locale per i microscopi ed uno spettrofotometro usato, sala di chimica, sala di elettrofisiologia, locale cavie, bagno e locale caldaia, con una botola che porta al sottotetto. Ricorda le case degli antichi romani. Enormi porte, di legno leggero, con la metà superiore a vetri smerigliati: qualsiasi apparecchiatura deve poter entrare ed uscire senza difficoltà e la luce deve essere sfruttata al massimo. Fa capolino il senso estetico, costante che caratterizzerà ogni frutto della sua attività: disegna da solo e fa realizzare le sei inferriate a sezione rettangolare che proteggono le finestre ed i pavimenti, costituiti da piccoli tasselli ad imitazione degli antichi mosaici. In ogni stanza sono previsti prese di corrente multiple, rubinetti con lavandini, condotte del gas. Un ampio marciapiede circonda l’edificio e si slarga sul retro. Qui tre scalini danno accesso all’orto, il cui livello è un metro più basso di quello della casa. Realizza mattone per mattone il muro di cinta, gli stabulari che poggiano sul lato est e solo per alcuni lavori lo aiuteranno per breve tempo due muratori, specie per gettare le fondamenta. Certo, non sono abituati a vedere impiegata una simile quantità di cemento, né ad impastarlo per tempi così lunghi e men che meno ad usare ferri di sezione così cospicua. Sotto ogni metro quadrato di marciapiede viene gettato un metro cubo di cemento armato. Alla fine l’asse della carriola si spezza, a furia di portare pesi inusitati. E’ ancora lì, la carriola, testimone silenziosa di una volontà ed un coraggio indomabili.
Pompeo segue l’andamento dei lavori descrittigli dall’amico e gli offre la sua disponibilità, raccomandando “…non rivolgerti agli strozzini…”. Luigi considera la gratitudine come spartiacque tra persone per bene e marmaglia, e risponde quindi, secondo la sua abitudine, lavorando la notte per Pompeo, scrivendo o revisionando interi lavori.
L’inizio dell’estate si annuncia con un caldo torrido e temperature di 35-36 gradi e, sul fronte dei concorsi, con manovre che non si fanno suggestionare dalla calura. Arrivano notizie di parapiglia, colpi di mano, deus ex machina: tra l’altro, si viene a sapere che uno dei concorrenti, invaso da ineffabili sentimenti d’amore, ha appena sposato la figlia di un potente cattedratico …“Bisogna sapersi sposare”, sentenzia un tale.
Quando già ha programmato di passare qualche settimana a Messina e di tornare con la famiglia, un destino avverso si accanisce contro di lui: mentre a Marianini è su una scala, cade, e si riapre il focolaio polmonare. Una lettera a Ciccina del 22 agosto 1952 ci informa dei particolari della vicenda ed anche della sua soddisfazione nell’essere riuscito a realizzare il laboratorio:
[…] l’esame radiografico l’ho fatto fare martedì ed è risultato, come sospettavo, uno ‘pneumotorace traumatico in corrispondenza della vecchia lesione specifica’. L’esame dello sputo l’ho appreso solo ieri: io non lo facevo da parecchi mesi. Purtroppo ci sono numerosi bacilli di Koch visibili al microscopio. In questo momento perciò io posso infettare. La cosa non mi preoccupa, perché le condizioni in cui sapevo di trovarmi, con un colpo di quella specie al torace, con l’affanno che mi venne subito, la febbre ed il sangue, facevano prevedere che tutto dovesse andare così. Da mercoledì ho iniziato le iniezioni di streptomicina, e sono riuscito a comprarne 32 grammi a prezzo bassissimo, per cui ne ho anche per un altro ciclo di cura; per bocca prendo il Drapasil calcico e Tibazide Maggioni, per endovena faccio il Calciodyn e vi accoppio 0,5 grammi di vitamina C. La febbre un po’ alta è durata solo un giorno. Ora ho qualche decimo. L’affanno è scomparso. L’appetito è grandissimo e un chilo di pane non mi dura più di due giorni. Mangio la minestra e la pietanza la sera da Montanari. La mattina prendo 2-3 uova; a mezzogiorno mi cucino carne o pesce in laboratorio e poi insalata di pomidoro e frutta. La notte dormo molto, in media 7-8 ore. Io spero così di eliminare i bacilli dallo sputo entro pochi mesi e di giungere a chiudere il focolaio che si è riaperto con la caduta. La scala era vecchia, ma c’ero montato su infinite volte e mai si era rotta. Non so come sia stato stavolta. Mi sono trovato dentro al fosso prima ancora di capire cosa fosse successo. Ora sento paura a pensare il pericolo corso. Montanari ha fatto portare una scala sicura, ma né lui vuole, né io mi azzardo a salire di nuovo. La testa mi girava qualche volta; ma mi tenevo sempre e usavo molta prudenza. La conseguenza della caduta è però che io non posso sperare di avere i bambini vicini: non posso baciarli, non potrò parlare vicino, non potrò stare nella medesima casa senza timore di infettarli e sento ribrezzo al solo pensarci […] Sono convinto, fra 5-6 mesi al massimo, con i rimedi che abbiamo adesso, di guarirmi clinicamente e di poterti di nuovo baciare ed abbracciare e così pure i nostri bimbi […] Il laboratorio finalmente è quasi finito all’interno. Se vedessi che amore è venuto! Mi sembra un sogno, e lo guardavo, da solo, sere fa e mi rideva il cuore a pensare cosa son riuscito a fare per te ed i bimbi. Te lo godrai e sarai felice. E’ di una robustezza unica a Modena e pieno di comodità insospettate. Le camere finite sembrano immense e il suono rimbalza con l’eco dalle pareti. Girarrosto è a divertirsi e non credo sappia nulla di quello che sto facendo.
La fine della stagione calda lo coglie mentre conduce ricerche sulla “permeabilità placentare”, che interessano particolarmente a Spoto ed al maestro di questo: sono in tanti a sapere quale sia la preparazione e la capacità di lavoro di Luigi e, non per tutti, queste doti sono da considerare referenze negative. Val la pena citare parte di una lettera spedita da un noto ed influente personaggio milanese, che molto terrebbe alla sua collaborazione, per appoggiare la sua candidatura al concorso: “…Io sono stato per molto tempo a Modena, vicinissimo al Prof. LDB, che tu devi conoscere molto bene dal punto di vista morale. Posso assicurarti che si tratta di persona straordinariamente degna dal punto di vista morale. Poche volte ho conosciuto persona più profondamente onesta (di quella onestà così viva e sentita che può alle volte in un mondo corrotto assumere degli aspetti di ingenuità!) e mai ho visto una così disperata volontà di lavoro, un altrettanto forte desiderio di aiutare generosamente e del tutto disinteressatamente chiunque si rivolgesse a lui per consiglio.
Il Di Bella ora aspira ad avere il primariato dell’Ospedale Magg. di Milano per gli studi e le determinazioni chimico-biologiche. Tu sei l’universitario di commissione. Sei cioè quello che dovrà decidere tra i concorrenti. Penso che il DB abbia molti titoli e sono certo che sarà brillante negli esami. Ad ogni modo tenevo assai a scriverti di lui anche per lumeggiartene la figura morale. Non credere che mi faccia velo l’amicizia che ho per lui. E’ certo che la sua presenza a Milano mi farebbe piacere, anche per la possibilità di collaborazione con il mio Istituto […] Un devoto abbraccio E. Trabucchi”11.
In ottobre, quando il laboratorio è completato, si manifestano infiltrazioni di umidità nell’intonaco, a causa di una sorgente d’acqua presente nel terreno, che sarà impiegata per anni per irrigare; la concessione dell’abitabilità, slitta, ma poi tutto si sistema. Luigi immortala esterno ed interno della sua creatura: le fotografie giunteci dimostrano che il laboratorio era già arredato ed attrezzato di tutto punto. A questo punto rimangono da pagare 2.300.000 lire, prestategli da Spoto e da Ruggero Montanari.
In questo frangente, Pompeo ha partecipato ad un congresso a Milano, facendo un figurone grazie anche all’aiuto dell’amico: “…anche questa volta quindi me la sono cavata e ciò lo debbo al tuo cervello inesauribile […] Una successiva comunicazione è prevista per il 1954: […] prenderemo quindi un po’ di respiro nell’attuale momento critico per te”. Con l’occasione, ha cercato di avere notizie sul concorso, che non sono buone, visto che uno dei personaggi chiave, parlando col maestro “…pur avendo fatto le tue lodi, gli aveva fatto capire che non poteva disinteressarsi dell’attuale incaricato”.
Alla fine di ottobre arrivano forti temporali, che gonfiano i fiumi del modenese. Luigi, che ha annusato già da tempo gli aliti intorno al concorso, si preoccupa molto di più per il fatto che, a causa del maltempo, non potrà ricevere la ghiaia per il cortile.
Nel laboratorio già si fa ricerca e Lolli, l’allievo di Spoto, vi alloggia per qualche settimana. Quanto al riscaldamento, c’è il locale dedicato, ma non ancora la caldaia. Provvede Pompeo a mandargli una stufa, non senza avergli fatto una ramanzina: “…mi spiace per le tue mani […] Tu pensi al risparmio, io penso alla tua salute. Con le mani rovinate non potrai lavorare…”.
La corrispondenza di dicembre ci informa che Luigi ha “rivisto”, per un candidato alla cattedra ad Aosta, quattro lavori, avviati alla pubblicazione, che continua la collaborazione con Daniele Lolli e che ha ospitato nel suo laboratorio un certo R. (“…R. è alla tue dipendenze e deve stare alla tua disciplina che sa non è meno ferrea della mia…), assistente di Pompeo. Questi cerca di tornare sul continente, mirando a Bari o Perugia, e parla diffusamente dell’ambiente accademico: “ […] Il nostro mondo è estremamente lurido…rimango allibito di fronte alle magagne scoperte nel mondo universitario modenese…navighiamo nella m. …”.
Luigi ha trovato nella realizzazione di “Marianini”, come d’ora in poi sarà denominato il laboratorio, una grande soddisfazione personale, oltre che lo strumento per continuare le sue ricerche. Ormai è convinto che mai potrà raggiungere l’obiettivo della cattedra e la notizia che altri si è aggiudicato Milano lo addolora, senza abbatterlo: poco consola che non si sia potuto evitare di riportare giudizi lusinghieri sulla sua prova. Sono anche queste valutazioni, oltre che i giochi di potere, ad avere determinato la sua esclusione. Adesso ha qualcosa di solido sotto i piedi, qualcosa di suo, una base per la propria famiglia. Il lavoro intellettuale e fisico che ha svolto certo non ha accelerato la convalescenza dalla tbc ed è più prudente attendere ancora qualche mese, ma sta giungendo il tempo perché la casa di via Cucchiari non serva solo come rifugio per la notte, ma ospiti una famiglia.
I debiti stanno gradualmente diminuendo, nonostante ulteriori spese affrontate e solo la perfidia e l’arrogante parassitismo di G., coperto dall’inescusabile omertà del mondo universitario modenese, ipotecano pesantemente la sua attività. Ulteriore soddisfazione è l’essere riuscito a tenere segreta la costruzione del laboratorio: Girarrosto verrà a saperlo a cose fatte e, nonostante lo scorno e la rabbia, non potrà far nulla. Prima di questi eventi, Luigi ha avvertito i suoi allievi che la carriera universitaria era una prospettiva a loro preclusa e li ha consigliati di cercare altre vie, certo che all’Istituto di Fisiologia avrebbero subìto ogni tipo di vessazione. Si scioglie quindi il piccolo nucleo di validi collaboratori, con danno incalcolabile per il progresso della medicina. Vigildo Ferrari, allora ventottenne, andrà ad insegnare chimica negli istituti tecnici e, due anni dopo, vincerà un concorso aggiudicandosi una farmacia in provincia di Mantova, a Gazzo di Bigarello, mentre Bianchini e Bruna Osima troveranno impiego in un’azienda chimica del modenese.
1. Contributo allo studio del meccanismo d’azione del nitrito sodico, Boll. Soc. Med. Chir., Modena, 1945, 45, 314-50.
2. Sulle variazioni di colore degli antociani e sul loro impiego come indicatori, Atti Soc. Nat. Mat. Modena, 1946, 77, 62-94.
3. Ricerche su un estere ascorbico della colina, Boll. Soc. Med. Chir. Modena, 1947 – Sui rapporti tra tiroxina e carotene in vitro, Boll. Soc. Med. Chir. Modena, 1947 – Osservazioni preliminari sull’idrolisi alcalina di alcuni antociani, Boll. Soc. Med. Chir. Modena, 1947 – Nuove vedute sui rapporti fra ipotalamo, ipofisi e termoregolazione, Arch: Fisiol., 1947, 47, 1-23 – Ricerche su un composto di condensazione dell’ac. Ascorbico con la colina, Boll. Sibs, 1947, 23 – Rottura della molecola della mecocianidina in funzione del pH, Boll. Sibs, 1947, 23 – Rottura dell’anello piritico della mecocianidina in funzione del pH, Boll. Sibs, 1947, 23 – Cromogeni del carotene, Boll. Sibs, 1947, 23 – Deviazione apparente dalla legge d’azione di massa di alcuni indicatori, Boll. Sibs, 1947, 23.
4. Di quell’anno sono: Scambi eritrocitici fra sangue circolante e tessuti dopo metemoglobinizzazione, Boll. Soc. Med. Chir. Modena, 1948, 48 – Osazioni dell’ac. Ascorbico e metodi di dosaggio specifici della vit. C, ibid. 1948, 48 – Formazione di un composto di condensazione fra colina e cloruro stannoso, ibid. 1948 – Curva di dissociazione apparente e pK del rosso di metile e del bromofenolo blu”, ibid. – Rapporti fra B-carotene e tiroxina, Arch. Sci. Biol., 1948, 32 – Retrocessione della meteglobina in vivo, Boll. Sibs, 1948, 24 – L’azione eccitomeccanica della tiroxina è subordinata alla presenza di un minimo di riserve di vit. A dell’organismo, Boll. Sibs, 1948, 24.
5. Gli verranno riconosciute: la maturità: didattica all’unanimità nel concorso per la Cattedra di Fisiologia Generale nell’Università di Camerino; nel concorso per la Cattedra di “Fisiologia Generale e Speciale degli animali domestici con elementi di Chimica Biologica” presso l’Università di Bologna a maggioranza la maturità scientifica ed all’unanimità quella didattica; nel concorso per la Cattedra di Fisiologia Umana all’Univ. di Cagliari all’unanimità la maturità didattica e scientifica; nel concorso per la Cattedra di Chimica Biologica presso l’Università di Perugia ad unanimità la maturità didattica; nel concorso per la Cattedra di Fisiologia Generale presso l’Università di Messina la maturità scientifica e didattica. (Boll. Ministero P.I., Parte II, 1948, pag. 2746; Boll. Uff. Ministero P.I., Parte II, 1948, pag. 1129-1132; Boll. Uff. Ministero P.I., Parte II, 1949, pag. 58).
6. Prof. Luigi Di Bella: Il Laboratorio di Fisiologia Generale della Facoltà di Scienze dell’Università di Modena, Modena, Stabilimento Poligrafico Artioli, 1950.
7. Primo frutto del lavoro di equipe sarà: Consumo di ossigeno dopo tiroxina nella ipovitaminosi A del ratto, Arch. Sci. Biol., 1949, 33, 60-76.
8. Bruno Vespa, Luigi DI Bella – Si può guarire? La mia vita Il mio metodo La mia verità, Mondadori Ed.,aprile 1998, pag. 42.
9. Alcune osservazioni sull’embolia gassosa sperimentale, L. Di Bella, P. Bianchini, V. Ferrari, L. Parisi – Laboratorio di Fisiologia Generale, Direttore Inc. Prof. Luigi Di Bella, Boll. Soc. Med. Chir. Modena, 1950, 50, 1-4 – Presenza e funzioni dell’ureasi nella mucosa gastrica, ibidem, 1950, 50, 1-9 – Ferro ed attività insulinica, Enzymologia, 1950, 83-95.
10. Tra gli altri: Prof. Henri Fredericq, Dir. “Archives Internationales de Physiologie”, Liege – Prof. P. Stern, Dir. Department of Pharmacology, Medical Faculty, Sarajevo – A.L. Campbell, Department of Bacteriology, University of Melbourne, Australia – M.O. Schultze, University of Minnesota, St. Paul – E. Bartras, Parenteral Formulations, Squibb & Sons, New Brunswick, Usa – G. L. Mills, Cortauld Institute of Biochemistry, Middlesex Hospital, Medical School, London – Gunnar Gran, Svenska Traforskningsinstitutet, Stockholm – Prof. Hans Selye/CF, Directeur Institut de Médecine et de Chirurgie Expérimentales, Université de Montréal – Dr. J. Meduski, Biochemistry Department State Institute of Hygiene, Warszawa – O. Erik Virtanen, Laake Oy. Suomi, Finlandia – Claude Liébecq, Laboratoires de Biochimie de l’Université de Liège, Liège – Dr. R. Koch, Kinderklinik, Marburg/Lahn, Deutschland – Dr. D.P. Sadhu, Physiology Branch/Technical Dev. Estt. Laboratory, Kanpur, India.
11. Autentico riferimento della farmacologia italiana del tempo, il Prof. Trabucchi aiutò gli allievi a raggiungere i loro obiettivi, a condizione che possedessero un’adeguata preparazione e la loro vita privata non nascondesse segreti inconfessabili. A parte indiscrezioni difficilmente verificabili, non ci è dato sapere per quali ragioni sia sempre stato irremovibile nel rifiuto di ternare un noto allievo, che comunque dopo la scomparsa del maestro sarebbe divenuto un onnipotente farmacologo.